Si torna a teatro. Sì, ma come? L’anima è perturbata, la paura svapora dietro la speranza, ma è solo un po’ più nascosta. Resiste, la paura. È dura a morire. Come si torna quindi in platea? Con quale animo? Cosa ci aspettiamo di vedere? I cartelloni si infittiscono, si registra una corsa generale al mostrarsi, ad esporsi di nuovo in vetrina. Come se la pandemia, la malattia, l’isolamento, la solitudine, la morte che è stata seduta alla nostra tavola, non fossero stati altro che il frutto di una alienata parentesi. Rari sono gli esempi di consapevolezza. E non parliamo solo di temi. Non basta descrivere l’asfissia da isolamento per dire: siamo contemporanei. Ci vuole qualcosa di più. Ecco, quel qualcosa di più l’abbiamo trovato al Teatro Stabile di Catania, dove la direttrice Laura Sicignano ha scelto di riaprire le porte del suo (rinnovato) teatro con Donne in guerra, di cui è anche regista e co-autrice (con Alessandra Vannucci). La singolarità dell’operazione non sta nella tematica in sé, né nel fatto che per realizzare il suo spettacolo Laura Sicignano abbia modificato la struttura del teatro, disponendo gli spettatori prima in palcoscenico e in un secondo momento in platea, lungo i bordi di una scena che diventa piccolo binario ferroviario. Di operazioni destrutturanti o iper-spettacolari ne abbiamo viste fin troppe. In questo caso, però, non c’è nessun desiderio di stupire. Il pensiero si combina con una forma dinamica, quasi brechtiana. Un contenuto che si fa cosa viva ad ogni movimento tellurico delle attrici capaci di rendere “presente” il disegno teorico. Il testo di Laura Sicignano e Alessandra Vannucci nasce da una serie di interviste realizzate nel 2007, quando le due scrittrici si sono messe in cerca di testimonianze, storie di donne che durante la Seconda guerra mondiale avevano vissuto la tragedia nelle diverse forme che la condizione d’origine dettava. Ed è così che, alla fine, su questa realistica, e poetica, partitura polifonica vanno a confluire sei figure femminili: un’operaria, una partigiana, una borghese, una levatrice, una ausiliaria della repubblica di Salò e una ragazza resa demente dalla violenza subita. Metaforicamente, le sei donne prendono lo stesso treno, nell’estate del 1944. «Alcune di queste storie ci sono state raccontate direttamente dalle protagoniste che nel 2007 erano ancora vive, altre nascono dalle affabulazioni indirette. Storie di donne vittoriose, sconfitte o ingannate, storie di donne sole che si guadagnavano la vita. Nei loro occhi il fermo-immagine di un evento che le ha segnate per sempre e che esse continuano a raccontare all’infinito perché non venga dimenticato» spiega la stessa Sicignano, che per questa nuova edizione di Donne in guerra ha creato le condizioni perché a teatro si facesse una vera esperienza: attrici e spettatori sono allacciati a doppio filo, attraverso piccoli gesti di condivisione come offrire pezzettini di pane o altri oggetti che narrano le pieghe impreviste del sopravvivere.
La drammaturgia costruisce una tessitura forte, inventiva nella mimesi. Ogni attrice vive la sua parte come se la sua figura fosse appena emersa da quel preciso momento del tempo. Ed ecco la signora De Negri (Carmen Panarello), moglie di un tenente-colonnello mutilato dalla guerra, alle prese con le difficoltà della vita quotidiana, in cerca di rispetto e dignità. La lotta partigiana è raccolta dalla figura di Anita (Barbara Giordano), che arriverà ad uccidere un tedesco per vendicare la morte del suo Luciano, il padre del bambino che porta in grembo. Sua amica d’infanzia è Maria (Federica Carruba Toscano), l’operaia che porta una consapevolezza di classe e di genere («Dichiarammo guerra alla guerra!»). Ma ad attenderla, alla fine del viaggio, ci sarà il campo di Dachau.
C’è poi Irene (Isabella Giacobbe), sul cui corpo ha infierito la violenza del branco, che porta con sé la grazia della follia. Il personaggio più imprevedibile è quello di Milena (Leda Kreider), figlia di socialista, che per evadere da un destino di povertà fugge da Bassano del Grappa per unirsi alla gioventù fascista, attratta dal biancore luccicante delle parate, dal gesto estetico che narcotizza. Finirà mutilata ed esposta al pubblico ludibrio, dopo l’esperienza tragica di Salò.
Come una coreuta della tragedia greca, Zaira (Egle Doria) apre e chiude il sipario, con le sue storie di nascita e di morte: la sua abilità di levatrice diventa preziosa per la cura dei corpi morti in guerra, che avranno così un piccolo rito di sepoltura. «Nascere e morire. È proprio una questione di niente. Di una ciglia» dice nel suo monologo finale, rivolgendosi agli spettatori. «Tutto marcisce e tutto rifiorisce. Avete paura di morire? Tu hai paura? Non vergognarti. Tutti hanno paura. Chi non ha paura della morte?».
Razionamenti. Bombardamenti. Deportazioni. Sfollati a tutti gli angoli delle strade. Questo è lo scenario evocato da Donne in guerra, che ha l’indiscutibile merito di portare la tragedia senza vittimismo né sferzante giudizio, dando voce alle donne che hanno fatto la loro guerra personale, da diverse posizioni. Tutto questo avviene in un modo intrinsecamente teatrale, che ci porta via dalla sdolcinatezza di tante fiction televisive che hanno fatto della guerra, della morte e della sopravvivenza, materiale innocuo di facile consumo.
La trama naturalistica assume qui toni quasi espressionistici, ma mai caricaturali, nel dinamismo di un montaggio che è insieme attrattivo e rigoroso, drammatico e vitale. Grazie anche al lavoro individuale di ogni interprete, che ha saputo accordare la grammatica emotiva del ruolo all’intelligenza della tessitura complessiva.
Contemporaneamente allo spettacolo, nel ridotto della Sala Verga (al piano di sopra), è in corso una fascinosa installazione curata dal gruppo MaleTinte: un collettivo di artiste che sceglie di non apporre firme e, quindi rivendicazioni individuali, alle varie opere. Complessivamente, si disegna un camminamento emotivo tra lavagne, macchine da scrivere, merletti, ombrelli rovesciati, lettere d’amore e buste del pane. Un viaggio icastico, che scompagina il valore d’uso di certi oggetti dimenticati, costruendo una ideale autobiografia collettiva dove a parlare sono figlie, madri, nonne. Di ferro, di rose e di ombre il tracciato disegnato da MaleTinte, affine alle Donne in guerra che si raccontano al livello della strada.
Donne in guerra
testo di Laura Sicignano e Alessandra Vannucci
regia di Laura Sicignano
con Federica Carruba Toscano, Egle Doria, Isabella Giacobbe, Barbara Giordano, Leda Kreider e Carmen Panarello
assistente alla regia Francesca Mazzarello
scene di Laura Benzi riprese da Elio Di Franco
costumi di Laura Benzi ripresi da Riccardo Cappello
luci di Gaetano La Mela.
Produzione Teatro Stabile di Catania.
Teatro Stabile di Catania – Sala Verga, Catania, fino al 29 ottobre 2021.