Se avessimo parlato di teatro ecosostenibile dieci anni fa, probabilmente avremmo pensato a un film di fantascienza. Eppure, guardando al teatro non come a un passatempo, un momento di svago o un luogo secondario dell’esistenza civile, ma come a uno spazio fondamentale di discussione delle pratiche quotidiane, individuali e collettive contemporanee, una evoluzione in senso ecologico ci appare un’azione oggi naturale, forse tra non troppi anni persino necessaria. Proprio dalla vita privata e dalle abitudini dei membri della compagnia Mulino ad Arte derivava tre anni fa l’intuizione di un festival di teatro ecosostenibile, il Festival Teatro a Pedali, il primo festival teatrale alimentato dalla pedalata del pubblico, con gli spettatori che partecipano così alla realizzazione dell’evento alimentando con l’energia cinetica da essi prodotta uno spettacolo a basso impatto.
Nato con l’obiettivo di sensibilizzare sul tema dell’ecosostenibilità attraverso un approccio di tipo esperienziale, il festival è una vetrina in espansione, un appuntamento unico nel suo genere che si rinnoverà quest’anno dal 21 al 26 giugno 2022 nel Teatro il Mulino, uno spazio ecosostenibile che la stessa compagnia ha fondato a Piossasco (To). Mulino ad Arte selezionerà spettacoli da inserire nel programma della prossima edizione attraverso una call alla quale gli artisti potranno rispondere entro le ore 12.00 del 28 febbraio. Tutte le informazioni e il form per inviare la propria candidatura sono disponibili cliccando qui.
Due sono le novità principali del bando 2022: il cachet più sostanzioso e l’inserimento di uno spettacolo di una compagnia Under 30. Mulino ad Arte è infatti entrata a far parte di Risonanze Network, la rete nazionale dedicata al teatro Under 30, per la promozione e il sostegno delle giovani compagnie, per il coinvolgimento di giovani spettatori nei processi di direzione artistica partecipata (qui il link relativo alla candidatura per le compagnie Under 30). Di queste interessanti opportunità abbiamo parlato con Daniele Ronco, autore, attore, regista e direttore artistico di Mulino ad Arte.
A detta della vostra esperienza di questi anni, quanto interesse c’è, in Italia, verso il green nel panorama teatrale?
Nel panorama teatrale, essendo noi da sette anni sul tema, nei primi anni veramente ci sentivamo degli alieni, era fuori dai radar di qualsiasi compagnia teatrale italiana, salvo rarissimi casi. Negli ultimi due anni la pandemia, da un certo punto di vista, ha suonato un po’ l’allarme, e in generale nel mondo ci si è sensibilizzati di più sul tema. È diventato anche, se vuoi, “trendy”, sia nell’accezione negativa del termine, sia positiva, perché è sempre un buon segnale che diventi trendy, così le persone sono portate ad assumere certi comportamenti. Abbiamo poi notato un moltiplicarsi di iniziative legate alla sostenibilità dal momento in cui le aziende per legge devono destinare una parte del loro bilancio a un progetto sulla sostenibilità, e quindi fioccano i greenwashing, iniziative totalmente da copertina ma con poca sostanza. Per quanto riguarda il nostro settore, si nota innanzitutto nel tempo un ascolto diverso che i teatri fanno nei nostri confronti: all’inizio il 90% dei teatri, soprattutto quelli istituzionalizzati, ci dicevano che i nostri spettacoli erano belli, ma più adatti a festival tematici o iniziative legate al green. Ci relegavano insomma in ambienti extra-teatrali. Negli ultimi anni, forse anche perché abbiamo migliorato il nostro modo di parlarne, affinando il linguaggio – ma non credo sia stato solo quello, credo sia stato un interesse generale – è cresciuto l’interesse nei nostri confronti da parte dei teatri, sfociando in un interesse anche dei teatri nazionali, che hanno iniziato a programmarci, non ultimo il Teatro Stabile di Torino, che ha addirittura coprodotto un pezzo di un nostro spettacolo quest’anno. Nelle altre compagnie vedo che iniziano in questo momento i primi progetti che parlano di sostenibilità: a me fanno un po’ sorridere, e lo dico con tutto il rispetto del mondo, perché per parlare di sostenibilità secondo me devi essere tu in primis sostenibile. È come se ti venissi a dire che fa male fumare e poi mi fumo due pacchetti di sigarette al giorno. Dietro le compagnie ci devono essere le persone. Per essere credibili e parlare di un tema così scomodo ci dobbiamo mettere la faccia come persone. Io ho iniziato a fare teatro parlando di sostenibilità perché io, Federica, la mia famiglia, la mia compagnia, siamo molto rigidi dal punto di vista della sostenibilità nella nostra vita, ed è per quello che abbiamo cominciato a parlarne.
Come fate a selezionare gli spettacoli? Quante sono le domande pervenute nelle precedenti edizioni? Quanti spettacoli selezionerete?
Quest’anno il festival durerà una settimana, si è un po’ ampliato. Gli spettacoli che selezioneremo saranno cinque di compagnie senza limiti di età e una di compagnia Under 30. Sei in tutto, che non per forza saranno selezionati tutti attraverso la call. Da bando sarà selezionato un solo spettacolo, o anche di più se ne troveremo di meritevoli, e uno Under 30. Nel frattempo, sto facendo scouting. Sicuramente un bando di questo tipo non riceve cinquecento proposte, perché il mercato di questo tipo di produzioni non è ancora sviluppato. L’anno scorso mi sembra che abbiamo ricevuto quaranta o cinquanta proposte di spettacoli sulla sostenibilità: ciò testimonia che non c’è molta produzione su questo tema, e devo dire che tra queste di valide e centrate ce n’erano davvero poche, si contavano sulle dita di una mano. Questa è la terza call che facciamo. Il primo anno mi sembra che fossimo sulla trentina di proposte, non credo per la mancata conoscenza del bando, perché ha girato un po’ ovunque, ma proprio perché non ci sono molte compagnie che trattano questo tema. Quest’anno abbiamo voluto fare una scelta che speriamo possa attrarre anche compagnie più strutturate: abbiamo aumentato i cachet per le compagnie che vinceranno il bando. In questo modo speriamo che possa addirittura essere un contributo alla produzione.
A proposito della scarsa motivazione che talvolta può esserci quando ci sono in gioco tematiche scomode, un’altra motivazione potrebbe essere di tipo tecnico? Richiedete alle compagnie di avere un’attrezzatura per alimentare con la pedalata del pubblico lo spettacolo?
Non è assolutamente una motivazione tecnica a frenare la partecipazione. Noi, anzi, agevoliamo le compagnie mettendo loro a disposizione lo spazio e anche la scheda tecnica. Quello che chiediamo è che il lavoro si adatti a quella scheda tecnica. Sono tutti fari a led quelli che abbiamo, che vengono alimentati dalla pedalata del pubblico. Diamo un service audio e luci che diversamente da altri viene alimentato a pedali. Le compagnie hanno a disposizione lo stesso standard di qualità di fari normali, teatrali, semplicemente sono a led e alimentati dalla pedalata del pubblico. Sicuramente lo sbarramento più grande è stato il tema, io in primis che appartengo a questo ambiente non mi imbatto facilmente in spettacoli a tema green e, in secondo luogo, c’era un monte ingaggi più basso (ma in questo abbiamo provato appunto a sopperire).
Nel Festival Teatro a Pedali c’è anche dell’altro, laboratori, aperi-talk, performance, presentazione di libri, show-cooking a tema con degustazione. Come si fa ad affrontare la sfida del green in un periodo storico che celebra il “monouso”?
Ti posso dire come abbiamo fatto l’anno scorso, e penso che faremo anche quest’anno. Abbiamo trasformato il teatro facendo arretrare la platea, perché abbiamo la fortuna di avere una platea retroscopica, che ci permette di trasformare il teatro in un bistrot. Abbiamo chiesto in prestito i tavolini del ristorante che abbiamo interno al teatro. Il pubblico aveva due possibilità di scelta della bevanda, una analcolica e una leggermente alcolica, servite in bottigliette di vetro. Servendoci come servizio al ristorante, avevamo quindi i bicchieri di vetro. Per quanto riguarda gli aperitivi c’è un’azienda gastronomica del territorio molto attenta al cibo sostenibile, a chilometro zero: tutto era vegetale, e veniva portato in sacchetti di carta riciclata. Su questo cerchiamo di essere molto attenti, perché uno dei più grandi punti di caduta quando si parla di eventi a tema green è proprio questo: tante volte sono stato invitato a fare i miei spettacoli in festival che sbandieravano una sostenibilità e poi mi davano una confezione da sei bottigliette di plastica da bere, che prontamente rifiuto.
Festival Teatro a Pedali si pone, tra le altre cose, oltre che come “opportunità” per gli artisti, anche come azione di audience engagement, mirata dunque all’avvicinamento di nuovi pubblici. Di quali nuovi pubblici Mulino ad Arte va in cerca, in particolare, attraverso questa azione?
Sempre di più i nostri eventi sono mirati a offrire al pubblico un’esperienza divertente, oltre che ecosostenibile. Proporre quindi un’esperienza che renda felici, che diverta, che faccia stare bene, perché soltanto stando bene noi stessi possiamo allora prenderci cura anche del pianeta. Per me è tutto interconnesso: se tu fai un’esperienza in cui stai bene e vivi delle best practices non come delle rinunce ma come delle cose belle che ti fanno stare bene, sicuramente in seguito le riprodurrai. Un po’ come con un bambino: se gli dici “fai questo” senza dargli una motivazione per cui dovrebbe, lui non lo fa, se invece a mio figlio do il buon esempio e vede che io sono felice lo fa anche lui di conseguenza. La dinamica è un po’ quella. Questo tipo di attività può avvicinare soprattutto i giovani, che sono molto attenti a questo tema, e per fare questo, infatti, coinvolgiamo i giovani attraverso la direzione artistica partecipata, proprio per studiare delle azioni fresche che vadano a parlare ad altri giovani. Sicuramente poi c’è tutto il mondo dello sport, perché oltre a essere il motore che dà luce agli spettacoli, lo sport è anche un’altra metafora di connessione con gli elementi, con la terra, con la natura, e infatti sarà proprio questo uno dei temi del festival.
Parliamo appunto della scansione delle giornate: puoi farmi qualche altro esempio dei temi legati al green che saranno trattati?
Sì, ti svelo uno dei temi di quest’anno: il “fashion”. Sarà dato spazio alle contraddizioni e alle conseguenze del fast fashion e al come ci vestiamo, inviteremo chi produce i vestiti e ripone attenzione a tutta la filiera produttiva. Inviteremo ogni giorno, per ogni tema, uno scienziato, un divulgatore scientifico che offra anche tutta una parte analitica e numerica. Che cosa vuol dire, cosa cambia, comprare un vestito da una parte o da un’altra, dove lo paga quattro volte di più (che forse significa anche che durerà quattro volte di più). Che valore ha una cosa? Viviamo in un sistema in cui siamo abbagliati da questo, siamo abituati che quando non sappiamo che cosa fare andiamo in uno di questi discount a riempire le buste di vestiti per appagare il nostro piacere (io non lo faccio, a dire il vero, ma molte persone sì). Qual è il prezzo da pagare reale, che cosa infliggiamo a tutti gli altri compiendo questa azione? Ci sono dei momenti di riflessione su questo, invitiamo sia dei produttori di abiti che uno scienziato che parli del motivo per cui è meglio comprare dei vestiti di un certo tipo. Nello stesso giorno offriremo anche dei laboratori pratici di rammendo artistico. Ci sarà un’artigiana del territorio che si occupa proprio di questo, cioè di rammendare i vestiti però non in un’ottica vecchia, quando si cercava di mimetizzare le toppe, ma con il piacere dell’estetica, dove si fa vedere che il vestito è rammendato e questo diventa un vanto. In questo modo si produce un cambio di paradigma: non si deve più mascherare il fatto che utilizziamo un vestito fin quando è logoro.
Mi sembra di aver letto fra le righe che dal tuo punto di vista le giovani generazioni abbiano un rispetto maggiore verso l’ambiente. Secondo te perché?
Diversi fattori concorrono, secondo me. La generazione peggiore dal punto di vista dell’impatto sul pianeta è quella dei miei genitori. I miei genitori hanno settant’anni. Non l’hanno neanche fatto apposta, ma hanno vissuto l’immediato dopoguerra in cui c’è stata una damnatio totale sul mondo contadino, sul rapporto uomo-terra, uomo-natura, su tutto ciò che era autoproduzione, perché andavano verso un sistema turbo capitalistico per cui si dovevano accendere tutti i bisogni possibili e immaginabili, con il famoso “boom” che per noi è stato il benessere ma che in realtà è stato un grande pericolo. Oggi è assodato che questo famoso “boom” non era ecosostenibile, è oggettivo che non ha funzionato, e sarebbe inutile continuare a incancrenirsi su questo, ma si sa che una persona a settant’anni è difficile che cambi. Penso che i giovani se ne stiano accorgendo e che diano per assodate alcune cose che per una persona di mezza età sono molto più difficili. Io lo vedo: i giovani che collaborano con noi parlano di autoproduzione, sanno produrti il liquido per la lavastoviglie in casa, riutilizzano i vestiti, fanno il baratto, e c’è già un po’ più di una nicchia di giovani che lo fa. Io quando facevo il liceo non sapevo nulla di tutto questo. Un’accelerata grande, poi, l’ha data sicuramente Greta Thunberg. Per fortuna c’è stata questa ragazza che ha dato un esempio di grande coraggio, come formula di contagio peer-to-peer da cui si è innescata sicuramente una meravigliosa miccia. Con l’Accordo di Parigi nel 2015 si è concluso poi il primo vero trattato mondiale che all’unanimità è stato approvato e che ha riconosciuto tutti i problemi ambientali: ha attratto e attivato la sensibilità delle fasce più giovani che si stanno affacciando a un mondo che ora sanno essere in forte rischio.