Marcello Mastroianni: la mostra dedicata da Roma al divo schivo di Ilaria Capacci

Foto Alessandro Blasetti

A più di venti anni dalla scomparsa di Marcello Mastroianni, uno dei miti del cinema italiano, Roma dedica la prima grande mostra sulla sua “vita tra parentesi” come amava definire lui stesso la sua esistenza tra un set e l’atro, tra un palcoscenico e l’altro.

Inaugurata lo scorso 26 ottobre, durante la Festa del Cinema, questa retrospettiva ospitata al Museo dell’Ara Pacis fino al 17 febbraio, rappresenta dunque un’occasione unica ed imperdibile per conoscere meglio l’artista e l’uomo diventato presenza carismatica e divo internazionale, pur coltivando una vita privata nell’ombra e lontano dagli eccessi.

L’esposizione, promossa da Roma Capitale e curata dalla Cineteca di Bologna, ripercorre in tredici sezioni l’eccezionale carriera di Mastroianni. Quasi a volergli conferire un struttura circolare, il percorso espositivo si apre e si chiude con estratti dal documentario Mi ricordo, sì, io mi ricordo della compagna Anna Maria Tatò, girato durante gli ultimi mesi di vita dell’attore e che costituisce il suo testamento artistico.

La voce di Marcello ci accoglie nel primo ambiente e ci accompagna piacevolmente fino all’uscita. Fotografie in bianco e nero a grandezza naturale raffiguranti star hollywoodiane quali Errol Flynn e Clark Gable e attori italiani come Vittorio De Sica ricevono il visitatore nel secondo ambiente e testimoniano la sua gratitudine verso le figure che lo hanno ispirato maggiormente. Qui la mostra rispecchia e rispetta l’umiltà di Mastroianni, che si fa da parte per parlare di coloro che hanno motivato il suo destino.<<Mi sono sempre nutrito di cinematografo, e come me tutta la mia generazione>>.

La mostra ricorda poi le origini della famiglia, di estrazione popolare, e la sua infanzia in Ciociaria. Emozionano le numerose fotografie di Marcello da bambino con il fratello Ruggero e con i loro genitori scattate davanti casa o durante le festività natalizie con tutta la parentela riunita. Una sezione è dedicata agli artisti di casa Mastroianni, poiché tra i familiari dell’attore figurano scultori, pittori, ceramisti e la stessa figlia Barbara (la primogenita recentemente scomparsa), che aveva ereditato dal nonno paterno la passione per l’intaglio del legno. Alcuni manufatti realizzati dai Mastroianni sono ospitati all’Ara Pacis.

Forse non tutti sanno che gli esordi della professione dell’artista furono teatrali e non cinematografici. Già da bambino calcava il palcoscenico della sala parrocchiale della chiesa dei Santi Fabiano e Venanzio a Roma (dove si trasferì nel 1933) ma è con Luchino Visconti e il suo Un tram che si chiama Desiderio che, alla fine degli anni ’40, comincia un decennio di appassionata carriera teatrale. Suggestive le foto di scena con i colleghi Rina Morelli, Vittorio Gassman e con la futura moglie, l’attrice Flora Carabella.

Il forte attaccamento alla famiglia di origine è testimoniato dalle tante cartoline postali spedite dall’attore durante le tournée teatrali . Nel frattempo, Mastroianni entra come comparsa a Cinecittà, da lui definita <<una fortezza inespugnabile>> ed esordisce nel cinema nel 1948 con I Miserabili di Riccardo Freda. <<Ho un po’ il rimpianto di ciò che avrei amato essere: un architetto. Chissà se sarei stato bravo. Un architetto realizza delle cose solide, che rimangono. Ma del mio mestiere, cosa rimane? Delle ombre, delle ombre cinesi>>. Sebbene considerasse il cinema un’arte delle ombre, Mastroianni recita in oltre 140 film che lo porteranno ad essere interprete apprezzato e ricercato da registi e sceneggiatori del calibro di Monicelli, Scola, Ferreri, Lizzani e Cecchi D’Amico. In questa parte della mostra si ammirano memorabili spezzoni delle sue pellicole (come la divertente scena della pasta e fagioli de I soliti ignoti) insieme ad abiti e foto scattate durante le lavorazioni dei film. All’interno di questo spazio non poteva mancare un ambiente dedicato esclusivamente alle opere filmiche con la sua partner di ben dodici film: Sophia Loren. È sul set di Peccato che sia una canaglia (1954) che il regista Alessandro Blasetti identifica il potenziale di questa nuova coppia artistica. Tra il 1954 e il 1994 (anno in cui girano insieme Prêt –á- Porter ) i due riflettono sulle evoluzioni del costume nazionale, mettendo in scena prevalentemente il maschio italiano che si lascia travolgere e sottomettere dalla donna sempre più emancipata. Anche qui osserviamo l’abito rosso della Loren in Matrimonio all’italiana e ci commuoviamo assistendo nuovamente allo spezzone della rumba di Una giornata particolare.

Il percorso espositivo prosegue con la parte dedicata al lungo sodalizio artistico con Federico Fellini. La sezione si apre con un estratto del documentario Mi ricordo, sì, io mi ricordo in cui Mastroianni racconta come Fellini lo preferisse a Paul Newman per il ruolo da protagonista de La dolce vita, ma anche di quando chiese al regista di poter leggere il soggetto del film e questi gli fece arrivare solo un disegno. <<Si vedeva un uomo che nuotava pigramente in mezzo a grandi sirene, gigantesche, procaci. Guardai Fellini a lungo e dissi “molto interessante”. In realtà non avevo capito niente>>. Impossibile non offrire ai visitatori dell’Ara Pacis la scena della Fontana di Trevi e quel <<Marcello come here>> di Anita Ekberg con cui l’attore divenne la star, il simbolo della “mascolinità italiana”. Qui si ammirano parecchi bozzetti con cui Fellini era solito lavorare.

Se La dolce vita lo consacra “sex symbol” italiano, Mastroianni sceglie di interpretare subito dopo Il bell’Antonio, in cui è un bellissimo marito “impotente” di origine catanese.

La sezione “Non sono un latin lover” racconta proprio i tentativi dell’attore di liberarsi dallo stereotipo di “maschio virile”. Oltre al bell’abito da sposa indossato da Claudia Cardinale ne Il bell’Antonio, assistiamo ad uno stralcio del musical Ciao Rudy, con cui Marcello nel 1966 porta sul palcoscenico del teatro Sistina un’auto-parodia del latin lover per eccellenza, Rodolfo Valentino. Decine di copertine di riviste tra gli anni ’60 e ’70 dimostrano quanto la sua vita privata e le sue love story, con colleghe come Faye Dunaway e Catherine Deneuve, fossero in realtà molto pubbliche.

La mostra prosegue, poi, con la parte dedicata al cinema impegnato poiché Marcello non fu soltanto protagonista di commedie esilaranti, ma mise il suo talento al servizio della società civile. Qui osserviamo abiti di scena e locandine dei film con Marco Ferreri, Elio Petri e Ettore Scola.

Gli ultimi ambienti della mostra sono dedicati alla carriera internazionale dell’artista culminanti con una ricca bacheca contenente gli importanti riconoscimenti ottenuti, tra cui spicca il Leone d’oro alla carriera del 1990. Si osservano foto di scena dell’ultima opera Viaggio all’inizio del mondo e del suo ritorno a teatro fino a pochi giorni prima della scomparsa con Le ultime lune.

<<Ho avuto la fortuna di lavorare, senza sosta. L’ho riempita bene la mia vita>>. Era un’impresa ardua racchiudere una carriera ed una vita così ricca e straordinaria in una mostra e quella all’Ara Pacis riesce bene in questa operazione. Avremmo forse voluto trovare qualche traccia in più della sua vita familiare e intima, quella da lui stesso relegata nelle fughe tra un set e l’altro. Le due figlie Barbara e Chiara, ad esempio, compaiono soltanto in sporadiche foto da bambine e in un’intervista nella parte finale. Il Marcello privato viene forse eccessivamente sacrificato per lasciar parlare l’artista.

 

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Marcello Mastroianni

a cura di Gian Luca Farinelli

Museo dell’Ara Pacis , Roma, fino al 17 febbraio 2019.

Apertura: tutti i giorni dalle 09.30 alle 19.30.