Ci sono spettacoli – veri e propri monumenti del teatro – che restano nella nostra memoria come sedimenti inamovibili di emozioni, parole, pensieri e volti chiamati a farci compagnia per sempre. E ci fanno compagnia, tanto più, gli interpreti che ne sono stati protagonisti. Nel caso della grande Piera Degli Esposti (scomparsa lo scorso agosto, a 83 anni, per complicazioni polmonari), la mia personale memoria di spettatrice si lega, in particolare, a due lavori del suo immenso repertorio che possono sembrare molto distanti tra loro ma che in realtà parlano dello stesso eclettismo, della stessa energia, della stessa forza espressiva: Stabat Mater di Antonio Tarantino e Gli asparagi e l’immortalità dell’anima di Achille Campanile. Da un lato, dunque, la lingua carnale, violenta e persino blasfema di una Maria dei Derelitti, madre dolente e laicamente santa che, un passato da prostituta alle spalle, aspetta ancora il ritorno del suo amato Giovanni. Dall’altro, la leggerezza surreale, arguta, grottesca di un mondo letterario che mescola quotidiano e fantasia per farsi immagine, suono, sorriso intelligente. Piera sublime sempre. Sublime e vera. Sublime e appassionata. Sublime e originale, unica. Tragica e insieme comica. Come solo le anime sensibili e profonde sanno essere.
A questa meravigliosa attrice, ben nota al grande pubblico anche per le sue magistrali prove cinematografiche (basti citare L’ora di religione di Marco Bellocchio o Il divo di Paolo Sorrentino) e le più recenti apparizioni in fortunate serie televisive (Tutti pazzi per amore, Una grande famiglia, Ognuno è perfetto), la rassegna I Solisti del Teatro, in programma fino al 4 settembre ai Giardini della Filarmonica di Roma, ha dedicato Per Piera, serata di ricordi, aneddoti, testimonianze costruita come un omaggio dovuto e sentito all’artista e alla donna.
«Io penso che l’attore abbia un compito nella vita, arduo ma splendido, quello di consolare. Consolarci dei nostri lutti, degli abbandoni, delle malattie, della vecchiaia e della morte (…). Per essere attori, dunque, non mi sembra sufficiente la bella dizione, la bella voce, la disinvoltura, l’elegante quanto narcisistico porgersi; bisogna calarsi nel proprio buio profondo per risalire, poi, portandosi alla luce». È Pino Strabioli ad introdurre l’evento leggendo questa bellissima frase di Piera. Una sorta di missione deontologica capace di schiudere con naturale semplicità il mistero della sua bravura e al contempo la radice, per così dire, “umanistica” di una scelta professionale che ella ha fortemente rincorso per riscattarsi da un’infanzia molto complicata e per regalare a se stessa, appunto, la gioia di sentirsi utile per gli altri.
Spetta, non a caso, a Dacia Maraini, amica di lunga data di Piera e coautrice del celebre romanzo autobiografico Storia di Piera (1980), che Marco Ferreri tradusse nell’omonimo film tre anni più tardi, raccontare quella Piera privata, nascosta ai più, che lei conobbe molto bene. Fu Pasolini, che l’aveva scritturata per Medea, a farle incontrare, nella speranza che quel sodalizio portasse alla riscrittura di una Medea moderna. Ma dai tremori dell’eroina più controversa e crudele della classicità, l’attenzione si spostò sulla figura della madre di Piera e da lì nacque l’idea di scrive un libro-intervista che è sì una narrazione a sfondo autobiografico ma anche uno splendido affondo nel femminile, nel materno. «La madre di Piera» – racconta la scrittrice – «era una donna davvero fuori da comune, molto moderna, emancipata ma tanto sofferente. D’inverno dormiva e stava a letto ventiquattro ore su ventiquattro, in primavera poi si alzava, si truccava e andava in cerca dell’amore. Pagò a caro prezzo questa sua stravaganza (si sottopose a numerosi elettroshock e poi fu internata in un ospedale psichiatrico, ndr) e Piera ne soffrì molto ma non la odiò assolutamente. Anzi, ne ereditò gli aspetti più vitali: anche lei, soprattutto in estate, era pervasa da un senso di seduzione, di libertà, di voglia di vivere. Posso dire che, lungo tutto l’arco della sua non sempre facile carriera, Piera ha saputo costruirsi, con grazia e purezza, un personaggio sui generis: da una parte, era una bambina, aveva tanti lati infantili; dall’altra, una vecchia saggia, una guerriera, una che sapeva aspettare. Ecco sì, conosceva l’attesa, la pazienza, l’intelligenza delle trasformazioni. Era molto padrona di se stessa, anche se incerta, insicura. Ma io credo che tutte le persone di grandi qualità siano incerte, poco sicure di sé».
Anche sotto il profilo artistico Piera era un’artigiana con un metodo tutto suo. Formatasi direttamente sul palcoscenico (Antonio Calenda fu il suo primo grande maestro), scevra da impostazioni pedagogiche manierate e omologanti, era solita trattare i suoi copioni con la medesima originalità con cui trattava i personaggi. Cerchietti, segni, annotazioni tempestavano le battute da imparare. «Aveva inventato un suo linguaggio» – prosegue la Maraini – «e lo riportava sui testi. Essi sembravano delle carte geografiche piene di note e segni geometrici. Ricordo che quando veniva da ma a Pescasseroli, passava ore e ore a studiare. Mi manca molto. E mi manca molto il suo umorismo. Era esplosiva».
Ed esplosive risultano ancora oggi la sua immaginazione, la sua struttura di pensiero, la sua lingua, tanto materica e concreta quanto sghemba, metaforica, a tratti illogica. Quando Lucia Mascino (anche lei legata da un rapporto di personale amicizia con l’attrice bolognese) legge alcuni brani di Storia di Piera, questa esplosività trasborda dalla vita privata al palcoscenico (l’amore, ad esempio, per i personaggi femminili pirandelliani) e non c’è alcuna cesura tra l’una e l’altro. Lo stesso capita quando spetta a Monica Nappo dare voce alla voce di Piera attraverso dei passaggi molto significativi del volume Professione attrice, curato da Daniela Gara e pubblicato nel 1996.
Ad impreziosire la serata, il docufilm Tutte le storie di Piera di Peter Marcias (https://cineuropa.org/it/video/252038/rdid/248014/) e il poetico corto Lettera d’amore a Robert Mitchum di Francesco Vaccaro (https://www.youtube.com/watch?v=sUp_894Us24) in cui si racconta la grande passione di Piera per il divo hollywoodiano e la sorprendente circostanza in cui, complice Lina Wertmüller, ella ebbe modo di conoscerlo e cenarci insieme. Quel sogno d’amore non ebbe seguito, come era giusto che fosse. Ma ne resta l’incantevole fascino nella spiritosissima lettera “non spedita” che l’attrice scrisse a Mitchum, mescolando – ancora una volta – pianto e riso, sacro e profano, corpo e sentimenti. Un capolavoro.
Per Piera
con Dacia Maraini, Pino Strabioli, Lucia Mascino, Monica Nappo.
Tutte le storie di Piera di Peter Marcias.
Lettera d’amore a Robert Mitchum di Francesco Vaccaro.
I Solisti del Teatro – 28° Edizione, Giardini della Filarmonica, Roma, 11 luglio 2022.
La rassegna, con la Direzione artistica di Carmen Pignataro, proseguirà fino al 4 settembre 2022. Per tutte le info: https://www.isolistidelteatro.it/informazioni/