Quando la Giornata Mondiale del Teatro fu istituita nel 1961 a Vienna e introdotta nel nostro paese nel 2016, nessuno avrebbe mai immaginato che per due anni – e si spera due soltanto – in questa data simbolica che coincide con il 27 marzo i teatri sarebbero rimasti chiusi per legge a causa di una pandemia. Solo pochi anni fa, gli addetti ai lavori stavano sull’orlo di una rivolta, criticando aspramente la scelta politica di rendere omaggio a questa giornata attraverso l’accesso gratuito agli spettacoli, una possibilità sentita come svalutante e lontana dal comprendere il funzionamento degli argani che muovono la macchina dello spettacolo dal vivo. Oggi che nemmeno l’accesso in sala è consentito, al mondo del teatro manca tutto. Tutto ciò che il teatro non aveva allora e tutto ciò che c’era già. Forse persino la polemica. Perché il 27 marzo 2021, di questo luogo che profuma di antico possiamo soltanto celebrarne il “ricordo”, nel silenzio e nel vuoto tra i corpi, e seduti davanti a uno schermo. E mentre respiriamo la triste constatazione che – non solo in ambito teatrale – “era meglio quando si stava peggio”, la strada per il riconoscimento dei diritti dei suoi lavoratori ci sembra ancora più lunga. Ma la storia ci ha insegnato che sono proprio le crisi profonde a innescare grandi cambiamenti. Bisogna ripartire proprio da qui, da questa grande assenza, per pensare al dopo, al ruolo che il teatro dovrà occupare per risanare le ferite emotive lasciate dall’emergenza sanitaria. L’augurio che facciamo, quindi, al teatro è che un giorno, lo stesso in cui potremo tornare ad abbracciarci senza paura, esso potrà assumersi questo delicato compito di riavvicinare i corpi fra loro, di attenuare (se non cancellare) il distanziamento sociale osservato per così tanto tempo. Nel breve periodo, invece, al teatro resterà il compito di rinsaldare ciò che è rimasto di un’identità martoriata e sconquassata come quella del nostro paese, che solo lo scorso dicembre deteneva l’infelice primato in Europa del numero di morti per Covid-19.
Questo compito potrebbe iniziare a essere svolto non da questo 27 marzo – com’era stato inizialmente reso noto, pure se nessuno ci aveva creduto – ma, si spera, da metà aprile; immaginiamo al momento che la prima regione geografica a farsene carico possa essere la Sardegna, con la consapevolezza che la situazione resti incerta e possa mutare all’improvviso, come d’altra parte è già successo, con la tanto auspicata zona bianca dal 1 marzo declassata a zona arancione (senza passare dal giallo per effetto dell’abolizione delle zone gialle dal 15 marzo al 6 aprile in previsione degli spostamenti pasquali). E se in Germania, nonostante il lockdown, si fanno prove di normalità aprendo alcuni teatri con accesso per esito negativo del tampone fatto in giornata, ospitando anche ben mille spettatori il 20 marzo, al concerto della Berliner Philharmoniker (i biglietti sono stati acquistati online registrando il tutto esaurito nel giro di pochi minuti); in Italia si spera che la situazione dei contagi possa rientrare dopo Pasqua per realizzare almeno gli eventi in cartellone al Teatro Comunale di Sassari e al Teatro Massimo di Cagliari, un programma di sei spettacoli di prosa che si estende fino a giugno, annunciato lo scorso 11 marzo in conferenza stampa dal CeDAC/Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna (che nella più rosea delle ipotesi subisce solo qualche slittamento di data). Tra i protagonisti di questa Stagione “La Grande Prosa” prevista su entrambi i palcoscenici, Arturo Cirillo, Emma Dante, l’attore e cantautore Mario Incudine diretto da Moni Ovadia e Giuseppe Cutino, Fabio Troiano e Irene Ferri, Giulia Maulucci e Mattia Fabris per la regia di Serena Sinigaglia, Nello Mascia e Andrea Renzi sotto la direzione di Marcello Cotugno, e ancora, Francesca Reggiani. Abbiamo raggiunto al telefono Valeria Ciabattoni, direttrice artistica del CeDAC, per farci spiegare che cosa significa rimettere in piedi una stagione teatrale oggi, senza avere la minima certezza che domani si potrà andare in scena, e quali sono le attese riposte nel proprio pubblico.
Si può dire che siete a tutti gli effetti “i primi” a ripartire quest’anno con lo spettacolo dal vivo in Italia?
Diciamo che siamo stati i primi a comunicarlo, ma da qui a essere i primi a ripartire c’è di mezzo il fatto che tutto potrebbe cambiare da un momento all’altro, come abbiamo visto. La “zona bianca” può improvvisamente cambiare colore e ciò resta un motivo di grande ansia.
La Stagione del CeDAC comincia il 12 aprile a Cagliari e il 14 a Sassari dopo oltre un anno di fermo per il contenimento dell’emergenza Coronavirus: le riaperture dei teatri erano state ammesse, simbolicamente, a partire da qualche settimana prima, dal 27 marzo, Giornata Mondiale del Teatro. Programmare gli spettacoli qualche settimana dopo era stata una scelta casuale o premeditata rispetto a quella data?
Ci sono diverse risposte. Il cartellone era già allestito e io avevo ipotizzato che tendenzialmente avremmo potuto aprire da metà aprile fino a giugno, forzando un po’ la mano: in Sardegna normalmente le stagioni teatrali negli spazi al chiuso terminano proprio ad aprile o al massimo durano fino ai primi dieci giorni di maggio. Una seconda risposta riguarda il fatto che lavoriamo con compagnie nazionali, e queste hanno la tendenza a non riaprire soltanto per una settimana, sono solite riprendere uno spettacolo in vista di una tournée, quindi era necessario spostare i loro spettacoli più avanti. Quando è stata data la notizia che il 27 marzo si sarebbe potuto riaprire abbiamo ipotizzato di fare un’apertura simbolica all’aria aperta: in generale, però, le condizioni di utilizzo delle piazze all’aperto non sono ancora del tutto chiare e l’ipotesi non sarebbe stata ben vista agli occhi della municipalità, si sarebbero potuti formare degli assembramenti. In ogni caso, per fare una riapertura prima ci saremmo dovuti anche fermare in corrispondenza della Pasqua, e questo avrebbe determinato uno stop and go ulteriore che abbiamo preferito comunque evitare.
Tantissimi artisti in questo momento stanno scalpitando per ripartire: immagino che la selezione degli spettacoli non dev’essere stata affatto facile. Da cosa deriva la proposta di questa stagione, si tratta di spettacoli che erano stati precedentemente programmati e rimandati a data da destinarsi oppure il campione rispecchia qualche altro tipo di scelta?
La prima delle due opzioni, più o meno. Noi lavoriamo alla programmazione l’anno precedente per l’anno successivo: quindi l’anno 2021 era già definito, anche se ho ancora quattro spettacoli della Stagione 2020 che sono rimasti fuori e che ho tutta l’intenzione di riprogrammare quando ce ne sarà l’occasione. Ho cercato quindi di mantenere l’impegno con le compagnie. Mi è sembrata la scelta più giusta, al di là del buon senso economico, perché ovviamente la riduzione al 25% della capienza delle sale non incoraggia affatto l’organizzatore e anche dal punto di vista della comunicazione questa situazione non è una cosa facile da gestire: dopo un anno ti ritrovi che con una mano stai invitando il pubblico a innamorarsi di nuovo di te e con l’altra lo devi anche un po’ scacciare, perché non hai abbastanza posto per tutti. Noi per ovviare in parte a questa circostanza abbiamo aggiunto sulle due piazze dove riprendiamo – che sono i nostri teatri più grandi – un giorno di replica. Faremo allora sei date a Cagliari anziché cinque, e due date a Sassari, dove c’è un teatro di 1300 posti: lì si possono usare tutti i 200 posti di massimale, come citato dal DPCM. Aggiungo che non volevo nemmeno fare una rassegna di monologhi, ma mantenere gli accordi presi con le compagnie. Ho fatto solo un cambio, perché una settimana prima della presentazione del cartellone una compagnia mi ha detto che preferiva spostarsi direttamente al 2022 per questioni di organizzazione della rimessa in piedi dello spettacolo, che altrimenti sarebbe risultata troppo onerosa.
Quando si è prospettata la possibilità di riaprire i battenti alle condizioni che sappiamo, sicuramente scoraggianti, ha avuto dei dubbi? Cosa comporta questa riapertura a livello economico per il CeDAC?
C’è stata all’inizio una discussione che ha portato alla messa a fuoco del problema. Alla fine non fa tanto la differenza tra 200 posti e 170. Pensiamo al di là di tutto che la riapertura sia un simbolo. Ci aspettavamo a livello nazionale che si alzasse un po’ l’asticella del distanziamento in teatro. Se garantisci un metro di distanza tra una poltrona e l’altra, e quindi una poltrona libera davanti, indietro e a fianco, e dai la possibilità di tenere la mascherina per tutta la durata dello spettacolo, la situazione è ancora gestibile, si è in sicurezza. I teatri si sono dimostrati sicuri, anche durante la breve parentesi estiva-autunnale. Hanno sempre rispettato i protocolli di sicurezza, sia per quanto riguarda il pubblico sia per gli attori e i tecnici, com’è giusto che sia. Dal punto di vista economico, il CeDAC è Circuito Multidisciplinare per lo Spettacolo dal Vivo, riconosciuto dal MiC, per cui il bilancio è coperto. Si capirà più avanti esattamente con quali modalità. A prescindere da questo, il contributo del 2020 è stato garantito al 100% pur avendo svolto meno attività. Per il 2021 ci sono delle assicurazioni quanto meno per garantire un 65% del contributo, e poi si vedrà a consuntivo quante attività si potranno fare. La partita è ancora aperta. Un altro importante contributo proviene dalla Regione Sardegna. Ovviamente lo sbigliettamento non sarà un indice importante in questa occasione, normalmente nei nostri bilanci vale un terzo delle entrate, rispetto agli altri contributi. Un terzo è rappresentato dal contributo ministeriale, un terzo da quello della Regione, poi ci sono gli enti locali e, infine, lo sbigliettamento. Per quest’ultimo segmento – che è piccolo, ma ci auguriamo che dall’estate in poi ci sia qualche variazione in positivo – abbiamo misurato il rischio di cosa accadrebbe se non ci fosse uno sbigliettamento importante. La cosa più dolorosa, persino per un circuito come il nostro, è che non tutti i teatri superano gli 800 posti di capienza. Per cui, a queste condizioni, i teatri con meno di 300 posti di capienza rischiano di continuare a rimanere chiusi a fronte di quote dei piccoli comuni che sono molto limitate: si possono far entrare solo 50 o 70 persone, una situazione ancora più respingente. Abbiamo per questo riaperto i giochi soltanto per le città di Cagliari e Sassari, dove non riaprivamo i battenti da un anno. Solo a settembre, a Cagliari, siamo riusciti a fare una rassegna di circo contemporaneo, ma questa l’abbiamo realizzata all’aperto. Non avevamo più avuto occasione di ritornare in scena con spettacoli di prosa, perché in estate non c’erano gli spazi giusti per ospitare le produzioni e, soprattutto, per accogliere il pubblico: a Cagliari abbiamo tantissimi abbonati, solo per il segmento prosa contiamo 2600 abbonati, senza contare la danza. In tutto sforiamo i 5000 abbonati: organizzare una programmazione di recupero per loro, di questi tempi, sarebbe stato impossibile. Nelle altre piazze, invece, ovvero nei teatri di provincia, siamo riusciti a recuperare tutti gli spettacoli delle compagnie che erano state bloccate da marzo. Le abbiamo riprogrammate da luglio fino a metà settembre, in spazi all’aperto messi a disposizione dai vari comuni. Una novantina di recite estive: non sono affatto poche.
Facciamo ancora un passo indietro. Che cosa è accaduto e quali iniziative sono state svolte dal CeDAC negli ultimi mesi, da novembre in poi?
In autunno, prima delle chiusure a ottobre, abbiamo fatto dal vivo oltre alla rassegna di circo contemporaneo che dicevo prima anche l’apertura e la chiusura di una rassegna di jazz (perché abbiamo anche un circuito di jazz club). Per fortuna avevamo concentrato le attività sul periodo antecedente. Io sono contraria – come tutti d’altronde – allo streaming, preferisco lo spettacolo dal vivo. Non siamo produttori direttamente, e quindi da novembre ho preferito sviluppare tutta un’altra serie di attività online, piuttosto che proporre spettacoli in streaming. Abbiamo fatto un progetto sulla promozione della lettura, invitando attori e autori a parlare di vari testi, seminari con insegnanti, studenti e operatori del settore per approfondire certe tematiche o le tecniche drammaturgiche, coinvolgendo anche Giorgio Testa della Casa dello Spettatore di Roma. Abbiamo, inoltre, fatto partire un progetto che al di là della pandemia credo proseguiremo anche più avanti, sulla creazione di una biblioteca virtuale. Abbiamo proposto dei cofanetti tematici dedicati a tre drammaturghe, presentate attraverso la conversazione con un docente universitario, come fosse stata una sorta di lezione di teatro. Ne metteremo in cantiere circa tre all’anno, dipende anche dalla disponibilità degli attori, perché in fin dei conti si spera che ritorneranno a lavorare sui palcoscenici a pieno regime. Un’altra cosa che mi piace raccontare è che abbiamo iniziato a produrre un audiolibro, sempre all’interno del progetto per la promozione della lettura: abbiamo utilizzato attori locali e abbiamo incominciato a fare delle letture che presenteremo a breve. L’audiolibro nasce da un accordo con il sistema bibliotecario regionale sardo e le associazioni di ipovedenti. Abbiamo somministrato una sorta di catalogo-incipit e abbiamo chiesto di votare i titoli preferiti contenuti all’interno: i più votati sono stati Il giovane Holden di J. D. Salinger e Il Milione di Marco Polo.
Quale è stata la reazione che ha avuto quando si parlava delle riaperture dei teatri anche in zona gialla, sempre dal 27 marzo? Era una data verosimile o era per Lei già chiaro che non sarebbe stato così?
Una parte razionale ci stava dicendo “non ci faranno riaprire”, anche perché sembra più che altro una boutade improvvisata, anche se lanciata con le migliori intenzioni del mondo. Mentre ci si stava preparando a ulteriori restrizioni, affermare «riapriremo i teatri il 27 marzo» ha fatto pensare subito a un controsenso. Dall’altro lato, c’è stata una parte irrazionale, uno spirito un po’ sognatore. Abbiamo voluto crederci, perché altrimenti non avremmo più presentato la Stagione. Da qui la scelta di lavorarci comunque, anche se, dopo un anno di astinenza per il nostro pubblico (che è anche un pubblico di una certa età), sappiamo che potrebbe non essere semplice ritornare a teatro.
Con quale stato d’animo tornerà il pubblico a teatro, secondo Lei? Ci sarà la paura di contagiarsi o prevarrà il desiderio di godersi lo spettacolo?
Periodicamente abbiamo mandato una newsletter con inviti a partecipare alle attività che abbiamo fatto negli ultimi mesi e in queste occasioni abbiamo chiesto ai destinatari di dirci quali fossero le loro sensazioni. C’è un 50% di pubblico che tornerebbe appena possibile a teatro e un 50% che invece non lo farebbe subito senza essersi prima vaccinato. Anche fra chi ci comunica che non vede l’ora di tornare a teatro bisogna vedere poi sul momento chi vi ritornerà davvero, e quali saranno le condizioni con cui ci faranno riaprire. Durante tre settimane circa di “zona bianca” c’è stata comunque molta assenza in giro. Da un certo punto di vista, avere la disponibilità di una sala contingentata aiuta a risolvere a noi operatori culturali un altro problema: se non avessi infatti una sala così contingentata, probabilmente dovrei fare la “caccia allo spettatore” per convincerlo al 100% del fatto che non c’è da avere paura. Così, invece, sembra di fare un lavoro abbastanza “rilassato”. Ci troviamo a reinventare e a rimodulare la carica, la strategia, giorno dopo giorno. È confortante che subito dopo la conferenza stampa di presentazione del programma abbiamo ricevuto tantissime telefonate e e-mail da parte del pubblico e degli abbonati per chiederci quando e come abbonarsi, se – per fare una battuta – sarà messo a disposizione in platea il proprio “storico” posto! Abbiamo percepito molto slancio da parte di numerosissimi e affezionati spettatori. Era una notizia che si aspettava e la risposta ci conforta. La campagna abbonamenti è appena iniziata – ci si può recare al Box Office a Cagliari e alla Libreria Koinè di Sassari ma è possibile anche acquistare gli abbonamenti online su vivaticket.it. I primi riscontri sono sicuramente positivi. Si avverte un desiderio, se non una necessità, di tornare a teatro.