Con la rigorosa introduzione di Franco Perrelli, la Casa Editrice Cuepress ha dato alle stampe una parte (delle diecimila!) Lettere di August Strindberg, con note a margine, indice delle opere e indice dei nomi .
Uno scrittore è tale quando scrive. Quando non scrive è un cittadino qualunque. Questo vale anche per lo scrittore di lettere. Le parole non appartengono al genere codificato fisso. Non sopportano travasi e adattamenti tecnicistici. Non entrano nella letteratura. Con Strindberg siamo nel campo aperto della sperimentazione linguistica. Perrelli precisa con espressione felice che il drammaturgo svedese «si rivolge in termini liberatori alla nostra più sana follia». E aggiunge: «La mia esistenza ha sempre la caratteristica di assumere la forma dei romanzi, senza che sappia dire propriamente perché». Dunque, è un campo aperto quello della sperimentazione linguistica. E se la mia esistenza assume «la forma dei romanzi» vuol dire che diventa lingua e linguaggio in autonomia con la specificità del “come” fondamentale del dialogo (non del monologo) che consente all’autore delle lettere la verifica continua del reale e della propria condizione.
Nella creazione artistica ci può essere verità senza meraviglia e scandalo?
No. Non si può certo dire che la vita di Strindberg non sia stata avventurosa e per certi aspetti travagliata.
Fantasia e immaginazione, finzione e realtà. Perrelli attribuisce alle Lettere «la quintessenza del metodo della rappresentazione dal momento che producono una vera molteplicità nelle differenti proiezioni che ciascun corrispondente suscita», saldandosi – come si è detto – al monologo piuttosto che al dialogo.
Furono probabilmente alcuni amici a condurre August nei luoghi facili del divertimento giovanile. Siccome il fratello Omar non intendeva finanziare – sulle orme di Theodore Parker – le spese per la vita mondana, August fu costretto a dare ripetizioni per far fronte alla situazione debitoria.
«Ma ogni volta, in primavera, scopriva la straordinaria bellezza dell’arcipelago di Stoccolma», che fungeva da stimolo della creatività letteraria da una parte e dell’attività pittorica dall’altra. «Non capivo quello che vedevo. Il mare azzurro sembrava il cielo, e l’arcipelago assomigliava a un bianco di nubi galleggianti in quell’azzurro! Caddi in estasi e ruppi in lacrime. Non era la terra, era altro! Cos’era? Una memoria ancestrale! Chissà! Ma in seguito ne ho avuto sempre nostalgia. E continua, nonostante tutto!».
Sulle orme del predicatore Theodore Parker integrate con le teorie degli studiosi di teologia critica Rydberg e Broström, Strindberg approdò a Rousseau.
Sulla misoginia si è scritto molto e sono state fatte molte illazioni, però, non suffragate dai fatti. A sentire i suoi amici c’è da credere che non avesse niente di misogino, ma un’alta considerazione della donna. Nel mese di maggio del 1869 si propone di prendere la laurea in medicina: tenta l’esame di chimica, ma è bocciato. Decide allora di diventare attore e si presenta al Teatro Reale. Dopo alcune comparsate, fu il drammaturgo Frans Hedberg a scoprire in lui “la scintilla” nascosta del teatro.
«Nel gennaio 1895 Langen pubblicava L’autodifesa di un folle su “La revue Blanche”, mentre usciva la traduzione di Littmanson su L’infériorité de la femme, che mise Strindberg al centro dei grandi dibattiti parigini. “Detestare le donne? Io non le detesto quando sono semplici e naturali. È l’artificio che non riesco a sopportare: sembra che siano le donne e quel satana di Cristo a dominare il mondo iper-civilizzato, come l’ambiente editoriale. Mi avvio a diventare ateo in un mondo governato da folli. Quindi Dio è un folle».
Dall’11 al 31 gennaio lo scrittore venne ricoverato all’ospedale per una psoriasi di cui soffriva da tempo e che si era forse aggravata con la manipolazione dei reagenti chimici.
«Recentemente lei ha scritto che si cerca: Lo Zola dell’occultismo. Io avverto la chiamata. Ma in tono grandioso. Un poema in prosa: intitolato Inferno. Lo stesso tema di Sul mare aperto. La rovina dell’individuo allorché si isola. Salvezza attraverso il lavoro senza riconoscimenti o oro, il dovere, la famiglia, di conseguenza – la donna – la madre e il figlio. Rassegnazione attraverso l’individuazione del ruolo assegnato a ciascuno dalla Provvidenza».
La fragilità del rapporto con Edlund, la relazione con un artista inglese, l’abbandono della scienza e dell’alchimia, le insufficienti disponibilità finanziarie, le manie di persecuzione attribuite ai parenti che immaginava fossero intenzionati ad avvelenarlo rendevano la sua vita tutt’altro che tranquilla.
«Ho quarantotto anni e non ho mai visto l’arrivo delle rondini. Com’è che arrivano, sì, ma mai passando in stormi. Una sola volta, in Danimarca, ho visto tremila rondini riunite per la migrazione. Un paio di ore dopo erano regolarmente sparite. Avevano preso il volo. Quando penso ai nibbi in primavera che si spingono ad una grande altezza e si avvitano giù a spirale mi sembra come se si sprofondino dall’alto e come se si abituino alla nostra atmosfera, prima di cadere giù».
«Stanotte, entrando nella nuova stanza, ho spalancato la finestra, ho guardato fuori e ho visto l’Orsa Maggiore e la Stella Polare. Mi sono chiesto: sarà a nord che devi andare. Non so ancora cosa voglia Dio da me! Devo recarmi a Istat dove mi aspetta l’Ospedale di Lund? Devo forse attraversare anche questo Golgota? Per fare cosa? Per essere ancora istruito…».
Se vuoi imparare a conoscere l’invisibile, osserva a occhi aperti il visibile… è una regola…
«La mia scrittura è una ricerca della verità. Forse in sé idiota perché la verità è solo convenzionale. Si concorda in massa che una cosa è vera, così l’altra diventa falsa».
E dimmi, perché scrivi..?
«Scrivo per me stesso… per chiarire i miei pensieri e liberarmi…».
Franco Perrelli (a cura di), August Strindberg, Lettere, Cue Press, Imola (BO), 2019, pp. 324, euro 38,99.