Uno spettacolo delicato. Uno spettacolo tiepido. Dipende da che parte lo guardi. Dipende da che cosa ti aspetti. Cosa ci aspettiamo da un lavoro che affronta il tema della morte, del lutto, dell’estremo distacco dai nostri cari, soprattutto quando è frutto di una scelta libera e consapevole?
Di questo si racconta in Grief & Beauty, il recente lavoro di Milo Rau presentato al Teatro Argentina per Romaeuropa Festival.
Grief &Beauty, dolore e bellezza, intrecciati e fusi in una dimensione terza che mentre prova a sublimare il dolore ti avverte che la bellezza può essere dolente. Dolente come l’ultima consolazione possibile. Di chi sa che i rami del platano fuori dalla finestra continueranno a crescere anche quando non li potrà più osservare. La vita resta intatta alla faccia della morte, riserva sorprese, emana calore come le interiora di un gatto investito da un’automobile, che ancora ti chiedono di affondare le mani prima che il freddo le congeli per sempre.
C’è, in tutto lo spettacolo – un’ora e mezza senza intervallo – una dialettica continua che cerca una sintesi nella contaminazione, nella corruzione di emozioni e di umori: tra vita e morte, resistenza e malattia, lontananza e prossimità, intimità di legami elettivi ed estraneità tra congiunti che si ritrovano in una terra straniera a recitare la parte della famiglia perfetta. Finché si riesce.
C’è la sofferenza del corpo da seppellire con un sorriso, perché se è vero che «morire è il compito più solitario che esista», è vero anche che bisogna tener fede alle promesse fatte a sé stessi. «Ho sempre detto che me ne sarei andata con un sorriso». E allora si può anche brindare a champagne, al capezzale di un moribondo.
Ognuno ha una storia di cui renderci partecipi. E ogni storia personale sfiora a modo suo la morte, metafora incalzante che si annida in gesti quotidiani, ripetitivi come lavarsi o espletare le funzioni primarie, diagnosi infauste, scelte difficili, drastiche, azioni subite o accettate di buon grado, magari restituite con ironia.
Perché c’è morte nella perdita delle proprie radici, nella dimenticanza, nell’abbandono da parte del compagno più giovane che ti aveva scelto contro le altrui convenzioni, c’è morte nelle brutte notizie che non ti risparmiano, proprio mentre stavi provando a rinascere nell’aria pulita delle montagne, c’è morte in chi affoga nell’alcol quel po’ di vita che resta perché da soli è difficile.
Ma c’è anche la morte inscenata a teatro che ti strappa un sorriso verace, e accanto a essa la morte complice, quella perseguita con l’eutanasia. Morte dolce, morte serena, ultimo atto, ultima scena. Carezze e ancora carezze, «sonno arretrato» da recuperare una volta per tutte. Sipario.
C’è qualcosa di teatrale nella scelta estrema di farla finita?
Certo in quella danza di chiusa in cui il vecchio e il giovane ci osservano divertiti, sembrerebbe di sì. In quel buco nero che arriva alla fine, in cui prima o poi sparirà anche la scena, ingombra di tutto, che riproduce in simultanea tutte le stanze di un’abitazione, c’è la vita e tutto il suo ciclo: ci siamo noi, i nostri cari, le nostre stanze piene di cose, i nostri libri e i nostri santini. C’è il nostro respiro nell’universo.
È chiaro che il regista si guarda bene dal calcare la mano, non affonda il coltello, non provoca né intende farlo. Dirige a filo d’acqua, cammina sulle uova, o forse è proprio pacificato di suo.
Mi domando se siamo noi, volenti o nolenti intrisi e oberati di cultura cattolica, che di fronte a un lavoro senza scossoni, ci sentiamo insoddisfatti, ci manca la croce, la quaresima e tutto quel carico che non ci piace ma che ci tocca, ci riguarda e ci perseguita. Noi agnostici, prima di tutti, pieni di dubbi da esorcizzare con la saturazione di vita.
Se devo rintracciare un momento in cui mi sono davvero commossa è il racconto del funerale di un bimbo di sei mesi in cui la madre ne narra la biografia «come se avesse avuto ottant’anni».
Infilare la vita in un piccolo corpo che non è più, infilare il tutto nel nulla, precipitare nel nulla tutto ciò che non è stato, che mai sarà, che vorresti che fosse. Grande metafora della nostra impotenza.
Grief & Beauty
testo Milo Rau & Ensemble
regia Milo Rau
performance Arne De Tremerie, Anne Deylgat, Princess Isatu Hassan Bangura, Gustaaf Smans, Johanna B. (in video)
drammaturgia Carmen Hornbostel
coach & dramaturgical collaborator Peter Seynaeve
scena e costumi Barbara Vandendriessche
composizione Elia Rediger
musica dal vivo Clémence Clarysse
camera & video design Moritz Von Dungern
light design Dennis Dielsa
assistente alla regia Katelijne Laevens
direttore della produzione tecnica Oliver Houttekiet
direttore di produzione Greet Prové
Grief & Beauty è una produzione dell’NTGent in coproduzione con Tandem Sceène Nationale Arras – Douai, Künstlerhaus Mousonturm Frankfurt, Romaeuropa Festival, Teatro Nazionale di Genova.
Romaeuropa Festival, Teatro Argentina, Roma, 29 e 30 settembre 2022.