In occasione dell’uscita del suo ultimo film, Rian Johnson è stato protagonista su IMDb di un video in cui spiega “come costruire il perfetto plot twist”. Non è un caso che Cena con delitto (Knives Out) si presti a un contributo del genere: si tratta di un classico giallo ad ambientazione domestica, in cui il misfatto necessita più che mai del momento della rivelazione: il colpo di scena. Johnson si è servito in tutti i suoi lavori di questo strumento, e il film è soltanto l’opportunità più canonica per usarlo. Come i personaggi dell’interessante cast, anche il regista ha deciso di giocare in casa, dopo gli avversatissimi fasti della sua incursione nella galassia di Star Wars con Gli ultimi Jedi. Se qualcuno bussasse alla porta della tenuta del defunto Harlan Thrombey dicendoci che l’assassino di Cena con delitto è Luke Skywalker, dovremmo aggiungere al brivido dell’inaspettato lo sgomento del crossover. Ma per le sorprese doppie o triple, per il mescolarsi continuo del certo con l’incerto, non dobbiamo sperare in nulla di così stravagante: ci pensa già questo film a fornircene in quantità.
Thrombey è l’autore di fortunati romanzi gialli al quale viene tagliata la gola nella prima scena del film. O così crede la sua cameriera, che seguiamo fino alla stanza dove troverà il morente Christopher Plummer. La verità si dimostrerà ben più sottile della lama del presunto delitto. A cercarla è il detective Benoit Blanc, un Daniel Craig che crediamo avere più fiuto per l’eleganza del Cluedo che per il glamour di James Bond. Mentre i colleghi interrogano i membri della famiglia, lo vediamo di sfuggita osservare le “varie figlie” severe (Jamie Lee Curtis) e le “americanissime nuore” (Toni Collette) da una sedia in disparte, pronto a lanciarsi sulle prede come un mastino micidiale, per inchiodarle alla verità una volta per tutte. Ma il crescendo è presto interrotto. Come spesso accade nel cinema di Johnson, non c’è l’indefinita attesa del tuono dopo uno scroscio di luce; gli schemi saltano in aria, e la sorpresa può arrivare con la gratuità di un gigantesco treno dal nulla. Lo stesso Blanc, una volta intervenuto, pone le domande con un’attenta, rotonda tranquillità. E la ricerca del colpevole non sembra più essere il punto: nei primi minuti scopriamo che l’omicidio è un equivoco dell’infermiera Marta Cabrera (Ana de Armas), che ha somministrato la fiala sbagliata a un povero vecchio, troppo attaccato alla ragazza per non coprire il tutto con il suo suicidio. E qui si aprono le danze. Subito si ha la tentazione di dire che il vero mistero, per chi guarda, sia di capire se la protagonista ce la farà a non essere inchiodata. Si smonta la suspense della ricerca del colpevole, si capovolge il tradizionalmente ignoto in qualcosa di ovvio, e si crea una nuova tensione da lì in poi. Sorpresa, non c’è più sorpresa. Ma gli eventi successivi dimostreranno che le cose naturalmente non saranno così semplici, perché ogni volta che Johnson traccia una linea dritta, è solo in attesa dell’angolo della prossima svolta.
Il rimbalzo da una convinzione alla sua smentita è il meccanismo tipico di ogni rovesciamento di trama. Per quanto ci si possa giocare, per quanto si possa capovolgere ogni volta il piatto e creare ambiguità e paradossi nella pietanza, il meccanismo binario rimane: era così… e invece no. Il regista è maestro in questo, ma non basterebbe saper scambiare il bianco e il nero per motivare il nostro articolo. Nel video di cui parlavamo all’inizio, Johnson fa riferimento a una «emotional revelation», il vero plot twist che ribalta le sorti dei personaggi a un livello più intimo, e che in questo caso riguarda la posizione di Marta rispetto alla famiglia Thrombey: sarà la ragazza l’intestataria del gigantesco patrimonio e della casa del romanziere. Il contenuto della “rivelazione emotiva” finale non è solo politico, come molti hanno suggerito nel vedere un’immigrata sudamericana ereditare ciò che altrimenti spetterebbe a una ricca famiglia del Massachusetts. La scommessa più alta è nella possibilità, per la protagonista, di vivere al di là delle dipendenze che prima la chiudevano in una gabbia: la sua difficile condizione economica, l’incertezza dell’avere una madre senza documenti in America. È un impeto di libertà quello che viene fuori da Cena con delitto: un vecchio milionario chiude col passato familiare e con la vita, ma spalanca le porte del futuro a chi potrà finalmente essere la protagonista della propria.
Se Rian Johnson è il più vituperato dei registi di Star Wars, è per questa volontà di compiere un taglio netto col passato. I numerosissimi colpi di scena del suo Episodio VIII sono il superamento delle convenzioni della saga, una sferzata ai personaggi più amati, insomma un allontanamento radicale dai propri padri. «Lascia morire il passato. Uccidilo, se necessario. È il solo modo per diventare ciò che devi». Con questo testamento, il Kylo Ren di Adam Driver dava il colpo mortale a ogni nostalgia. Se pure la comprimaria Rey non aveva accettato di regnare la galassia con lui, i due erano inevitabilmente padroni dell’orizzonte che gli si apriva davanti. I riesumati dell’episodio successivo ci hanno impedito di vedere che ne sarebbe stato, ma del resto è questa la sorte di tutti i film di Johnson: le possibilità sono aperte per una situazione di cui percepiamo solo l’inizio, mentre l’avventura appena vista è arrivata alla conclusione. Allo stesso modo difficilmente rivedremo Marta Cabrera nel secondo capitolo di Cena con delitto, già annunciato. Questo futuro sarà soltanto suo, non sta a noi condividerlo.
Il vero plot twist è ciò che avviene dopo tutti i colpi di scena minori. È il destino dei protagonisti quando gli viene donata una nuova vita, un’altra opportunità. Ma è anche un permanente congedo autoriale, la decisione del regista di smettere di governare le sue creature: d’ora in poi, toccherà a loro scriversi una storia da sé. È ciò che il truffatore Bloom (Adrien Brody) rimprovera al collega e fratello Stephen (Mark Ruffalo) di non lasciargli fare in Brothers Bloom, l’esperimento meno riuscito del regista. Artisti della frode fin da bambini, i due cercheranno di ingannare la bella Penelope (Rachel Weisz) con una truffa che si farà sempre più intricata, nel solito, insidioso viluppo dai risvolti continui. Ma Penelope e Bloom si innamoreranno, e sarà soltanto il sacrificio del fratello a concedere loro la libertà. Stephen si fingerà dapprima morto, poi dirà che era uno scherzo, e infine scopriamo che era morto davvero. Il tappeto ci viene tolto da sotto i piedi, ancora e ancora. Come in Cena con delitto, la morte sarà l’inganno perfetto, «quello in cui tutti ottengono ciò che vogliono», ovvero, per i nuovi amanti, l’essere dispensati dal trascorrere un’esistenza prevedibile, nella monotona attesa del prossimo colpo da pianificare. Anche lo stupore, alla lunga, stanca. Dopo l’ennesima virata, si cerca uno spiraglio, nel labirinto in stile Rian Johnson. Avanti e indietro tra vicoli ciechi e passaggi inaspettati, prima di trovare l’uscita verso il futuro.