La sera del 3 marzo, appena passata, ho ripreso dopo oltre due anni, tra pandemia e problemi personali, a godere appieno di uno spettacolo teatrale, grazie all’ambiente suggestivo, originale, ospitale, del romano Teatro Basilica, sostenuto da Antonio Calenda, un maestro del teatro italiano, e dai suoi familiari, Anton Giulio Calenda e la bravissima Daniela Giovanetti; e anche grazie alla presenza in sala di un foltissimo pubblico, attento e motivato; e infine grazie al gran talento di una coppia di attori quali Elvira Frosini e Daniele Timpano, anche produttori, che nella settimana 28 febbraio – 5 marzo, hanno presentato la trilogia Storia cadaverica d’Italia. Dux in scatola, Risorgimento pop, Aldo morto. Nel 2012 Timpano editò tale trilogia con la casa editrice Titivillus con l’apporto di critici e studiosi e teatranti, fra i quali ricordo qui Alfio Petrini e Paolo Puppa.
Nella suddetta settimana sono stati presentati tutti e tre i titoli, dopo ben 18 anni dalla prima apparizione di tali lavori, in particolare di Dux in scatola. Per vari motivi non ero riuscito mai a partecipare a una di queste messe in scena, e stavolta devo dire che il clima politico e sociale, oltre alla stima che nutro per i due artisti, mi hanno decisamente spinto a vedere in particolare Dux in scatola. Oggi si parla ogni giorno sui mass media, sui giornali, tra la gente, di un ritorno o meno di una certa mentalità “filofascista”, in alcuni casi, come in quello delle giovanili associazioni, dichiarata. Da subito devo osservare che Daniele Timpano, che afferma, e c’è da credergli, di essere assolutamente estraneo e indifferente all’epoca mussoliniana e fascista, non ha di certo nascosto la prima fonte a cui si è ispirato nella stesura del testo, che è il fortunato libro di Sergio Luzzatto, Il corpo del duce. Un cadavere tra immaginazione, storia e memoria, la cui prima edizione Einaudi è del 1998. Da questo testo Timpano in pochi anni allarga l’orizzonte di un’Italia “cadaverica” tramite l’aggiunta degli altri due “corpi” succitati, tra cui quelli risorgimentali di Mazzini e Garibaldi. L’autore e attore in Dux in scatola cita inoltre testualmente altri brevi contributi di giornalisti e scrittori che si dedicarono al tema in questione (da Malaparte a Ojetti e Gadda), facendo memoria di quanto successe ai resti del corpo di Mussolini, che trovò pace solo nel 1957 nel piccolo cimitero di Predappio.
Desidero ora sottolineare la geniale invenzione teatrale di Daniele Timpano, ovvero lo sdoppiamento, nello sviluppo del monologo, o forse meglio “monodramma”, tra il personaggio che racconta, commenta, cita, e il personaggio Dux, “inscatolato”, morto, tramite il suo corpo che ha perso da subito, nella primavera del 1945, qualsiasi regale dignità, ridotto a “cosa” cadaverica, inanimata per l’eternità. E conta, in questo sdoppiamento, un’originalità espressiva che non si identifica con precisi modelli ed esempi precedenti, pur inevitabilmente richiamandoli: Dario Fo? Roberto Benigni? Charlot? E direi pure Totò?
Ne deriva comunque che si esercita davvero un corpo a corpo: tra il corpo con voce e vita dell’attore, e il corpo cadaverico raccontato del Dux, iconicamente rappresentato da un bauletto di cm 80 per 40, che s’immagina lo contenga. Magnifica invenzione drammaturgica e teatrale che, con l’entrare e fuoriuscire, volta a volta, dall’una all’altra, e viceversa, delle due figure sceniche, permette al performer Timpano di alleggerire o addensare secondo necessità di ritmi, di pause, di silenzi, tutti i registri, passando dal tragico all’umoristico, dalla parodia alla precisione realistica dello svolgimento storico, dalla inevitabile macabra ripugnanza alla ironica sottolineatura dei destini umani, dalla ieratica prestanza fisica del Duce ad una immobilità, appunto, cadaverica, o da artificiale rappresentazione statuaria. L’attore non vuole rappresentare “il” personaggio Mussolini, secondo alcun registro, o ripetendo schematiche e scontate interpretazioni; semmai, come nel libro di Luzzatto, è il corpo morto ad interessare, come il corpo vivo del Duce ha colpito e colpisce ancora non poche persone, seppur nel ricordo, magari nei ritratti del viso, della testa, o anche nei busti di vario materiale, spesso usati come souvenir, e comunque restando ancora nell’”immaginario collettivo”. Certo, inevitabilmente Timpano sa di muoversi tra rimozione di una memoria ormai da superare e mitizzazione che sembra nascere da italici imprinting, assumendosi anche qualche rischio di contestazione da parte di alcune cerchie di spettatori. A mio parere più che dimostrare Timpano nella sua azione scenica “mostra”, e prendendo comunque ideologiche distanze, mostra seguendo svariati registri, come sopra ho sottolineato, a volte con sottili battute dette in understatement, altre volte con pose e gesti alogici, o con “segni” somatici usati in momenti chiave a illustrare una memoria del Duce da cineteca, con espressioni sia di condanna ma anche di ironia verso i nemici del Duce stesso. Ciò distingue il drammaturgo dal “teatro civile”, come pure da quello di “narrazione”, quando ingessati dall’inviare “i” messaggi, seguendo una dimensione scenica in cui ironia, paradossi, comicità servono ad abbassare il livello cultuale e cerimoniale, didattico e dottrinario, che da vari versanti si legge nella storia del passaggio dal Fascismo all’Italia pienamente repubblicana e democratica. Personalmente, e facendo onore a un grande uomo di teatro quale fu Alfio Petrini, anche fondatore di questa nostra rivista, penso che Timpano sia stato capace, come scrisse Alfio, sul piano fondamentale dell’etica, di sentire da artista, che in ciascuno di noi albergano bene e male, errori e riuscite, amore e odio: con tale consapevolezza si riesce, come ci riesce Daniele Timpano, ad avvincere, convincere ed emozionare gli spettatori.
Dux in scatola
testo, regia e interpretazione Daniele Timpano
disegno luci Marco Fumarola.
Teatro Basilica, Roma, 3 marzo 2023.
La trilogia Storia cadaverica d’Italia prosegue al Teatro Basilica con Aldo morto fino al 5 marzo 2023.