Una donna e un uomo si svegliano inquieti nel cuore della notte per rileggere un messaggio di posta elettronica ricevuto il giorno precedente. Il mittente afferma di aver ripreso uno dei due mentre si masturbava guardando un porno su internet. A destra ci sarebbe il video osceno, a sinistra la donna o l’uomo in “bella” vista che «s’accontenta». Il mittente minaccia quindi di diffondere la ripresa ai contatti della coppia, a meno di non ricevere entro 48 ore un pagamento di 269 € in Bitcoin. Segue l’ambiguo saluto «Auguri!», che allude alle torbide e imbarazzanti conseguenze che l’uomo o la donna dovrà affrontare in caso di mancato pagamento.
Con questa circostanza iniziale, si apre Tabù. Ho fatto colazione con il latte alle ginocchia, nuovo spettacolo teatrale della compagnia quotidianacom (Paola Vannoni, Roberto Scappin). Il lavoro è incentrato sul problema di come “scaricarsi” delle inquietudini che nascono dalla lettura dello strano messaggio e non lasciano dormire la coppia, che dichiara di essere caduta «nel panico, (in) un imbarazzo… abbastanza sostanzioso». A un primo livello di lettura, si riconosce certo un piano realistico. La coppia si chiede se la minaccia sia fasulla o fondata, giacché almeno l’uomo dice di aver guardato uno di questi video. Sorgono così domande come: anche la donna si è «accontentata» guardando fotogrammi osceni, ma non lo ammette? Cosa c’è di scabroso in sé nella masturbazione? Ci si deve vergognare dei piacere dell’onanismo, o bisogna lodarne gli effetti benefici?
Non è però la possibilità di essere stata ripresa che lascia inquieta e insonne la coppia. L’uomo e la donna arrivano presto alla conclusione che il video non è stato davvero filmato e che, se anche lo fosse stato, di certo la conseguenza di esporsi allo sguardo altrui non è disastrosa come fa sembrare il latore del messaggio. La coppia avrebbe potuto tornare serenamente a dormire e non avrebbe continuato per almeno altri quaranta minuti sveglia per parlare di piacere, fisiologia, desiderio. Ciò che genera inquietudine e insonnia non è allora “che” il messaggio è stato inviato loro, ma “perché” esista e possegga tale potere minaccioso. Il «panico» o l’«imbarazzo» che non lascia dormire è di natura conoscitiva e pubblica, non psicologica e privata.
Accade dunque che il discorso che dapprincipio parla di sesso e piacere prima scivoli, poi precipiti, in una meditazione notturna sulla genealogia del “tabù”, o del divieto di compiere un determinato atto sotto gli occhi scandalizzati di tutti. La parola era stata studiata in relazione al piacere e al desiderio già da Freud, precisamente nel saggio Il tabù e l’ambivalenza emotiva del 1912, poi confluito in Totem e tabù (Sigmund Freud: Opere. Vol. 7: Totem e tabù e altri scritti 1912-1914, a cura di C.L. Musatti, Torino, Bollati Boringhieri, pp. 27-80). Secondo lo psicologo, “tabu” indica l’orrore reverenziale verso pratiche vietate che «concernono perlopiù la possibilità di godere di qualcosa, la libertà di movimento e di rapporti», come il mangiare carne o l’incesto, dalla cui infrazione discende una punizione attuata o da se stessi, o da presunti spiriti, o dall’intera società. Di questi divieti nessuno ricorda la genesi e, se studiati a fondo, il più delle volte si rivelano innocui e infondati. Mangiare carne non è dannoso, mentre l’orgasmo che si ha con la madre non è di per sé fisiologicamente diverso da quello che si potrebbe avere con un’altra donna. E poiché questi atti sono piacevoli, il “tabù” riposa su un’«ambivalenza emotiva». Essi sono temuti e desiderati nello stesso tempo. Il desiderio rende necessaria l’imposizione del divieto, ma il divieto accende a sua volta il desiderio di questi piaceri proibiti.
Ora, la meditazione notturna della coppia di Tabù segue consapevolmente l’ipotesi di Freud e nota che il potere minaccioso del messaggio anonimo dipende da un tabù. Masturbarsi è un atto in sé piacevole e persino benefico, dunque desiderabile. Ma poiché esiste il divieto di farlo in pubblico, per ragioni poco chiare o addirittura ignote, ecco che questo piacere diventa osceno, disdicevole e proibito. Come Freud, inoltre, la donna riconosce la fissazione psichica che origina l’ambivalenza emotiva. Ella dice che «il desiderio di osceno è desiderio di liberarsi dalle regole. Liberare il corpo che è compresso», quindi che il piacere dell’oscenità passa per l’infrazione del divieto stesso
La coppia va tuttavia con Freud oltre Freud. Ciò che lo psicologo non aveva notato è, infatti, che c’è persino qualcosa di anteriore al desiderio e al divieto, dunque al tabù. Si tratta del “linguaggio”, che nella meditazione notturna dell’uomo e della donna si presenta come un “limite”. Recuperando il principio che Wittgenstein enuncia all’interno del Tractatus logico-filosofico («I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo»), la coppia giunge a concludere che i tabù esistono perché esiste la parola che limita e crea paletti, proibisce e confina. Se però i limiti di cui parlava il filosofo viennese riguardano il piano dell’espressione e dell’enunciazione, dunque della conoscenza logica, i quotidianacom li interpretano sul piano dell’etica e della vita. Il nostro mondo è limitato dal linguaggio che impone che certe cose non vanno fatte, benché piacevoli. Si può concluderne che quotidianacom “freudizza” la logica di Wittgenstein e “wittgensteinizza” la psicologia di Freud.
Il resto della meditazione notturna su limite e linguaggio di Tabù si rivolge poi a due altre tematiche importanti. Da un lato, l’uomo e la donna analizzano i nostri comportamenti linguistici/mentali per scoprire quanti altri tabù esistono, oltre a quello della masturbazione. La coppia arriva a concludere che ce ne sono infiniti altri, tra cui il tabù del riposo, del pensiero, della vecchiaia, del fallimento. Tutti questi si riducono, però, a un unico divieto: quello di «essere se stessi», dunque esseri umani fallibili e bisognosi di quiete, improduttività, silenzio. La constatazione che Tabù attua soprattutto un’analisi linguistica giustifica anche la presenza di un busto di Aristotele al centro della scena, che separa l’uomo e la donna tra loro. Questi era del resto il filosofo che più di ogni altro nell’antichità ha riflettuto su come le strutture del linguaggio rispecchiano le strutture del pensiero, che si rivelano soprattutto con lo studio critico delle opinioni condivise dai più (i cosiddetti endoxa).
Dall’altro lato, la meditazione notturna di Tabù allude anche a due mezzi per infrangere i divieti senza cadere nello stigma sociale e mostrare la loro volatilità, ossia il confronto con gli animali e l’uso del comico. L’uno mostra che in natura questi divieti non esistono e che «essere se stessi» è l’unica cosa di cui un vivente incorrotto ha davvero bisogno, tanto da arrivare a proporre che le bestie non si sono volute evolvere per rinunciare al linguaggio che limita i loro piaceri. Il comico è invece la conseguenza dello sforzo di mostrare l’inconsistenza dei tabù. Gli umani costruiscono tortuosi processi mentali, faticosi giudizi di valore, labirintiche associazioni verbali per arrivare alla fin fine a vietare qualcosa che di per sé non è pericoloso, come il lusso di sbagliare, anzi delle volte si mostra persino utile, come il riposo e la riflessione. L’asimmetria tra la complessità dello sforzo e la modestia o follia del risultato fa percepire l’assurdità del divieto, producendo il riso. Da ciò si deduce che per quotidianacom il comico non è sinonimo di intrattenimento. Esso è piuttosto una forma di liberazione e di conoscenza etica.
L’insieme di queste considerazioni permette infine di prevenire una potenziale obiezione a Tabù: che lo spettacolo è povero di teatro, perché si esaurisce nell’attività soltanto verbale e non si traduce mai in azione fisica. La critica è prevenuta dalla constatazione che il lavoro non poteva procedere diversamente. Se il linguaggio con i suoi limiti è il vero oggetto di riflessione di Tabù, allora solo l’azione verbale può rivelarsi efficace e concreta. Si può così concludere che la dimensione teatrale di Tabù non solo non è assente, anzi è assai presente. Il lavoro è del resto la rappresentazione del dramma del linguaggio che riflette sui (e ride dei) limiti di se stesso.
Tabù. Ho fatto colazione con il latte alle ginocchia
di e con Roberto Scappin, Paola Vannoni
produzione Teatro della Caduta
con il sostegno di Regione Emilia-Romagna
in collaborazione con Centro Sociale Poggio Torriana, Armunia Centro di Residenza della Toscana.
Visto a Kilowatt Festival, Sansepolcro, il 20 luglio 2020.