«Non ho mai trovato dei medici così convincenti nello sforzo di raccontare al malato la sua malattia» dice Emmanuel Demarcy-Mota ai suoi attori riuniti subito dopo la messa in scena di Ionesco Suite, storico spettacolo firmato dal regista francese che torna al Teatro della Pergola di Firenze, questa volta con un cast decisamente originale: sette attori e dieci giovani medici che sul palcoscenico presentano i personaggi e le loro patologie. Non solo gli studenti di medicina sono stati convincenti, come ha rilevato il loro demiurgo, ma tutta l’operazione ci indica una prospettiva rispetto al trattamento dell’essere umano che molti si ostinano a voler considerare post-novecentesco. Andiamo, però, per ordine. All’inizio di questa storia c’è una compagnia di attori francesi che si ingegna per trarre dal corpo anatomico delle opere di Eugène Ionesco una partitura sulfurea in grado di catturare sensi e intelletto. Lo sguardo registico è di Demarcy-Mota, oggi direttore artistico del Théâtre de la Ville di Parigi, allora giovane talento della scena francese evidentemente già corroso da quello che Pirandello chiamava «il tarlo della coscienza». Passano 25 anni e Ionesco Suite resiste a cambi di governo, guerre, pandemie, lutti personali, senza ignorare tutto quello che andava accadendo, anzi incorporando nello spettacolo le ferite della storia privata e collettiva. Nel 2022 lo spettacolo arriva per la prima volta in Italia, all’interno di un progetto unico, la Carta 18-XXI siglata tra il Théâtre de la Ville e la Pergola, con lo scopo di affrontare insieme non solo le questioni artistiche, ma anche quelle legate a salute, ambiente, parità di genere. Si guarda non tanto alla gioventù quanto, in senso più lato, alla giovinezza, intesa come predisposizione allo stupore e al “soffio vitale”. Ed ecco tornare in scena, dopo un anno, sempre alla Pergola diretta da Marco Giorgetti, proprio quella Suite che calamita diversi frammenti delle opere di Ionesco (La cantatrice calva, La lezione, Jacques ovvero la sottomissione, Delirio a due, Come preparare un uovo sodo, Esercizi di conversazione e dizione in francese per studenti americani). Gli attori sono gli stessi, cresciuti dentro i corpi scenici delle loro infelici e ribelli creature. Ma in questa circostanza non si tratta di una replica. L’attore è “aumentato”, nutrito e indagato da due diversi apporti. Da un lato, ci sono gli studenti di medicina che, accompagnati dalla neurochirurga Carine Karachi, hanno incontrato a Firenze alcuni loro coetanei che lavorano all’ospedale Santa Maria Nuova. Il frutto di questi scambi ha portato a una nuova drammaturgia, che ci è sembrata, alla prova del palco, incredibilmente solida, dimostrando quanto le ferree leggi del teatro e le scoperte della scienza medica possano produrre un nuovo orizzonte di senso. Per altro verso, dopo un intenso percorso laboratoriale tenuto da alcuni attori della compagnia parigina, rivolto agli allievi diplomati del Centro d’Avviamento all’Espressione Orazio Costa (diretto da Pierpaolo Pacini) e della scuola di perfezionamento Oltrarno (diretta da Pierfrancesco Favino), si è data la possibilità di integrare un attore italiano ad ogni replica. «Non sapremo fino all’ultimo momento se questa sera andranno in scena due attori italiani al posto di due francesi, oppure tutti italiani, o un solo italiano con il resto degli attori del Théâtre de la Ville» continuava a dire Demarcy-Mota prima di ogni replica. La tensione lasciata aperta non aveva di certo il compito di snervare gli attori, ma di far comprendere, per dirla con Amleto, che «essere pronti è tutto».
Veniamo, infine, allo spettacolo visto dopo un anno nel saloncino Paolo Poli della Pergola. Si rinnovano le impressioni provate la prima volta, quando Ionesco Suite ci sembrò una grande festa dello spirito (comico e tragico). Rispetto a quel battello ebbro maniacalmente costruito sulla precisione dei gesti e della ritmica interpretativa, cosa hanno portato i corpi e i dialoghi cuciti sulle fisicità acerbe degli studenti di medicina? La partitura si è allargata senza perdere la tensione scenica. I giovani dottori avanzavano con il loro paziente-personaggio, spiegando al pubblico la sua patologia: diagnosi come disturbo bipolare, depressione, afasia, ritardo psicomotorio potrebbero suonare come innesti artificiali rispetto al tripudio di gesti e discorsi felicemente sgrammaticati di cui si fanno portatori sani i personaggi di Ionesco incarnati dai magnifici attori francesi (Charles-Roger Bour, Céline Carrère, Jauris Casanova, Antonin Chalon, Sandra Faure, Stéphane Krähenbühl, Gérald Maillet). E invece, la cura con cui la sperimentazione è stata portata avanti ha raddoppiato l’effetto di verità rivelato attraverso una partitura sonora, fisica e linguistica che sembra nata sotto dettatura automatica dell’inconscio. In questo teatrino delle apparizioni che, in ultima analisi, racconta la storia di una famiglia disfunzionale, non c’è spazio per l’improvvisazione. Tutto è studiato nei minimi particolari, per favorire l’accesso a quella “seconda dimensione” capace di far sentire l’aspetto sacro di ogni miserabile esistenza.
Subito dopo le due repliche fiorentine, gli studenti di medicina sono tornati ai loro laboratori. Ma l’organismo vivente Ionesco Suite non smetterà per questo di offrirsi a nuove operazioni a cuore aperto. Dall’Africa, dove non esistono di certo accademie né scuole di teatro, arriveranno a breve altri attori formati da una costola della compagnia francese. Alcuni di loro potrebbero far sentire la loro voce nella Suite ispirata alle opere dell’autore franco-rumeno. Si moltiplicano, dunque, le variazioni di questo lavoro incendiario che, da un punto di vista scientifico, indaga la funzione della memoria come ponte tra reale e immaginario. Se l’obiettivo condiviso da Marco Giorgetti e Demarcy-Mota è la creazione dell’Attrice e dell’Attore Europei, nel tempio fiorentino che ha visto risuonare le parole di Orazio Costa, Tadeusz Kantor, Eduardo De Filippo, Eleonora Duse, Gordon Craig, allora la partita si fa ancora più seria. Demarcy-Mota parla di «assi combinatorie». Si crea uno spazio bianco, si apre un nuovo canale. La lingua si ibrida. Si accoglie la lezione sul teatro di Fernando Arrabal, il grande drammaturgo, poeta e regista cinematografico spagnolo, arrivato a Firenze per testimoniare con la sua presenza cosa possa significare, dopo aver lavorato con André Breton, Tristan Tzara e Andy Warhol, «essere sopravvissuto a tre reincarnazioni della modernità» (l’espressione è del critico Mel Gussow). Si ascoltano le parole di Marie France Ionesco, che di Eugène è la figlia. Mentre si studia su quali nuovi binari possono ancora dialogare teatro e scienza, ambiente e salute. Per parlare ai ragazzi del XXI secolo non bisogna rottamare nulla. Perché non basta essere giovani per saper portare la lingua del futuro. Il tanto bistrattato Novecento sembra avere ancora qualcosa da dire. L’importante è non trattarlo come una collezione di oggetti museali. Nel laboratorio dell’Attrice e dell’Attore Europei, le generazioni si guardano allo specchio non per mirarsi e rimirarsi, ma per capire insieme quale sarà il prossimo passo da fare. E se è consentito andare a dormire, lo è in una logica tutta surrealista. Pare che André Breton, durante le sue ore di sonno, diurne o notturne che fossero, avesse l’abitudine di affiggere un biglietto fuori dalla porta: «Non disturbare. Il poeta lavora».