Tutti sono in cammino: Kirina, l’opera africana di Serge-Aimé Coulibaly, celebra l’anima migrante universale di Carla Di Donato

foto Phlippe Magoni

È autentico questo incontro tra i mondi, tra i continenti africano ed europeo avvenuto sul palco del teatro Argentina in prima nazionale in occasione dell’apertura della trentatreesima edizione del REF?
Kirina, opera per nove danzatori, un attore, quattro musicisti e quaranta figuranti (dell’Accademia Nazionale di Danza) nata dalla collaborazione tra il coreografo Serge-Aimé Coulibaly – già danzatore per Les Ballets C de la B di Alain Platel e per Sidi Larbi Cherkhaoui e fondatore del Faso Danse Théâtre – la cantante maliana, icona della musica mondiale, Rokia Traoré e lo studioso, scrittore ed economista Felwine Sarr (celebre autore di Afrotopia), unisce e turba, esalta ed ammalia un pubblico occidentale entusiasta (forse non tutto?) che ha gremito un simbolo del teatro all’italiana quale è l’Argentina di Roma. Il titolo dello spettacolo è il nome della località situata nell’odierno Mali dove si è svolta l’ultima battaglia da cui è nato l’impero mandingo nell’Africa Occidentale. Ma è anche un luogo leggendario evocatore di ricchezza e fierezza per i popoli africani, oggi in marcia verso l’Europa.
Ed è proprio il percorso tra i mondi, l’eterno ciclo dell’essere “migrante”, in cammino, del tendere verso un’altra parte di mondo, a caratterizzare questa edizione del Festival – dal titolo Between Worlds – e costituire il cuore dello spettacolo, frutto di collaborazioni eccellenti, che però non solo nelle intenzioni ma soprattutto negli esiti, mira a proporsi più come una serie di quadri e come una traccia drammaturgica che come un’“opera” definitiva.
Al centro del racconto di Kirina c’è la figura del griot (poeta e cantastorie) contemporaneo, il paroliere che in un linguaggio slam-rock, ci introduce alla storia, in quanto testimone dei fatti. Siamo davanti ad una scena scarna, costituita da cinque alte pile/torri di panni (tutti sulle tonalità del rosso/violetto), prima a simboleggiare il luogo della battaglia poi utilizzate a disegnare lo spazio in modo circolare come simbolo dell’eterno cammino dei popoli in marcia in una danza di gruppo che reitera sequenze di base ad intervalli regolari dando vita alla poetica che si esprime in: Tutti i colori dell’umanità si spostano e si muovono. Tutti sono in cammino. Da qui prende “anima” Kirina, le anime non hanno colore.

foto Sophie Garcia

Il bagaglio dei popoli in marcia non è solo umano, affettivo, ma anche culturale e storico ed è proprio sul tema politico che in conferenza stampa Coulibaly ha sottolineato la centralità del tema della pluralità della dignità delle storie versus il monocentrismo occidental-europeo. <<In Africa noi studiamo l’Impero Romano, perché voi non sapete nulla dell’impero mandingo?>>, interroga Coulibaly. Nella capitale da qualche giorno il coreografo e regista del Burkina Faso che sin dalle sue collaborazioni come danzatore con Platel e Cherkhaoui già studiava e cercava la propria strada artistica, sottolinea e fa riflettere come il tema centro-periferia sia globale, cruciale ed ineludibile. Il patrimonio storico-culturale dell’Africa (anche se in questo caso è l’ Africa Occidentale) costituisce la periferia della storia mondiale nonostante sia assolutamente parte della storia globale. Lo stesso Coulibaly porta ad esempio l’esito della battaglia di Kirina: la stesura di un trattato che garantì un lungo periodo di pace e prosperità è molto vicino all’attuale Carta Universale dei Diritti Umani, di cui rappresenta un illustre precedente.
Questo spettacolo è dunque anche un’occasione politica che vuole spingere ad una consapevolezza maggiore, radicandola ogni volta nel territorio. I quaranta figuranti dell’Accademia Nazionale di Danza infatti rappresentano in scena la marcia dei popoli e nelle intenzioni del regista dovrebbero concretamente ricordare che la nostra storia è fatta di tante e diverse e che, se il nostro quotidiano è intriso di incrocio tra culture e mondi, riunirli in scena è un segno di convivenza artistica vitale. Le proiezioni sul fondo palco sono un monito: ogni epoca storica ha avuto un popolo in marcia e ha visto migranti affrontare il mare e l’ignoto.
Sostenuto ed accompagnato da un’architettura sonora propulsiva di eccellente livello data dai musicisti e due cantanti live, in Kirina con la danza energica, ipnotica e crescente di turning e falling down il cerchio esplode, il griot, presente all’inizio riappare e combatte, la “folla” urla, si schiera, divampa la battaglia… e lascia corpi esanimi e tracce della sua distruzione sparse ovunque.
La danza di Coulibaly esplode sul palco soprattutto grazie ai danzatori del Faso Danse Théâtre impegnati in danze estatiche e rituali con la profondità e la perfezione dei loro cambré e revers a terra, dei salti e della rottura e segmentazione di micro-movimenti superiori ed inferiori ed in particolare con il solo finale di circa dieci minuti del danzatore che cattura l’intero teatro. Gli spettatori dell’Argentina incontrano l’“Altro” e ne rimangono incantati, incollati a quella creatura animale, a quel corpo che nella flessuosa potenza muscolare e disarticolazione del suono e del gesto in un plié costante che ci ricorda come tutto ciò che ha radici africane è ben “piantato” e molto vicino alla terra, da cui trae l’energia, la velocità e la forza del movimento ritmico, di contrazioni e release che disegnano circolarità, spirali e volute come del barocco veneziano accompagnate però da sonorità a-semantiche e continui strappi ovoidali delle mascelle. Esotismo entusiasta oppure occasione reale di contatto ed incontro?
La solidità della costruzione drammaturgica e del plot non sono punti di forza, entrambi troppo deboli per sostenere un reale recupero del patrimonio culturale e storico di una parte del mondo spesso consegnata ad un’iconografia superficiale e riduttiva. Lo spettacolo incide il suo segno piuttosto nella fisicità esplosiva, nel linguaggio ritual-evocativo, nell’energica potenza dei corpi scattanti e venosi, nelle musiche/voci narranti.
Kirina non ci spiega i fatti e non ci aiuta realmente a capire la storia ma dona alla danza il potere, e la grazia, di vivere i mondi diversi come uno: nel danzare circolare ed unisono all’interno del cerchio rosso, siamo tutti ed ognuno li, nell’eterno ciclo dell’andare verso… con il nostro carico di emozioni, affetti, storie, sogni e speranze.
Presto arriverà la luce. È solo questione di tempo (dal libretto di F. Sarr).
L’apertura del REF celebra in modo esplosivo ed efficace l’incontro tra i mondi… almeno in superficie. E oltre? C’è strada da fare, stiamo a vedere.

foto Philippe Magoni.

Kirina
ideazione, coreografia Serge Aimé Coulibaly
composizione, direzione musicale Rokia Traoré
basato sul libretto di Felwine Sarr
danzatori Sayouba Sigué, Adonis Nebié, Ahmed Soura, Marion Alzieu, Antonia Naouele, Ida Faho, Jean-Robert Koudogbo Kiki, Daisy Phillips/Giulia Cenni, Issa Sanou
paroliere Ali ‘Doueslik’ Ouédraogo
cantanti Naba Aminata Traoré, Marie Virginie Dembélé
musicisti Aly Keita/Youssouf Keita (balafon), Saidou Ilboudo (percussioni), Mohamed Kanté (basso), Yohann Le Ferrand (chitarra)
drammaturgia Sara Vanderieck
assistente alla coreografia Sayouba Sigué
scene Catherine Cosme
costumi Salah Barka Luci Nathalie Perrier
video Eve Martin
tecnico luci, video, suono Hermann Coulibaly, Jérémy Vanoost, Ralph M’Fah-Traoré
direttore di produzione Laure Louvat, Hanna el Fakir .

Romaeuropa Festival, Teatro Argentina, Roma, 19-22 settembre 2018.