«Gli ero affezionata a quel vecchio!» Chi è quel vecchio a cui Nell Kimball era affezionata? Il tempo di domandarselo, una frazione di secondo, e scopriamo che quel vecchio non c’è. Non sta alludendo a un cliente, Gaia Aprea, nel ruolo di una donna americana di fine Ottocento che di mestiere fece la prostituta e la tenutaria di un bordello a New Orleans, ma a un luogo. E subito la battuta diventa: «Gli ero affezionata a quel vecchio dannato posto».
Siamo alla fine de La maîtresse, il monologo tratto da Memorie di una maîtresse americana, romanzo autobiografico di Nell Kimball pubblicato in Italia da Adelphi nel 1975, che è in scena al Teatro Off/Off di Roma fino al 15 dicembre, e Gaia Aprea mette in atto una strategia di attrice di razza, che gioca con le pause e con le pause sorprende, imprimendo alle battute un senso inatteso.
Ha lavorato con Luca Ronconi e si vede e si sente, soprattutto in questa operazione in cui si è fatta da sola adattamento e regia.
Il libro, ormai un classico del genere, venne pubblicato nel 1967 negli Stati Uniti dopo diverse traversie, ed è proprio la storia raccontata in prima persona di una giovane donna che scappa da casa per sfuggire alla rudezza di un padre violento e, seguendo i suggerimenti di una zia un po’ mentore un po’ battistrada, approda in un bordello a Saint Louis, nel Missouri, in cerca di un lavoro e di un pasto garantito, di fronte al quale tutto il resto sparisce. «Non mi importava di nulla perché stavo mangiando».
Aveva quindici anni, un’infanzia sgrossata dalla miseria e un futuro da assecondare senza scommetterci su. Non sapeva ancora che avrebbe fatto carriera. Che sarebbe diventata la rispettata tenutaria di un bordello coi crismi, molto ben frequentato anche da quel giudice ipocrita che probabilmente contribuì alla chiusura e che partecipò ai festeggiamenti brindando a champagne. Era il 1917 e Storyville, il quartiere a luci rosse di New Orleans, venne chiuso per ordine dell’Esercito. Il suo vecchio dannato posto.
«Grazie per il passaggio», dirà Nell subito dopo la serata d’addio, di nuovo sola, certa soltanto che il suo unico credo è “mantenere la parola”.
Per questo, forse, il passaggio fino a quel punto, accettato e vissuto “senza rimpianti e senza rimorsi”, non sarà ancora la fine. Quella traversata in salita, piena di trappole e sofferenze, con un po’ di amore e un bel po’ di compromessi perché “per entrare nel gioco devi dimenticare te stessa”, sarà solo al giro di boa. Il ritorno è nel lasciare testimonianza di sé, liberamente, come libere e spregiudicate sono state le sue scelte. E se costrizione c’è stata, se c’è stato un asservimento al bisogno, non è dipeso dall’altrui volontà.
Gaia Aprea affronta questo testo con disincanto e senza moralismi, scegliendo di rispettare l’epoca e la successione cronologica degli eventi, concentrandosi sugli snodi più significativi, sugli incontri che hanno determinato una svolta nella vita di Nell e sui luoghi e le città abitate, evocando con la voce e con gesti sintomatici i diversi personaggi che puntellano il racconto.
La zia Letty che le fa dono dell’unico cimelio scampato alla svendita, un orologino d’oro che «mi batteva tra le dita come fosse il suo cuore», la tenutaria tedesca e il di lei marito che la istruisce a “non rifiutare nessuno”, il primo cliente e poi anche gli altri, fino a capire sulla sua pelle la “differenza tra rispettabili e stronzi”, gli uomini e l’amore, quello vero, che “è la rovina di ogni puttana”, la balia improvvisata che l’aiuta a partorire in una stanza di fortuna.
Il risultato è una ritmica alternanza tra narrazione e interpretazione gestita con padronanza costante, che le permette di abbozzare con una semplice postura o un chiaroscuro della voce un personaggio o una situazione e di aprirsi a dei piccoli squarci di grande temperatura e forza emotiva.
La supporta la musica, vera e propria partitura elaborata da Davide Pennavaria, con la quale dialoga con tempi perfetti e i video di Livia Ficara, dipinti, ritratti, proiezioni di interni che sprigionano odori di cipria e di vapori di whisky e di città moderne che per Nell sanno di nuove scoperte, luci abbaglianti e vernici colorate.
La scena si articola su due ambienti paralleli sempre a vista che variamente rimandano al bordello, una toeletta lussuriosa e una dormeuse di velluto rosso pompeiano che verrebbe voglia di portarsi a casa.
I costumi, un tailleur pantalone nero per prologo e chiusa e vestaglie con boa di piume consone al ruolo, prevedono vestizioni appartate a scena aperta.
Infine, una considerazione sull’inflazione di monologhi da post pandemia, con cui si cerca di fare di necessità virtù e non sempre si riesce. Ma a volte sì. Come questa, in cui c’è da uscire da teatro contenti, incoraggiati dal fatto che questo lockdown ha prodotto qualcosa di buono.
La maîtresse
adattamento di Gaia Aprea dal romanzo di Nell Kimball
interpretazione e regia Gaia Aprea
selezione musicale Davide Pennavaria
video Livia Ficara.
Produzione Tradizione e Turismo, Schegge di Mediterraneo.
Teatro Off/Off Theatre, Roma, fino al 15 dicembre 2021.
In tournée.