«…Dicono che il mondo lo creò un suono».
È il tessuto fonico la vera forza organizzatrice del teatro-poesia di Franco Scaldati. Una stereofonia della carne profonda in cui, prima ancora che sui significati, la parola s’intrattiene sulla percezione fisica del discorso poetico, sulle sue risonanze.
Totò e Vicé, nato in forma alquanto libera da uno dei più grandi autori del teatro contemporaneo siciliano, Franco Scaldati, presenta un insieme di frammenti, di specule minime in cui si rifrange l’universo scaldatiano, la carne e il sangue, l’anima e il sogno, il gioco e il canto, l’ingenua stupefazione verso la vita.
Scritta e da lui stesso messa in scena nel lontano ’95, la drammaturgia è un rincorrersi di battute brevissime tra due diseredati, Totò e Vicé, forse davvero esistiti, che si chiamano e si rispondono, sono l’uno il rovescio dell’altro, sono materia metamorfica, onirica, fatti di sogni e respiri, di suoni e incanti, di parole e riso. Due maschere che strappano la maschera alla vita liberandola dalla prigione della logica, due scarti dell’umano che indagano i resti del sacro e dissacrano i confini della vita.
Tradurre in forma scenica questa miscellanea di voci e brandelli di dialoghi non è cosa da poco. Ripensiamo alla fortunata ed esemplare versione italianizzata di Vetrano e Randisi e alla loro versione cinematografica, diretta da Umberto De Paola.
È una parola, quella di Scaldati che chiama la scena, che vive nella scena e per la scena. E che ha bisogno di una mano sicura di regia, di una visione-lettura che sappia orchestrare gli elementi per condurli verso un “altrove”.
L’“altrove” che cerca (e trova) Giuseppe Cutino è una voltura metafisica che scioglie la drammaturgia in canto, che esalta la tridimensionalità fonico-ritmica, la matericità sonora del testo.
Concerta pochi elementi, quelli necessari, ma radicalizzando la condizione di liminarità in cui le soglie tra vita e morte si rifrangono l’una con l’altra.
Come suggerisce il sottotitolo – Operina musicata per ombre e voci – ci si trova davanti una complessa partitura di performance sonora, in cui il suono si fa materia e la materia evapora.
Le musiche – composte da Maurizio Curcio, dallo stesso eseguite dal vivo insieme a Pierpaolo Petta – astratte, malinconiche, giocose, jazzate, monocordi, elettroniche, folk, ancestrali, coniugano raffinatezza e complessità̀ formale, ma in certi momenti sono siderali, minimaliste. Musica come amalgama primordiale in cui sono immersi tutti gli altri elementi, scena, luce, spazio, corpi. Musica che veste e denuda dialoga con la parola, con gli attori, con le voci, si accorda con i personaggi e li contrappunta continuamente.
Totò e Vicé appaiono dal nulla e nel nulla ri-affondano. Sono un duo, Rosario Palazzolo e Anton Giulio Pandolfo, ben affiatato per tanti spettacoli macinati insieme, per tante analogie, tra la drammaturgia di Palazzolo e quella scaldatiana.
Pochi tratti, quelli necessari per delineare le due figure, quasi trasparenti, ilari, tenere, spietate, giocose, infantili, fanno di Totò e Vicé due personaggi che non possono essere tenuti dentro le misure del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto, del bello e del brutto, due esseri che vivono al di là dei confini fisico-simbolici di una data esistenza, scevri dalla chiusura rigida della coerenza. Vivi e morti nello stesso tempo ci dicono che morte e vita sono l’uno il rovescio dell’altra.
Spariscono dentro abiti più grandi di loro, completi chiari di molte taglie più grandi, come anime che non hanno ancora imparato ad abitare un corpo, bambini in attesa di nascere, morti in attesa di resuscitare, fantasmi che potrebbero sparire e apparire tra le pieghe di un riso o di un paradosso, antinomiche presenze e assenze che giocano il gioco dell’esistenza e dell’assenza, dell’apparenza. Come se si vedessero solo i profili evanescenti dei due, l’aria che essi muovono, il respiro che lasciano, il corpo dentro l’anima, il rovescio, il doppio, l’infinito, il desiderio, l’ignoto. Come se apparisse la loro aura, ovvero ciò che consente ai corpi di trascendersi, di transitare verso uno stato del sensibile che si trasforma in palpito, “figura”, lo spessore si sfalda in talco, la densità diventa nebbia.
Pochi tratti, quelli necessari anche nella regia. Il regista imprime la sua visione più matura nella presenza di due pure voci, canto e parola: Egle Mazzamuto voce melodiosa e arcaica, che già sapientemente Scaldati utilizzava con il suo patrimonio di musicalità che affonda nel folk (qui sono musicate le stesse parole di Scaldati, con una linea musicale così asciutta e ripetuta da diventare un loop mantrico); Sabrina Petyx – la drammaturga che “scrive con le orecchie” come ama definirsi – che dà voce a entità astratte e archetipiche, Ombra, Creatura, Vecchia, Fanciullo, (presenti nel testo, ma davvero poco rappresentabili scenicamente). Pure voci, puro racconto, pura poesia.
Il regista sceglie ottimamente di smaterializzarle in voce, mentre, sedute su una sedia agli angoli del palco, cuciono (riferimento al sarto) due abiti neri che sulla fine verranno indossati.
«…i vestiti che mettono i morti diventano ali…».
L’arte di Cutino è capace di sfidare le cose a sospendersi sul loro non-essere, di rovesciare l’effetto prospettico del senso, di sondarne l’impenetrabilità̀, lasciandosi permeare dalle pieghe del desiderio e del sogno. Il teatro allora non solo è “figura” altra della vita, ma una matrice simbolica che manifesta il doppio di quello che noi tutti viviamo.
Totò e Vicé
operina musicata per ombre e voci
di Franco Scaldati
adattamento testo, scena e regia Giuseppe Cutino
con Rosario Palazzolo e Anton Giulio Pandolfo
e con la partecipazione di
Egle Mazzamuto e Sabrina Petyx
musicisti Maurizio Curcio e Pierpaolo Petta
musiche originali Maurizio Curcio
costumi Mario Dell’Oglio per DELL’OGLIO PALERMO 1890
movimenti di scena Totó Galati
disegno luci Gabriele Gugliara
datore luci Michele Ambrose
aiuto regia Peppe Macauda.
Progetto di Anton Giulio Pandolfo – Ass. Cult Energie Alter-native, Palermo
produzione esecutiva ACTI Teatri Indipendenti. Torino
con il sostegno di Babel/Spazio Franco, Palermo – Compagnia dell’Arpa
un grazie particolare a Viola Palazzolo, Alberto Pandolfo, I Candelai Palermo.
Progetto vincitore del Bando NUOVO IMAIE Sezione Teatro 2018\ 19.
Spazio Franco, Palermo, dal 24 al 26 febbraio 2022.
Prossima data:
Festival Terreni Creativi, Albenga, 4 agosto 2022.