L’avvicendamento ai vertici della direzione artistica del Teatro Stabile etneo, dopo la spallata del 10 dicembre con cui il Cda, presieduto da Rita Gari Cinquegrana, rovescia anzitempo la direttrice Laura Sicignano (solo a marzo avrebbe completato il suo mandato), ci fa sorgere una riflessione su quanto certi sistemi di potere ancora attivi in Sicilia, anche a dispetto di risultati positivi innegabilmente raggiunti sul fronte del risanamento di un ente divorato da un completo sfacelo artistico, economico e organizzativo. Perché, visti gli obiettivi raggiunti con dati alla mano, ci si sarebbe potuti aspettare anche una riconferma, non certo una spallata così netta a troncare un contratto che prevedeva la direzione artistica della regista genovese fino al 15 marzo. Al suo posto arriverà Luca De Fusco di cui speriamo di raccogliere al più presto le linee programmatiche.
Ci sembra doveroso, comunque, un bilancio sul piano artistico e squisitamente estetico di un percorso di innovazione e di cambiamento iniziato e troncato – forse troppo bruscamente – e sentiamo la necessità di porgere delle domande alla direttrice deposta, Laura Sicignano.
Cara Laura, ti aspettavi questa decisione del CDA? Senti che il tuo progetto sia stato troncato troppo presto?
Speravo che almeno una parte del Consiglio di Amministrazione che mi aveva eletta, sarebbe stata riconfermata. Non essendo così, non c’erano più le condizioni per continuare il mio lavoro.
Al mio arrivo si sono presentati grandissimi problemi, molti dei quali hanno trovato felice soluzione grazie alla collaborazione con il Cda e i lavoratori. La mia elezione è avvenuta sotto il segno della discontinuità e ho preso alla lettera questa indicazione.
Sono andata dritta nella direzione più giusta per questo teatro in quel momento, cioè il rischio culturale, la scommessa su nuovi talenti e l’innovazione. Questa linea è stata apprezzata e premiata dal pubblico e questo è un dato oggettivo. Ho lavorato per un teatro dal volto dinamico, contemporaneo, all’insegna della correttezza e della trasparenza nella gestione dei fondi pubblici. Ho messo alla base l’etica del lavoro e una forte passione per ricostruire un teatro in macerie. La pandemia ha in parte oscurato il lavoro e l’impossibilità di proseguire il mandato lo ha interrotto.
La nuova nomina del direttore artistico è avvenuta, a differenza della tua, senza bando pubblico.
È legittimo, ma, forse, non opportuno. Che ne pensi? È così difficile sradicare le nomine dalle logiche del potere?
È nella facoltà del teatro adottare una procedura diversa. Io sono fiera di avere passato tre tappe selettive. Il mio percorso è stato molto trasparente.
Quali sono state le principali direttrici che hanno ridefinito il volto di questo teatro?
Una delle direttrici che ha delineato il mio lavoro è stata la questione femminile, una riflessione imponente sul ruolo della donna nel teatro, nell’arte e nella società.
Ho dato grandissimo spazio all’innovazione. Ho fatto nascere progetti stimolanti come quello di Turi Zinna, scritto insieme a Tino Caspanello e Lina Prosa.
E poi il Pinocchio di Scaldati, riletto da Livia Gionfrida, la serie teatrale di Orofino e molti altri spettacoli e progetti. Tengo ad ognuno di loro. Sono tutti figli miei.
Riguardo al pubblico, quali sono stati gli obiettivi raggiunti? Il pubblico giovanile si è nuovamente avvicinato al teatro…
Parlare alle nuove generazioni è stato un grande successo. Ho comunque cercato di creare percorsi in sintonia con un linguaggio e un pubblico contemporaneo, senza però tradire le aspettative del pubblico storico. Ho sempre avuto un rapporto stretto con il pubblico, cercando il contatto, le relazioni. Tra le collaborazioni più produttive quella con l’Università con cui abbiamo lavorato in forte sinergia, condividendo percorsi e attività.
Che risultati hai raggiunto in ambito organizzativo e gestionale?
Lascio sicuramente un teatro migliore di quello che ho trovato al mio arrivo, che si pregia di un conto in banca decisamente in attivo, debiti pagati.
Per la prima volta nella storia del Teatro Stabile di Catania si sono cercati e trovati fondi europei.
Mi piace sottolineare che, dalla mia elezione, tutti i dipendenti, le imposte, gli oneri e i creditori sono stati sempre pagati regolarmente. Questo è stato possibile realizzando produzioni a basso costo, ma puntando sulla qualità, sull’innovazione.
Ho puntato anche ad una riorganizzazione del lavoro dei dipendenti e per migliorare l’efficienza gestionale abbiamo avviato una formazione del personale che ha acquisito migliori competenze.
In questi anni sono stati 260 gli artisti coinvolti nelle sole produzioni, scelti prestando attenzione all’equilibrio di genere. L’80% di loro è siciliano.
Mi sembra un’ottima risposta alle presunte accuse di non coinvolgere gli artisti del territorio. Un modo a mio giudizio personalistico e campanilistico di intendere un’importante istituzione. Ma veniamo agli spazi che hai curato con particolare attenzione…
Ho voluto dedicare molta energia alla ristrutturazione del Teatro Verga iniziata nel 2019, a cominciare dal foyer, sono stati poi avviati gli interventi di ammodernamento della platea, il restyling della facciata e l’opera murale sul prospetto laterale dal titolo oMaggio a Mariella Lo Giudice realizzato da un collettivo di artiste. Sempre al Verga, abbiamo ristrutturato il Ridotto aperto a mostre, presentazioni di libri, incontri con autori. E cinque anni dopo la chiusura del Teatro Musco, è stata recuperata un’altra seconda sala, la Sala Futura, per ospitare teatro per le scuole, spettacoli innovativi, prove di nuovi allestimenti.
Relazioni importanti che porterai nel cuore?
Tante. Un pensiero speciale va a due persone: Giorgio Pace, commissario che ha mediato tra la precedente amministrazione e la mia attività di risanamento e il presidente Carlo Saggio, che non finirò mai di ringraziare. Grandissimo motore di questa ricostruzione è stata la professoressa Lina Scalisi, persona che porterò nel cuore cui sarò sempre grata.
Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
Sono per carattere una costruttrice, una ricostruttrice. È così che mi vivo e mi sento. L’impresa ardua non mi ha spaventato. Preferisco ricostruire qualcosa, dove posso lasciare il mio segno, il segno della mia passione. Nel nostro lavoro così effimero mi è capitata la rara occasione di lasciare un segno. Auguro alla città di Catania e al suo teatro un futuro luminoso.