Il funzionalismo di marca finanziaria si accompagna spesso a un salutismo di tendenza progressista e che non disdegna di “assoldare”, in questa visione apparentemente illuminata, persino il borghese senso di colpa che ha pronunciamenti di piccolo cabotaggio nei confronti del disastro che a più livelli sta trasformando la nostra sensibilità e la percezione che abbiamo delle cose. Progressismo e borghesia fanno i conti col proprio distacco dalla concretezza del vivere generando non pochi effetti collaterali già dalla fine dell’Ottocento, uno per tutti lo sdoganamento sempre crescente di un (ormai) dichiarato fascismo mentale e che altro non è se non la versione più spinta di una visione culturalmente reazionaria, presente costantemente nei gangli politici italiani, a volte esplicitamente altre inaspettatamente, anche dopo la costituzione dello Stato democratico. Questa la società che ci si prospetta, gradita alla società del Capitale e al contempo polverizzata nei suoi fondamentali, rendendo tutti più istupiditi e in balia del capopopolo di turno capace “democraticamente” di convincerci quali saranno le nostre esigenze e a quali desideri ubbidire. E probabilmente sarà questo tipo di società, non manifestatamente aggressiva o autoritaria, piuttosto “dichiaratamente” democratica e tollerante, che ci aspetta dietro l’angolo. Un po’ come nella serie tv britannica del 1967 Il prigioniero, un distopico e fantapolitico salto in avanti di quegli anni per nulla tranquillizzante in cui il protagonista, l’unico cosciente in un mondo definitivamente e “allegramente” asservito alle regole del Sistema, è impegnato in un continuo tentativo di fuga da un posto immaginario che lo vedeva relegato quale ospite-prigioniero, un’isola di fatto dalla quale era praticamente impossibile allontanarsi, tantomeno sottrarsi agli obblighi quotidiani di una iper-sorveglianza. Accettare le regole o vivere l’esclusione dalla vita, come fa il Peter Sellers di Oltre il giardino. Di futuro imminente parla il nuovo lavoro scenico di Industria Indipendente Lullaby. Tragedia Aerobica, una “composizione” fatta ad intarsi dove l’insieme degli elementi di scena, la scrittura testuale e quella che sostiene i dialoghi degli attori “impressa” sulla parete quasi una installazione d’arte anch’essa mutevole, la partitura sonora e lo spazio metafora di una condizione, un apparente confort, vanno a definire l’habitat retrò quanto avveniristico (tra l’asettico e il barocco) di un luogo che non esiste ma realistico dove gli over settantenni passano il loro tempo allenando per quanto possibile corpo e mente. I quattro protagonisti (gli eccellenti Marco Cavicchioli, Ermanno De Biagi, Francesca Mazza e Emanuela Villagrossi, ovvero in presenza la sperimentazione dalla postavanguardia a oggi) si raccontano, ricordano il passato con quel vezzo giovanilistico che fa sorridere sebbene amaro, si muovono come animali in gabbia (una gabbia “dorata”) costretti da regole che li escludono dalla vita, vivono nel resort che la Società-Stato ha ideato per loro in una vacanza rigenerante perpetua fino alla fine dei loro giorni o, come nel caso specifico, in attesa dell’annuale golden day, il giorno di visita del Presidente degli Stati Uniti d’Europa.
Siamo dentro la Storia, il testo la precede immaginando un’Europa a dodici stelle a dieci punte, i colori sono sfumati dal rosa, il concetto di democrazia ricorda da vicino quella tensione seriale de Il prigioniero, il totalitarismo si veste di fogge cortesi, non respingenti né dittatoriali. Gli anziani lasciano il passo ai giovani rinunciando a ogni proprietà materiale e immateriale, entrando in un mood grottescamente edulcorato e coattivo. Il gruppo guidato da Erika Z. Galli e Martina Ruggeri mostra una capacità rara di maneggiare la materia, abituato a traghettarsi da una riva all’altra della performance, alternando dispositivi estremi e liquidi, che spostano il clubbing nella dimensione di oggetto d’arte o rigorosamente figurale nel cuneo del teatro di prosa (come in Lullaby), mantenendo però una certa acidità dello sguardo sul mondo, quella tenitura critica della parola detta e del corpo dell’attore che ne incarna la perdita e l’abbandono. Parlare di drammaturgia qui significa – come Beppe Bartolucci ha insegnato – destrutturare il linguaggio, svuotare la carica evocativa della parola per nutrirla invece di trasparenze archeologiche, di simmetrie visive, percettive e sonore, articolando invenzioni linguistiche e intercalari stranianti (come “frizzy pimiento”, appunto) che riempiono di senso la scrittura scenica e quindi il testo scritto (un po’ come la Mnemosyne di Aby Warburg), mentre sul fondo aleggia quel gusto eversivo di hackeraggio delle forme consolidate del teatro e dei suoi spesso stantii discorsi. Lavoro coraggioso e divertente, ancora una volta tangenzialmente politico.
Lullaby. Tragedia Aerobica
scritto e diretto da Erika Z. Galli e Martina Ruggeri
con Marco Cavicchioli, Ermanno De Biagi, Francesca Mazza, Emanuela Villagrossi
collaborazione artistica e movimenti di scena Roberta Zanardo
ambiente Luca Brinchi, Daniele Spanò
live sound Bunny Dakota
graphic design Simone Tso
costumi Yulia Kachan
direzione tecnica e disegno luci Camilla Chiozza
organizzazione e comunicazione Lorenza Accardo.
Romaeuropa Festival, Mattatoio, Teatro 1, dal 18 al 20 ottobre 2019.