Reduce dall’anteprima veneziana, dove è stato presentato come evento speciale nelle Giornate degli Autori, sbarca in sala Il bene mio di Pippo Mezzapesa.
Il film, dopo aver ricevuto una splendida accoglienza tra gli addetti ai lavori alla Mostra del Cinema di Venezia, dovrebbe arrivare pure al cuore del pubblico italiano grazie soprattutto all’attualità degli argomenti trattati. Il bene mio parla di crolli, di distruzione, ma anche di una memoria che va custodita nei luoghi stessi colpiti dai disastri. Elia, il protagonista, interpretato da un eccellente Sergio Rubini, si rifiuta di abbandonare Provvidenza, un paese distrutto dal terremoto e svuotato di ogni presenza umana. I pochi superstiti si sono trasferiti tutti, tranne lui, a valle, nella nuova Provvidenza. Riaffiorano così alla memoria dello spettatore le immagini del sisma de L’Aquila del 2009 o quello di Amatrice di due anni fa. Il regista (anche sceneggiatore con Antonella Gaeta e Massimo De Angelis) tocca corde ancora molto dolenti per gli italiani ed emoziona la platea con una storia a metà tra il realistico e il fantastico.
Uno dei temi affrontati dalla pellicola è estremamente legato alla realtà: l’elaborazione del lutto. Elia non riesce a lasciare la sua casa e vive nel ricordo della moglie Maria, insegnante scomparsa nel franamento della scuola elementare insieme ai suoi alunni. L’uomo rifiuta persino di recarsi al cimitero perché convinto che i morti si trovino ancora in città. <<Ricordare bisogna>> è il suo motto. Gli altri abitanti del paese, che si sono rifugiati nella new town, sono invece convinti di aver elaborato il dolore più efficacemente di Elia, provando a ricominciare altrove e allontanando il più possibile la memoria delle persone defunte.
La trama assume tratti fantastici vicini alla ghost story quando il personaggio interpretato da Rubini percepisce delle strane presenze, in particolare tra le macerie dell’edificio scolastico. Il protagonista già di per sé ci ricorda un fantasma che si aggira tra i resti delle abitazioni, raccogliendo oggetti appartenuti alle vittime e comunicando praticamente solo con il suo amico Gesualdo (Dino Abbrescia) e i gruppi di turisti che quest’ultimo accompagna in visita a Provvidenza. L’altro “fantasma” è in realtà Noor (Sonya Mellah), una giovane migrante in fuga dal suo Paese che si nasconde come lui in questo borgo abbandonato da tutti. Le loro individualità, apparentemente diverse (lui statico e legato alle proprie radici, lei dinamica alla ricerca del ricongiungimento con un familiare in Francia) si scopriranno molto più simili di quanto si possa pensare. Noor e Elia hanno modi di concepire il mondo completamente opposti, ma in un certo senso si salveranno a vicenda. Innanzitutto sono entrambi accomunati dalla clandestinità nel luogo in cui dimorano. <<Sei illegale? Siamo tutti illegali>>, dice Elia a Noor. L’incontro con la ragazza offre al protagonista un diverso approccio alla vita e lo pone di fronte ad una scelta sofferta. Insieme a Sonya Mellah, Rubini ci regala una delle scene più divertenti del film quando i due, dopo aver rotto il ghiaccio, osservano un atlante per ricostruire il lungo viaggio fatto dalla donna per arrivare in Italia. Qui l’interpretazione di Sergio Rubini è impeccabile, raggiungendo il suo apice con un toccante monologo sulla cittadina prima del sisma. L’attore è quasi sempre in scena da solo, tormentato.
Sebbene Provvidenza sia un luogo inventato, tutto nel film ci parla della Puglia – regione d’origine di Pippo Mezzapesa – dove ha ambientato la sua intera filmografia. Il regista si conferma fortemente legato al proprio territorio, così come il protagonista de Il bene mio. La sua penultima opera era stata La giornata, cortometraggio che raccontava la storia di Paola Clemente, la bracciante morta di fatica nei campi pugliesi nell’estate di tre anni fa.
Punto di forza de Il bene mio è sicuramente l’attualità degli argomenti trattati, dalla distruzione e ricostruzione post-sisma all’immigrazione clandestina, che ne faranno un film molto apprezzato. I personaggi di Elia e Noor sono entrambi positivi: ci insegnano a guardare avanti senza tuttavia dimenticare mai da dove veniamo.