Rimaniamo così, attoniti, quasi storditi, increduli seppure questa sua assenza prolungata, questa astenia di informazioni sulla sua persona ci avessero fatto prefigurare il peggio ancor prima che accadesse. La fine terrena di Franco Battiato è un lutto per tanti, davvero tanti in quell’anagrafe scomposta di comunardi giovani e attempati oggi orfani di una lucidità rara di sguardo sull’umano, sulle smisurate varianti che lo definiscono questo umano, fragile e infinito quanto lo spirito. Tutto l’universo obbedisce all’amore erano le parole di Manlio Sgalambro depositate sulle note che Battiato ha raccolto nel disco Fleurs 2, e per noi che ne abbiamo amato la stravagante bellezza di essere una figura depotenziata rispetto al narcisismo dei tantissimi artisti o presunti tali, ne immortalano la sua essenza e la sua assenza. Definiscono un carattere quasi confidenziale di un intellettuale lontano anni luce dal ciarlare e dal pettegolezzo, seppure così prossimo, così presente, pronto ad annaffiare l’arido terreno della solitudine esistenziale che portiamo dentro.