È notte. A Kiev suonano le sirene, la popolazione fugge dalle città oppure cerca di resistere riparandosi nella ecatombe delle metropolitane, fin dentro bunker improvvisati: la madre che allatta il figlio, il nonno che non prende sonno, la famiglia che mangia panini. E fuori, nella città del coprifuoco, si sentono forti e chiari i rumori assordanti delle bombe che sventrano i palazzi, degli spari intorno ai ministeri. La presa del potere, l’incendio del palazzo, sono sempre preceduti da lampi accesi nella notte ed è sempre il preludio di morte e di distruzione. Il teatro può raccontare la drammaturgia di una notte come questa? Può uno scrittore, con la sola forza del ticchettìo della sua tastiera e la potenza delle parole, opporsi ad una guerra? Uno scrittore può solo smuovere le coscienze delle persone, nulla di più. E sarebbe già molto in un mondo smemorato. Uno scrittore può scrivere storie e questa dimostra più di ogni altra il complesso e tormentato rapporto tra teatro, guerra e pace. Dal 2020 lei è stata la direttrice del Vsevolod Mejerchol’d State Theater and Cultural Center, il Teatro Statale di Mosca. Poi l’invasione dell’Ucraina da parte di Vladimir Putin, i bombardamenti contro i civili, l’isolamento del suo Paese dalla comunità internazionale ha stravolto tutto. Così Elena Kovalskaya ha annunciato le dimissioni sul suo profilo Facebook, in aperta dissonanza contro quell’atto di guerra, perché lei pensa che l’essenza del teatro si debba misurare con il concetto di pace universale. «Amici, in segno di protesta contro l’invasione russa dell’Ucraina, lascio il mio posto di direttore del Vsevolod Mejerchol’d State Theater and Cultural Center di Mosca. È impossibile lavorare per un assassino e ricevere uno stipendio da lui». Il suo teatro porta il nome del drammaturgo russo Vsevolod Mejerchol’d. Negli anni Trenta del Secolo breve, Mejerchol’d è sempre più nel mirino della critica ufficiale che lo accusa di trotskismo e di tendenze contrarie al realismo socialista e va incontro ai suoi anni più bui. La stampa lo attacca, i suoi spettacoli vengono vietati ed è sospeso l’avanzamento del suo progetto per la costruzione di un nuovo teatro. Il 17 dicembre 1937 la “Pravda” pubblica un violento attacco a firma Platon Michajlovič Keržencev in cui il teatro e l’intera carriera di Mejerchol’d vengono accusati di essere estranei e ostili alla società sovietica. Il 20 giugno 1939 viene arrestato dopo essersi rifiutato di sospendere le prove dell’opera Semën Kotko di Sergej Prokof’ev. Nei mesi successivi, sotto tortura, gli vengono estorte dichiarazioni in cui si dichiara militante antirivoluzionario. Il 1º febbraio 1940 è condannato a morte, la sentenza è eseguita il giorno successivo mediante fucilazione. Anche la moglie di Mejerchol’d, Zinaida Reich, attrice negli spettacoli del Teatro Mejerchol’d, viene uccisa in casa, accecata e massacrata a coltellate. Ebbene, 82 anni dopo la fine drammatica di Mejerchol’d, la direzione del teatro statale di mosca poteva isolare Elena Kovalskaya, farla cadere nell’oblìo, renderla invisibile, come accaduto tante volte nella storia russa. Invece no. Il Vsevolod Mejerchol’d State Theater and Cultural Center ha scritto un documento che difende la scelta della sua direttrice. «L’attacco della Russia è in tragico conflitto con la nostra missione. Non possiamo tacere su questo. Ci resta solo questo da dire: ‘No alla guerra’». Quella di Elena Kovalskaya è una presa di posizione netta e integerrima, lei che ha deciso di rinunciare all’incarico pur di non restare in silenzio di fronte alla tragedia umanitaria e alle violenze che si stanno consumando in questi giorni. A pochi passi, al teatro Majakovskij di Mosca, la direzione proibisce ai suoi attori di esprimere “qualsiasi commento” sull’invasione dell’Ucraina.
La Storia si ripete.