Ritornare a teatro dopo i mesi drammatici che abbiamo attraversato è stato come ritrovarsi. Ritrovare se stessi. Ritrovare quel miracolo misterioso che avviene ogni qual volta ci predisponiamo ad ascoltare/guardare qualcuno capace di parlarci proprio di noi. Di noi tutti. Che meraviglia! E che bellezza straziante in questo Furore di John Steinbeck che Emanuele Trevi ha adattato per Massimo Popolizio, unico interprete e autore del progetto, conferendo al capolavoro del celebre scrittore americano (di cui Bompiani ha pubblicato nel 2017 una nuova traduzione integrale di Sergio Claudio Perroni, introdotta dalle pagine illuminanti di Luigi Sampietro) una forza teatrale davvero intensa: le parole si fanno immagine, le immagini amplificano la narrazione, la musica eseguita dal vivo dal percussionista Giovanni Lo Cascio aggiunge pathos al racconto. L’insieme è vitale. Attualissimo. Raffinato. E oggi suona persino profetico visto che lo spettacolo (in cartellone all’Argentina dal 18 al 30 maggio e ora allo Strehler di Milano) ha debuttato al Teatro India di Roma nel 2019, poco prima che la pandemia da Coronavirus scompaginasse il mondo portando con sé morte e miseria.
E proprio di miseria, di migrazioni, di strappi disumani, parla questo romanzo edito nel 1939 con il titolo “biblico” The Grapes of Wrath (letteralmente, I grappoli dell’ira) in cui Steinbeck trasformò in grande letteratura una serie di articoli scritti tre anni prima per il “San Francisco News”, nei quali aveva descritto le dure condizioni di vita dei braccianti del Midwest costretti a migrare verso la California a causa della siccità e della speculazione bancaria. Uno spaccato umano dolente, tragico, che tuttavia trasuda speranza, vigore, fiducia nel prossimo, nel futuro. Quella stessa epopea, figlia della Grande Depressione, era stata immortalata dalle magnifiche fotografie di Dorothea Lange (autrice anche dell’ineguagliabile Migrant Mother del 1936) e Walker Evans che nello spettacolo di Popolizio vengono proiettate sul fondo mentre l’interprete/narratore – voce esterna e insieme interna alla vicenda – rievoca il dramma di milioni di americani in uno story-telling dal registro epico, ma mai freddamente straniato, cui il bravo attore regala tutto il suo intelligente istrionismo, la sua eclettica espressività mimica e, tanto più, vocale.
Nel corso dei diversi quadri che compongono questo importante lavoro, assimilabile per certi versi agli esiti migliori del repertorio di Marco Paolini (pensiamo soprattutto a Vajont e Il Sergente), gli uomini, le donne, i bambini, i vecchi in marcia lungo la Route 66 diventano figure palpabili, concrete, vere. Un grumo di pietas virgiliana ne accompagna i timori, le sofferenze, la fame, la disperazione. Eppure lo sgomento vira spesso in caparbia determinazione; il terrore di non farcela in irriducibile speranza; la drammaticità più acre in materna salvezza (quanto mai emblematica in tal senso l’immagine finale della donna che nutre con il suo latte un uomo in fin di vita). Come se, in fondo, dinanzi alle grandi sciagure collettive, alle calamità naturali, ai barconi che affondano, alla povertà che attanaglia, ai virus che uccidono, l’Uomo potesse sempre opporre la propria umanità. La compassione che ci fa simili. La vicinanza agli altri e degli altri. Quei destini comuni nei quali, ieri come oggi, ci dibattiamo fragili.
Furore
dall’omonimo romanzo di John Steinbeck
adattamento Emanuele Trevi
un progetto di e con Massimo Popolizio
musiche eseguite dal vivo Giovanni Lo Cascio
foto Federico Massimiliano Mozzano
artwork Le ali advertising.
Produzione Compagnia Umberto Orsini e Teatro di Roma – Teatro Nazionale.
Teatro Argentina, Roma, dal 18 al 30 maggio 2021.
Teatro Strehler, Milano, fino al 20 giugno 2021.