C’è qualcosa nel dettato di Sentieri, il libro di Serena Gatti in uscita in questi giorni per Rogas Edizioni, che ricorda con precisione l’attività che in quelle pagine è raccontata, analizzata, ricostruita, resa in tracce. Quel qualcosa è l’approccio al tempo, dunque al mistero dell’uomo e della natura.
La compagnia pisana Azul Teatro, della quale Gatti è co-fondatrice insieme a Raffaele Natale, conduce dal 2013 uno studio e una pratica attorno ai luoghi da riscoprire: «In un luogo dimenticato, chiuso o abbandonato, Sentieri crea una performance itinerante originale e unica, irripetibile altrove», recita il risvolto di copertina. È una forma di performance o corona di performance site-specific, equidistante tanto dal teatro didattico che evoca la storia dei luoghi attraverso scene in costume, tanto dalle più recenti esperienze del gruppo Dom- di Sirna/Delogu, in cui la traccia della scrittura drammaturgica si perde quasi completamente, giungendo a mettere in dubbio la propria stessa presenza.
Ma si diceva della gestione (della tessitura?) del tempo che, tanto nel libro quanto nelle performance di Sentieri, è un tempo lento, pensoso, ma non molle. Se i lavori di Azul sono camminate, progettate su tracce ora circolari, ora rettilinee, ora ad “8”, segno, quando coricato, dell’infinito, così il libro Sentieri non è un segmento che si possa percorrere da un punto A a un punto B. Nei suoi cinque capitoli non si può fare a meno di planare con agilità (il testo non cimenta all’acribia né a una qualsiasi drammaturgia della “trama”) per poi riprendere il volo, salvo poi tornarvi, anche più volte.
Il primo capitolo è quello più tecnico, che illustra le modalità di ritrovamento dei percorsi che hanno portato Gatti e Natale, nel corso degli anni, principalmente negli spazi attorno a Pisa, fatta salva un’importante eccezione, il Majjistral Park di Malta, nel 2018. Come questi percorsi vengano tracciati nei luoghi, quale sia la qualità dell’ascolto che tanto i performer quanto il pubblico debbano raggiungere, quale anche il faticoso lavorio teso all’ottenimento dei permessi, si capirà studiando i sei passi che da “Intravedere la meraviglia” di luoghi trascurati conducono a “Continuare a meravigliarsi”, ultimo paragrafo della sezione. Si sorriderà per gli imprevisti che un contesto così esposto e incontrollabile, come gli spazi aperti più o meno abbandonati, può far sorgere; si prenderanno appunti sul creare e sul ricevere «agguati» o sull’«arte di portare a visione» qualcosa che in quei luoghi c’è e chiede di essere espressa frequentando convintamente la materia dei significanti; si faticherà a non far propria una teoria dell’estasi che ha a che vedere con lo «sgrondarsi di dosso un po’ di sé e farsi canali, alvei ove inizia a scorrere un flusso, tronchi irrorati di nuova linfa, corpi attraversati da nuove vene».
La seconda parte del libro, elegantemente concepito nella grafica da Dania Puggioni e introdotto dalle parole di Franco Arminio, è quella che riserva più immediato appeal al lettore sorvolante, poiché si avvale di fotografie anch’esse cariche di stupore (tra gli altri di Carla Pampaluna) e perché permette di seguire, nei diari delle singole esperienze, le sette edizioni di Sentieri, confrontando ciò che è narrato con l’apparato iconografico, con la parte teorica precedente, oltre che con il terzo capitolo, quello dedicato ai brevi interventi composti per l’occasione da studiosi e teatranti, e ai testi poetici, nel quarto. Questi ultimi sono i materiali di volta in volta composti per le diverse edizioni del progetto, inseriti nelle camminate e diffusi tramite piccole casse acustiche nascoste. Qui la penna di Gatti, per tutto il volume tenue, accogliente, senza impennate né autocompiacimenti, piena di semplicità e di profondità, sa costruire versi sonori e seducenti. Sono essi talvolta un po’ spaesati dalla mancanza del sostegno della dimensione performativa per la quale sono stati pensati, ma sanno farsi improvvisamente fulminanti, agganciati a una dimensione sospesa e pensosa eppure per nulla sfuggente, capaci di reinventarsi nella fruizione della lettura silenziosa, di calamitarne la reiterazione per una, due, dieci volte. Come questi che seguono, in cui aleggia senza mascheramenti un cordiale corpo a corpo con lo spettro proustiano:
La vita si scrive istante per istante
prima piccola, appena nata, e ora figlia già grande.
Per anni la vita non si scrive
nella tempesta sommersa dei giorni
che seguono ai giorni, che domani
è come un oggi chiamato domani
e domani ancora un domani
poi improvviso un segno si inverte
e tra passato e presente
si fa un margine distante.
In quel momento la vita si scrive in un istante.
Altri spalancano improvvise voragini nel futuro, uno smarrimento reso anche ritmicamente attraverso l’abbandono di un passo assodato, quasi come se ci si trovasse lanciati verso un ignoto scardinato e pre-poetico.
Questo diario lo scrive tua figlia,
quel piccolo seme di te
che conoscerà un altro tempo.
Per chi volesse poi provare a ricostruire quell’ambiente performativo – ma ahimè, senza i veri sentieri sotto i piedi è solo un veliero in bottiglia – nella quinta parte c’è un QR Code che invia a una traccia video riferita alle varie edizioni di Sentieri.
Tra poesia, teoria della messinscena site-specific, pratica dell’ascolto e dell’architettura sonora, scuola di regia invisibile, il libro costituisce il più generoso – e goloso – biglietto da visita di cui una performance possa giovarsi, e costringe il lettore a chiedersi, o se fortunato a chiedere personalmente a Serena Gatti: quando il prossimo?
Serena Gatti, Sentieri. Teatro in cammino verso luoghi da riscoprire, prefazione di Franco Arminio, Edizioni Rogas, Roma, 2021, pp. 233, euro 15,70.