«Nei miei sogni di bambina immaginavo spesso di essere un pupazzo e un giorno in una città straniera, in una vetrina, mi sono riconosciuta! Eccomi!!!». È questa la citazione con cui si apre il numero 599 della rivista “Bianco e Nero” che, uscito prima dell’estate e curato da Maurizio Porro, il Centro Sperimentale di Cinematografia dedica all’attrice più sensibile, eclettica, generosa, sorprendente della scena italiana (se non addirittura europea) contemporanea: Mariangela Melato. La foto di copertina, scattata da Pino Settanni e messa gentilmente a disposizione dello storico quadrimestrale dall’Istituto Luce, sembra un’incarnazione di quello stesso sogno. Gli occhi della superba interprete (scomparsa nel 2013) appaiono velati da una liquida malinconia e somigliano incredibilmente a quelli del fantoccio che ella stringe tra le braccia. Ma in quella stilla di malinconia si annidano in realtà anche un sorriso, una dolcezza accogliente, una-cento-mille sfumature espressive. Tutte quelle sfumature espressive di cui Mariangela Melato (avrebbe compiuto 80 anni il 19 settembre scorso) ha nutrito i suoi personaggi, sia a teatro, sia sul grande e sul piccolo schermo, senza mai risparmiarsi e senza mai rinunciare alla sua profonda umanità.
Una grande artista e una grande donna: ecco il doppio binario su cui corre questa importante pubblicazione che anche nell’impianto editoriale e iconografico (a cura di Alessandra Costa) intercetta pienamente la talentuosa proteiformità della Melato. Via via, infatti, che si scorrono le oltre centonovanta pagine della rivista; via via che si segue la scansione della materia, articolata in quattro contenitori fondamentali (Mariangela sullo schermo, Mariangela sul palcoscenico, Mariangela in tv e La chiamavano “La Melato”); via via che l’affascinante corredo di immagini galoppa nei decenni restituendoci la vividezza di quello “stare nel personaggio” che rappresenta un patrimonio inestimabile di Arte per tutti noi e – tanto più- per le generazioni future, il profilo biografico-artistico di Mariangela Melato racconta mezzo secolo di teatro, cinema e televisione italiani.
E lo fa attraverso la voce di numerosi studiosi, giornalisti, artisti, operatori culturali, registi che l’hanno conosciuta, che hanno seguito la sua carriera o che hanno avuto la fortuna di lavorare con lei. Ai diversi contributi critici si alternano, infatti, testimonianze dirette quale quella, particolarmente nutrita, riservata ai colleghi dell’Orlando Furioso di Ronconi (Ottavia Piccolo, Massimo Foschi, Paola Gassman e Luigi Diberti) e corpose interviste tra le quali citiamo, solo per fare qualche esempio, quelle ad Agostina Belli, Pupi Avati, Eros Pagni, Sergio Escobar, Toni Servillo, Roberta Carlotto, Renzo Arbore, Anna Melato (sorella dell’attrice), Tommaso Le Pera.
La traiettoria più precipuamente critica del volume inizia con un editoriale a firma di Felice Laudadio, ex Presidente del Centro Sperimentale, che nelle sue righe introduttive (completate dalla bella conversazione del ‘78 pubblicata in appendice) sottolinea il “talento”, il “rigore” e l’“ironia” dell’attrice milanese e li racconta collegando in modo emblematico i suoi esordi alla sua ultima e straordinaria prova teatrale: Il dolore di Marguerite Duras. Nell’arco temporale sospeso tra questi poli, si collocano le interpretazioni brillanti dei primi film (ne scrivono Emanuela Martini e Gabriele Porro), il sodalizio con Lina Wertmüller e con Giuseppe Bertolucci (di cui si occupa il contributo di Anna Bandettini), le esperienze cinematografiche oltreoceano, le gigantesche interpretazioni dirette da Dario Fo, Luchino Visconti, Giorgio Strehler, Luca Ronconi (a ricordale Gianfranco Capitta e ancora Bandettini), il legame con lo Stabile di Genova e con Bruni-De Capitani, la breve – ma incisiva – carriera televisiva.
C’è da dire che tutto questo prezioso materiale (citato solo in parte) trova, secondo noi, il suo collante e il suo perno centrale nel bel saggio di Maurizio Porro “Melato anagramma di Amleto”, pubblicato subito dopo l’editoriale. Facendo leva su tanti ricordi personali e ragionando con arguta sensibilità su alcuni snodi professionali dell’attrice, il critico giunge all’essenza stessa della Melato “attrice”: «Mariangela era antica e moderna, nostra contemporanea ma anche seduta sulla tradizione, sulla poesia di ieri, commediante, spiritosa, e tragica come poche Fedre o Medee furono, andava chez Maxime da Feydeau e poi tornava a compiere i suoi giochi di prestigio ronconiani (…)». Ma sempre tra queste righe si fa spazio, però, anche un sentimento di affettuosa e profonda amicizia per la “donna”, per la persona. Come se davvero in lei Arte e Vita coincidessero. E come se davvero quel pupazzo della vetrina fosse stato il segno premonitore di un’intera vita. «Era una donna» – scrive ancora Porro – «forte, consapevole, così la figurina era apparsa ed era diventata icona: ma dietro al letto nella sua camera aveva raccolto e disposto in protettivo assemblamento tanti angioletti, piccoli, grandi e medi, che gli amici le regalavano. E intanto di notte pensava e anagrammava il suo cognome: Melato si può pronunciare anche Amleto. Vuoi vedere che prima o poi l’avrebbe incontrato?».
AA.VV., Mariangela Melato, numero 599 di “Bianco e Nero”, rivista quadrimestrale del Centro Sperimentale di Cinematografia, Edizioni del CSC in collaborazione con Edizioni Sabine, pp. 192, euro 18,00.