Nato nel contesto del Cantiere dell’immaginazione – la stagione 2020-2021, il laboratorio Immagini di città del Teatro di Roma rappresenta una traccia ulteriore del percorso di riflessione e osservazione sulla città intrapreso dallo Stabile Nazionale in questi mesi di sospensione. Una proposta di pratica collettiva nel teatro che riesce a farsi altro, tessendo nuove trame d’incontro tra memorie e nuovi sguardi. Ce ne ha parlato Graziano Graziani, curatore del progetto.
Come nasce l’idea per il laboratorio Immagini di città?
Il progetto è nato sulla base di un altro progetto che porto avanti nelle scuole tutt’ora dal 2016, dedicato alla Costituzione, in cui le classi elaborano possibili riscritture. Ho pensato che si potesse estendere questo meccanismo partecipativo all’idea della mappa cittadina. La mappa è uno strumento non soltanto di orientamento: anche in una chiave superficiale, approssimativa, parziale, ti racconta una visione della città. Per far ciò, abbiamo pensato di creare un percorso più articolato che coinvolgesse una serie di autori in questa prima fase del laboratorio, che potessero condividere una lettura di Roma sulla base di strade, piazze e monumenti.
L’idea di partenza è venuta anche sulla base della contestazione del movimento Black Lives Matter in Inghilterra: l’abbattimento avvenuto a Bristol della statua di Edward Colston, benefattore della città ma allo stesso tempo grande commerciante di schiavi, era l’esempio dell’ambiguità della storia europea. Il laboratorio vuole mettere l’accento proprio su questo, sul fatto che la celebrazione è sempre una storia di parte, e che questa storia di parte alle volte è problematica. Perché allora non utilizzare gli strumenti dell’immaginazione, della sovrascrittura, della risemantizzazione, per rileggere Roma? Ci è sembrato importante mettere insieme questi elementi, proponendo un esercizio, un incontro tra pulsione politica, soluzione artistica ed intervento urbano.
È interessante notare che questa proposta sia stata accolta dal Teatro di Roma. Come si incontrano queste pulsioni con l’ambito teatrale?
Sembra strano perché i teatri non fanno molti progetti di questo tipo in Italia, ma in realtà in Europa – basta guardare il caso di Milo Rau – sono molti i teatri che fanno attivismo, non nel senso di intervento politico militante, ma di trasformazione della realtà politica attraverso lo strumento dell’arte. Poi era abbastanza naturale che fosse proprio il Teatro di Roma a farlo, perché ha già una tradizione di laboratori partecipativi. A Roma sono dedicati alcuni lavori chiave di Giorgio Barberio Corsetti, come il Cantiere Amleto, come anche il racconto della trasformazione dovuta al coronavirus attraverso Metamorfosi Cabaret. È stato naturale quindi includere nelle collaborazioni Dominio Pubblico, che è parte di questi progetti da parecchio tempo, e l’Università Roma Tre, per intercettare le fasce giovanili degli studenti universitari tramite la mediazione del professor Stefano Geraci, docente di storia del teatro particolarmente attento alla tematica essendo stato lui stesso parte della commissione comunale.
Cosa è emerso dagli incontri già avvenuti?
Le persone che li hanno condotti erano esperte ed i temi erano, secondo me, molto interessanti: il residuo, la traccia del fascismo e del colonialismo, analizzata da Igiaba Scego e Alessandra Tarquini; i meccanismi con cui si attribuisce un nome nella toponomastica, il funzionamento della commissione, raccontati da Stefano Geraci; il tema della carenza dei nomi femminili esposto da Barbara Belotti. Nel terzo appuntamento abbiamo avuto una parte un po’ più ludica, trattando delle toponomastiche bizzarre insieme a Max Collini, che io spero possa essere d’ispirazione per il lavoro successivo, immaginando di incontrare tra le nostre strade un protagonista di un libro, di una favola, o personaggi popolari. Questo è quello che cerchiamo: un segno differente.
Dopo l’ultimo incontro online, come si svolgeranno le due fasi successive del laboratorio?
Sovrascrivendo queste letture dei vari ospiti che servono da spunto, l’ipotesi successiva è di percorrere le strade, accompagnati da associazioni e autori che conoscono il territorio, e poi sulla base di tutti questi stimoli elaborare una nuova mappa. I partecipanti si divideranno in gruppi, di modo da pluralizzare sia le proposte che le zone di attraversamento della città. Successivamente tutti i segni proposti confluiranno in momenti di confronto assembleari, per poi incontrarsi, attraverso l’omogeneizzazione ad opera degli artisti coinvolti, in un lavoro grafico unitario, presentato poi in un momento espositivo dedicato alla città di Roma. È chiaro che agire con un metodo di lavoro collettivo così articolato significa andare a far sedimentare tanti segni che raccontano la città: ragionare su come sta cambiando e come potrebbe cambiare, canalizzare l’attenzione su qualche cosa che invece di solito è molto statica, come i nomi delle strade e delle piazze, provando anche a raccontare quali sono i punti di vista politici che si stanno agitando in questo scorcio storico.
Cosa si propone di innescare l’iniziativa?
Due cose. Da un lato, un esercizio critico di immaginazione. Critico, nel senso che legga la parzialità delle storie ufficiali. Di immaginazione, che proponga modalità anche impreviste di ridefinizione dei simboli che raccontano la storia. Quindi un lavoro anche di conoscenza, perché non si tratta semplicemente di descrivere, si tratta prima di attraversare, e quindi conoscere.
Dall’altro lato, si auspica che possano in qualche modo stimolare ed essere di ispirazione per percorsi partecipativi, per esempio sugli aspetti dei riassetti urbani che hanno a che vedere con gli elementi simbolici di racconto di un territorio. I processi partecipativi sono evidentemente momenti importanti, affinché la cittadinanza si senta non soltanto parte della città che vive, ma soprattutto parte attiva, e prenda parola nel dialogo con le istituzioni. Modalità partecipative di cui secondo me la città potrebbe giovarsi, con molto profitto da tanti punti di vista.
Questo è vero in qualsiasi città, ma sembra forse un’urgenza ancora più viva a Roma…
In parte è vero, nel senso che Roma è anche una città particolare che rende il laboratorio fortemente interessante, ma anche perché ha subito, negli ultimi decenni, una percezione di scollamento dalle amministrazioni. È un discorso di percezione più che di sostanza, ma proprio perché questa percezione esiste, è importante ricucire, dando ai cittadini la parola e la possibilità di azione: un dialogo osmotico e di scambio reale tra cittadinanza e istituzioni è importante. Il Teatro di Roma chiaramente non può occuparsi di queste modalità, ma fa politica culturale, quindi può suggerire un utilizzo dell’immaginazione per operare modalità di coinvolgimento, che è quello che stiamo cercando di fare in questo laboratorio.
Iniziato nel marzo scorso, il laboratorio vedrà, nei prossimi incontri trasmessi sul canale Youtube del Teatro il 15 e 21 aprile (ore 13), gli ospiti Filippo La Porta, Vanessa Roghi, Paolo Fallai e Giorgio de Finis accompagnare i partecipanti dai luoghi della Roma letteraria a quelli “sbagliati” o sovrascritti dai fregi, allargando ulteriormente l’orizzonte immaginativo.