A chi non è mai capitato almeno una volta di ritrovare in un angolo della casa una vecchia scatola e di aver dimenticato che cosa contenesse? Magari lì dentro anni prima avevamo conservato alcune fotografie o un pacchetto di sigarette fumate di nascosto. Quella che agli occhi degli altri resta solo un oggetto qualsiasi, per noi rappresenta un mondo. E così, mentre la teniamo tra le mani, frementi e pieni di curiosità, ci prepariamo a rivivere quei giorni. Ecco, assistere a Tavola tavola, chiodo chiodo… di Lino Musella crea nello spettatore la stessa attesa, la stessa meraviglia che si prova quando quella scatola viene finalmente aperta. È come partecipare al dischiudersi di una realtà, alla costruzione di una scena che trova il suo spazio e il suo senso solo nella presenza dell’attore. Da quell’oggetto, che coincide con il palcoscenico stesso, Musella estrae come da un cappello una possibilità infinita di realtà, personaggi e caratteri, con la maestria e l’incantevole abilità di un prestigiatore.
L’odore del legno, il rumore del martello che insiste sul chiodo ci riportano all’artigianalità di un mestiere – quello della recitazione – che trova la sua espressione massima nella gestualità e nelle azioni, nel loro farsi e disfarsi continuo. In questo laboratorio, sospeso su un’altalena, si innalzano a poco a poco le mura del Teatro San Ferdinando di Napoli, tavolette di legno che Musella abilmente sovrappone l’una sull’altra. Quando il 3 settembre del 1943 le bombe americane e tedesche lo rasero al suolo, di quella struttura non rimase quasi più niente. Restò in piedi solo parte del palcoscenico. Così, quando la guerra finì e l’impresario Salvatore Golia decise di venderlo, fu Eduardo De Filippo nel 1948 a comprarlo, investendo su quella ricostruzione tutti i suoi risparmi. Musella parte da quelle macerie, da ciò che resta di un passato glorioso, che ha visto su quel palco alla fine dell’Ottocento i successi di Eduardo Scarpetta che appare, per un momento, come figura fantasmatica – presenza famigliare ingombrante – di cui è impossibile non tener conto in questo progetto ambizioso.
In questo viaggio attraverso la memoria di Eduardo, lo accompagna con la chitarra il musicista Marco Vidino, eseguendo dal vivo musiche appositamente composte per lo spettacolo, che si accordano alla lettura di appunti, lettere, documenti, che ogni tanto vengono interrotte da telefonate spesso minacciose, che ricordano le incombenze e i ritardi nei pagamenti. Mentre dentro, in uno spazio intimo e creativo, Eduardo riflette sul senso stesso del suo lavoro e sull’amore del suo pubblico, fuori c’è un mondo di burocrati e banchieri pronto a demolirlo. Demolizione e costruzione sono le due forze opposte che dominano questo spettacolo, le stesse che raccontano la storia del teatro San Ferdinando e che guidano il lavoro dell’attore, che abita un cantiere in continua trasformazione. Non segue lo stesso principio anche il teatro? Alla fatica per l’allestimento di uno spettacolo si aggiunge alla fine quella ancora più grande del suo smantellamento. E tutto riparte da lì, per ripetersi giorno dopo giorno. E così Musella, con ironia, ride quando alla fine vede crollare tutte le tavolette di legno e sa che gli tocca ricominciare tutto da capo.
Tavola tavola, chiodo chiodo…
di Lino Musella e Tommaso De Filippo
tratto da appunti, articoli, corrispondenze e carteggi di Eduardo De Filippo
musiche dal vivo Marco Vidino
scena Paola Castrignanò
disegno luci Pietro Sperduti
suono Marco D’Ambrosio
ricerca storica Maria Procino
collaborazione alla drammaturgia Antonio Piccolo
assistente alla regia Melissa Di Genova
costumi Sara Marino.
Teatro Vascello, Roma, dal 30 novembre al 5 dicembre 2021.