Nella suggestiva cornice del TeatroBasilica di Roma, lo scorso 25 ottobre, è stato tratteggiato, attraverso un’inedita “messa in scena”, un ritratto di Gerardo Guerrieri. Letture, interventi, immagini, video e narrazioni hanno raccontato la presenza, ora pubblica, ora sottotraccia, di un uomo di teatro che ha attraversato, per più quarant’anni, con uno sguardo fertile e mai appagato, i principali crocevia del teatro italiano. Dodici “scene” hanno raccontato il molteplice operare di Guerrieri – regista, dramaturg, storico, traduttore, inventore di relazioni internazionali e impareggiabile cronista e narratore – con lo sguardo rivolto agli snodi e alle tracce inedite di figure leggendarie e dei loro reciproci rapporti.
Profilo di una vita nel teatro, per il teatro
Al centro del palco, in penombra, un tavolo e quattro sedie. Sedute ai primi posti della platea, Anne D’Arbeloff, moglie di Guerrieri e la figlia, Selene Guerrieri, promotrice dell’evento insieme all’Associazione Gerardo Guerrieri. Ad avviare i lavori, Stefano Geraci e Antonio Calenda; attraverso ricordi personali e citazioni dagli scritti dello stesso Gerardo Guerrieri, introducono il pubblico alle molteplici tematiche e suggestioni che caratterizzano la giornata di studi.
Il Dottor Filadoro è la prima lettura in programma, proposta e commentata dall’attore e regista Ulderico Pesce. Al brano seguono memorie e aneddoti di un tempo lontano in cui la «storia teatrale» di Guerrieri ha avuto inizio, tra teatro universitario e fascismo; un tempo caratterizzato dal vuoto di memoria della generazione dei registi e la lotta di Guerrieri contro questa «giovinezza simulata», rubata.
Durante la Scena Prima, intitolata È una bella storia, triste per me, ma bella, in riferimento all’omonimo testo di Guerrieri, si sente la voce dell’attrice Giulietta Masina, testimonianza sonora dell’esperienza dei teatri GUF, mentre Ferruccio Marotti, primo invitato al tavolo dei commensali, inizia a raccontare di quegli anni in cui al fianco di Gerardo Guerrieri si alternarono amicizie proverbiali come quella con Ruggero Jacobbi – a completare la coppia di «dioscuri del teatro», come erano solitamente soprannominati – e letture a doppio fondo, da Aristofane a Stanislavskij, tutto il mondo russo e poi quello americano, l’estremismo «non in politica, ma nel pensare», di chi vuol «fare del teatro un campo di combattimento», e che diventa ben presto «uno spettatore implacabile»: Scena Seconda. Le letture Wanda Osiris al Valle e Si muove o non si muove la madonna di Assisi?, come molte altre della giornata, sono curate dal Gruppo della Creta e vedono avvicendarsi al leggìo Alessio Esposito, Maria Lomurno, Matteo Baronchelli e l’attrice Daniela Giovanetti, diretti da Alessandro Di Murro e Stefano Geraci. Prendendo parte al dialogo, Emanuela Bauco, racconta il teatro GUF come via d’uscita, difesa dalle costrizioni; la necessità di un nuovo modo politico per chiarire le posizioni umane che, altrove, non hanno possibilità di essere sperimentate. Siamo negli anni Quaranta, nel momento in cui nascono la cronaca e le riviste come esperienza della realtà, mentre reportage e inchieste diventano parte considerevole del nuovo giornalismo. Gerardo Guerrieri è nella redazione de “L’Unità”: un critico “anomalo” che non rientra nei canoni consueti dell’epoca. Anche se parla degli spettacoli, ne scrive da una strana posizione sperimentando, attraverso l’ufficio del critico, la realizzazione di veri e propri racconti e disegnando un filo nel teatro e per il teatro. A questo punto abbiamo il primo intermezzo: Interni teatrali. Lettura de I funerali di D’Amico. Successivamente, durante la Scena Terza – Amico e maestro: Luchino Visconti – viene letto il testo Un viaggio in un paese inventato e ascoltati gli audio di brani tratti da Zio Vanja e Il giardino dei ciliegi. Chiude la prima parte della giornata un altro intermezzo: Interni teatrali. Vanja: prove generali.
Durante la seconda parte della giornata, il palcoscenico del TeatroBasilica è destinato ai racconti legati a tutti quei personaggi dei «teatri in forma di libro», ai quali Gerardo Guerrieri ha dedicato gran parte del suo impegno. Di fatto, la Scena Quarta riguarda un libro fallito – o meglio incompiuto, costruito su relazioni, ricerche e materiali andati, infine, sprecati – ricordando sempre quanto valore abbia, poi, questo spreco, quanta vita ci sia nell’attrito. Laura Mariani, con voce serena e puntuale, racconta del rapporto che si stabilisce tra chi scrive una biografia e il soggetto biografato e della straordinarietà generata quando ad interpretare i due ruoli troviamo Gerardo Guerrieri ed Eleonora Duse, personaggio dal magnetismo proverbiale che non mancò di esercitare tale affascinante potere anche sullo studioso: anni e anni di appunti, epistolari, ricostruzioni volte a «rifare la vita» dell’attrice, giorno dopo giorno, per restituirne non solo fatti biografici, ma «illuminazioni irripetibili», una «sostanza umana profonda» che, infatti, «rimane misteriosa perché non traducibile in aneddoti». Ciò che resta ci parla di oggetti osservati minuziosamente e perciò lascia, inevitabilmente, tracce dell’autore nel rigore dei dettagli, ricercati nei materiali, prima, e nelle scelte pratiche e linguistiche della restituzione critica, poi.
La Scena Quinta, curata da Marco De Marinis, apre una finestra sul panorama di solchi scavati, di cantieri e di «indagini sull’attore» e, di conseguenza, sulla società tutta, di quando Guerrieri comprese, per sua stessa ammissione, di essere «diventato sociologo» e iniziava ad immaginare proposte per la cultura italiana che vedessero «uomini di scienza e uomini di teatro» lavorare gomito a gomito, per comprendere e attraversare le rivoluzioni tecniche e biologiche in atto. L’idea di un teatro come «laboratorio di ricerca di risoluzioni di conflitti», in Guerrieri, non è solo azione ma linguaggio e si esprime tra le righe di bozze e cancellature delle traduzioni di cui si fa interprete letterario e dramaturg scenico.
Ripercorrendo le tappe che portarono a quell’«essere o non essere, tutto qui», tra bozze di Shakespeare, sottotesti di Stanislavskij ed epistolari di Cechov, nella Scena Sesta Fausto Malcovati tiene il timone del «viaggio dell’attore traduttore», che scompone testi e personaggi alla ricerca di ritmi, sospensioni e intenzioni linguistiche. Così, come una rotta navale, nella Scena Ottava Tiziano di Muzio presenta quelli che furono i porti che accolsero, secondo diverse direttive, le proposte editoriali di Guerrieri. In quegli anni Cinquanta, il «teatro in forma di libri» può essere considerato, metaforicamente, come una lotta, una «vasta battaglia culturale», citando Claudio Meldolesi. La necessità è quella di creare un nuovo spazio, uno spazio in cui il teatro – sotto la forma di libro – potesse riempire quel vuoto di sapere causato dallo spostamento di interesse verso la pubblicazione di testi drammatici, in concomitanza con la nascita dei teatri stabili e della regia critica. Guerrieri, al contrario, pensava che non bisognasse seguire la moda dettata dai cartelloni ma crearla e, sostanzialmente, creare cultura, anticipare gli interessi del pubblico, formarli e guidarli. I fenomeni più significativi che tentarono di colmare questa lacuna furono, sicuramente, l’Enciclopedia dello Spettacolo di D’Amico, il progetto di Laterza di fare una Biblioteca dello Spettacolo e la Collezione di teatro pensata da Einaudi e diretta da Guerrieri insieme a Paolo Grassi. La provocatoria lettera a Italo Calvino del 1956, da parte di Gerardo Guerrieri, fa da corollario alla Scena Ottava.
Segue la Scena Nove: Stefano Locatelli racconta del rapporto tra Guerrieri e Grassi attraverso la lettura di alcune lettere che evidenziano i percorsi che si intrecciarono negli anni di fondazione del Piccolo di Milano e gli sviluppi del lavoro – vicini e lontani – accanto ad una personalità come quella di Giorgio Strehler.
Dopo un’ultima pausa, alla terza frazione di giornata ci ritroviamo ancora attorno a quello stesso tavolo, dove ormai i residui di racconti, relazioni, documenti e appunti sono diventati dimensione concreta, densa e palpabile. La Scena Decima si apre alla presenza di un telo da proiezione, sul quale i ricordi sotto forma di parole sono, infine, diventati immagini: fotografie delle stagioni del Teatro Club, a cura di Tommaso Le Pera e del Living Theatre, di quei «fratelli ritrovati», ricorrenti fin dal principio, come presenze indispensabili, divertenti e chiassosi testimoni tra il pubblico in sala. Stefano Geraci, Antonio Calenda, Selene Guerrieri e Marta Marinelli ripercorrono la straordinaria cartografia geografica e relazionale delle stagioni teatrali che si susseguirono dal 1957 al 1984 per concludere, con una testimonianza sonora dello stesso Gerardo Guerrieri a tirare le fila di quei rapporti tanto rari e intensi che era riuscito a creare. Mariano Rigillo, con la presenza scenica di chi quelle pratiche, di cui abbiamo finora sentito parlare, le ha vissute in carne, ossa, sangue e voce al fianco di Guerrieri, ci accompagna nell’ultima scena, tra i versi di Troilo e Cressida, letti con Anna Teresa Rossini. Suoni, immagini e testi, sul finale, raggiungono allora il movimento e, tra i saluti e i sorrisi, la giornata si conclude con le proiezioni tratte dalla messinscena di El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancia (2008) e del documentario Guerrieri (2018), presentato dal regista Fabio Segatori.