«Che cosa ci sta succedendo?». È questa la domanda lanciata dal Teatro delle Ariette e rivolta ad artisti, operatori culturali e pensatori appassionati, purché disposti al confronto e alla condivisione di idee, progetti o anche soltanto ipotesi di salvataggio in extremis. Qualche suggerimento che possa darci un aiuto a capire qualcosa di più di questo tempo balordo, a destreggiarci nei meandri di un mondo che ci sfugge di mano, anche e soprattutto quando ci appare alla nostra portata. Tutto è vicino eppure tutto è confuso e indecifrabile.
Da questa condizione di disagio che ci tocca indistintamente, tutti o quasi, bisogna partire e ripartire per provare a stare a galla.
Non è un caso che la domanda riguardi un noi non tanto generico, ma generale, che parte dalla comunità teatrale, ristretta e spesso autoriferita, e si estenda alla collettività tutta.
«Capita ancora, ogni tanto, di sentire bisogno di qualcosa» – scrivono Paola Berselli e Stefano Pasquini – «Capita di avere la sensazione che qualcosa manchi anche in questo mondo dove tutto è a portata di mano. Qualcosa di importante, che abbiamo dimenticato, che un giorno abbiamo smesso di fare perché ci sembrava di non averne più bisogno. Qualcosa che non facciamo più da tanto tempo, ma di cui conserviamo un ricordo sfuocato. Cos’era quella cosa? Perché abbiamo smesso di farla? Cos’era successo? E cosa ci sta succedendo adesso che qualcosa riaffiora?».
Chi conosce il lavoro e il percorso delle Ariette immagina che quel qualcosa che riaffiora abbia a che fare con i riti e le abitudini ancestrali legate alla terra, dal coltivare un orto all’impastare la farina per il pane, e così sarà.
Abitudini che presuppongono la consuetudine con organi di senso che molti di noi hanno quasi messo in stand by, come l’olfatto, o il tatto stesso, sospeso non solo a causa della pandemia ma di una consegna al virtuale ben precedente.
Invece «parlare con gli altri, incontrarli, discutere faccia a faccia, ascoltarsi, io e te, senza televisori, computer e smartphone di mezzo» – continuano Berselli e Pasquini – «questo ci manca, di questo sentiamo di avere bisogno».
Anche loro, che di toccare, manipolare e plasmare la materia non avranno mai smesso.
E ora invitano noi, «in cerchio, coi nostri corpi, le nostre voci e i nostri pensieri, così vicini da poterci toccare. Noi, capaci di mostrarci fragili e confusi, incerti e dubbiosi, ma pronti al confronto e al dissenso. Noi, cercatori affamati di coerenza, di pensiero e di azione, attenti alle cose grandi, ma anche alle piccole. Noi proviamo a fare quello di cui sentiamo il bisogno».
Si comincia domenica 12 febbraio alle ore 15.30, ospite Alessandro Tolomelli, docente di pedagogia generale, sociale e della devianza presso l’Università di Bologna, esperto di pedagogia della marginalità e del contrasto alle discriminazioni, di pedagogia e teatro dell’oppresso, di pedagogia delle comunità.
Il secondo appuntamento è per domenica 26 febbraio, sempre alle ore 15.30, ospite Giancarlo Sissa, poeta nato a Mantova nel 1961 e residente a Bologna. Autore di numerose raccolte come Laureola, Prima della tac e altre poesie, Il mestiere dell’educatore, Manuale d’insonnia, Il bambino perfetto, Autoritratto, Persona minore e Archivio del Padre, oltreché presente in numerose antologie. Attivo in ambito sociale come formatore e coordinatore di servizi rivolti ai minori, ha ideato e condotto laboratori di scrittura dedicati al “silenzio” e alle ipotesi della “sincerità impossibile”. Per anni ha prestato opera di diarista e narratore in scena per il Teatro delle Ariette.
La partecipazione agli eventi è gratuita. Ogni appuntamento prevede una merenda popolare autogestita.
Per info e prenotazioni: 051 6704373 – 6704819; WhatsApp 338 8389138
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