L’adattamento teatrale che Emma Dante propone della Scortecata, una delle cinquanta favole che compongono il Pentamerone di Giambattista Basile, ci dimostra che non bisogna essere per forza giovani per affidarsi ancora alla potenza dell’immaginazione. Le sorelle Rusinella e Carolina sono centenarie eppure non rinunciano alle proprie speranze. Dopo una vita di occasioni mancate, senza ombra di marito né di corteggiatori, sebbene Carolina ne vanti continuamente uno, non cedono al rimpianto. Lo dimostra il desiderio di affacciarsi alla finestra e mostrarsi ai vicini: un modo come un altro per dichiararsi ancora vive. Curioso poi il loro rapporto con il tempo, che se da un lato è il responsabile della loro vecchiaia, dall’altro sembra non trascorrere mai, tanto che lo spettacolo si apre con Carolina che invoca il sole e lo prega di tramontare al più presto, affinché un altro giorno cominci. Quando le vediamo comparire per la prima volta sulla scena, le due sorelle sono intente a succhiarsi il dito mignolo, immagine che inevitabilmente le riconsegna ad uno stato infantile. Si sono messe in testa che solo così, a forza di consumarlo, tornerà bello e liscio come quello di un neonato. Il loro è un atto di purificazione, dettato da un desiderio di rinascita, di riappropriazione di un tempo ormai perduto. Una sorta di revanche verso la vita che le ha escluse dalla mondanità e dagli amori, a cui loro come gli altri avevano diritto, che si traduce nell’idea di mettere in scena una favola. Così immaginano che alla porta della loro abitazione ci sia un re ad attenderle, a cui dovranno mostrare una parte del corpo attraverso la serratura. Un inganno certo, che si trasformerà in un’irresistibile acrobazia di stratagemmi.
La forza della regia di Emma Dante emerge dalla capacità di far dimenticare allo spettatore che ad interpretare le due vecchie siano in realtà due uomini. La loro mimica, i passi incerti dell’età avanzata, i battibecchi in napoletano e i pettegolezzi tipici di due figure femminili, restituiscono allo spettatore un quadro famigliare. La favola del re interrompe la noia di una vita sempre uguale, di discussioni patetiche, insulti e dispetti. Sembra quasi che l’una rimproveri l’altra del proprio destino. Questo gioco allora consente loro un riscatto. Per una volta finalmente possono sentirsi desiderate come tutte le altre. Se l’immaginario le salva da un’esistenza insignificante, allo stesso tempo esaspera la presenza assordante del vuoto. Allora non c’è altra salvezza che la morte. Il baule in fondo alla scena, da cui un attimo prima si afferrava la vita, i suoi abiti e i suoi travestimenti, diviene all’improvviso un luogo inquietante. È qui che Carolina chiede a Rusinella di squartarla, porgendole il coltello. È solo così che pensa di poter tornare giovane, riappropriandosi della sua pelle nuova. Meraviglioso paradosso quello che si genera sentendole intonare Malafemmena , loro che non hanno mai fatto soffrire nessun uomo, ma che al contrario ne hanno desiderato uno tutta la vita. Il gioco delirante del teatrino che ha ospitato il re si rivela per quello che era: una disperata richiesta di aiuto. Quel <<nun ne pozze cchiù>>, che entrambe ripetono spesso e che all’inizio somiglia più a una lagna che ad altro, si dimostra terribilmente vero. Emma Dante mette mirabilmente in scena il bisogno che abbiamo tutti di tornare all’origine.
La Scortecata
liberamente tratto da lo cunto de li cunti di Giambattista Basile
testo e regia Emma Dante
con Salvatore D’Onofrio, Carmine Maringola
elementi scenici e costumi Emma Dante
luci Cristian Zucaro
foto di scena ML Antonelli – AGF
Teatro India, Roma, dal 30 ottobre al 1° novembre 2018.