Anche quest’anno il “rito collettivo” del Kilowatt Festival ha legato e collegato Sansepolcro (11 – 15 luglio) e Cortona (19 – 23 luglio) in un lungo, intenso abbraccio. Quel “rito collettivo” auspicato dai direttori Lucia Franchi e Luca Ricci si è consumato con tutta la sua forza trascinante generando energia e bellezza, dando vita a quel Paradiso Adesso – sottotitolo di questa XXI edizione – che si ispira alla celebre performance Paradise Now, realizzata tra il 1968 e il 1970 dal gruppo americano Living Theatre fondato da Julian Beck. «Se l’uomo vede che sulla scena si può “andare più lontano”» – diceva Beck – «capisce che può farlo ugualmente nella vita e quindi viene incoraggiato ad agire».
E sulla scena di questa edizione cortonese si è cercato di andare più lontano raccontando ciò che questo nostro presente ci mette davanti – paure, sogni, desideri, contraddizioni, angosce, obiettivi – per tracciare una mappa che possa suggerire una strada, forse tortuosa, forse poco chiara, ma pur sempre un tentativo di andare avanti, di procedere verso qualcosa che “ci colga in vita” parafrasando la massima dello scrittore Marcello Marchesi. Insomma, compiere il grande salto così come augurato dai direttori del Festival.
Un salto che la brava Gioia Salvatori non ha paura di compiere, e noi spettatori assieme a lei. «C’è allarme, tragedia, tempesta sopra di noi!». urla dal centro del palco, ponendoci e ponendo a se stessa, come un mantra, tre domande: «Chi sono io? Che ci faccio qui? E che ci devo fare con me stessa?». Domande a cui forse solo pochi fortunati sanno rispondere. Di ridere di piangere di paura, testo in prima nazionale di cui è autrice e che ha co-diretto con Gabriele Paolocá, si poggia su un tappeto musicale suonato dal vivo da Simone Alessandrini che sottolinea e fa vibrare ancora più violentemente le corde delle parole che la Salvatori lancia a raffica, spesso in versi, a volte cantando. Una riflessione ad alta voce sullo scorrere del tempo e quindi su di noi, sul nostro posto nel mondo e sulla nostra anima. Sapere stare con se stessi è la parte più difficile, sembra dirci la Salvatori, in un mondo sempre più occupato a stare “fuori di noi”, perché preoccupato solo di dare un’opinione in Rete per dimostrare di essere qualcuno. E quando ci si guarda dentro e si parla a se stessi si avrebbe quasi bisogno di una balia, una sorta di “fata madrina o di madre fatina”, che metta luce e ordine in un sé definito un “monolocale asfittico”.
E dalla rete digitale si passa a quella relazionale con la coinvolgente performance All you need is di EM+ il progetto coreografico di Emanuele Rosa & Maria Focaraccio dove i due danzatori insieme ad Armando Rossi compiono una piccola rivoluzione, ripensando i tradizionali balli di coppia quali il tango, il valzer, la salsa, come balli per tre e creando, quindi, nuovi equilibri e figure. Il risultato è una danza appassionata in cui la bellezza si è moltiplicata dimostrando come a volte basta allargare lo sguardo e sperimentare per far nascere qualcosa di nuovo, non necessariamente migliore, ma ugualmente bello. Un modo altro di danzare che diventa «metafora di una diversa costellazione di possibili relazioni».
E di certo la relazione non manca quando arriva in scena in piazza del Duomo a Cortona Daniel Warr, in arte Dado, un clown canadese con una grande gobba, un po’ giocoliere e un po’ poeta cinico, che nel suo spettacolo Dado classic intrattiene e stupisce. Soprattutto quando a fare da spalla chiama sul palco, scegliendolo assolutamente a caso dalla platea, un bimbo che si diverte – e diverte – a giocare con lui, tra palloncini che volano, altri che scoppiano e oggetti che prendono vita. Un mix perfetto tra magia, mimo e clownerie.
E se a questo tris di ingredienti aggiungiamo il tipico senso dell’umorismo inglese e un pizzico di assurdità ecco Gibbon del duo Patfield & Triguero che mettono in scena il processo creativo dello spettacolo la cui forza risiede in gran parte, oltre che nella loro indiscussa bravura, anche nella loro intesa totale. Tra giocoleria, gags e virtuosismi, Patfield & Triguero raccontano le vittorie e i fallimenti che fanno parte della vita.
La nota interessante del Kilowatt Festival è proporre al pubblico universi variegati in cui performance di danza si alternano alla sempre più diffusa stand-up comedian (finalmente la si incontra più spesso anche in Italia!) passando per la musica e la danza, declinata in mille combinazioni. Come quella proposta da Parini Secondo X Bienoise che in Speed riescono a miscelare coreografie e musiche ispirate al fenomeno della Para Para e dell’Eurobeat. Le quattro danzatrici, Sissj Bassani, Camilla Neri, Martina Piazzi e Francesca Pizzagalli, si muovono all’unisono con una gestualità delle braccia, tipica di questo genere, iper-dinamica e ispirata alle anime giapponesi. Il tutto su una musica a volume altissimo che proviene da un’automobile da tuning che segna il tempo coreografico. Il risultato è ipnotico ed è sicuramente il progetto più interessante proposto dal Festival.
E dalla musica elettronica e power metal di Speed si passa alla techno ballata da Igor X Moreno X Collettivo Mine in Beat forward diretto da Igor Urzelai Hernando e Moreno Solinas, con Francesco Saverio Cavaliere, Siro Guglielmi, Fabio Novembrini, Roberta Racis e Silvia Sisto. La prima danzatrice in scena, con un movimento dell’anca sempre uguale, sembra quasi scandire il tempo. Poi i danzatori diventano tre, infine cinque quasi come in un ipnotico flash-mob la coreografia va avanti scomponendosi e creando cinque assoli contemporaneamente, fino a ricomporsi in un unico battito corale.
Lo stesso che attraversa anche Together Alone, il nuovo spettacolo della danzatrice e coreografa ucraina Yana Reutova in cui danzatori ucraini, cechi e burkinabé danno vita a un progetto coreografico in tre tappe. Una danza che invita a riflettere sul senso dello stare insieme e dello stare da soli e per interrogarsi sui confini della nostra individualità. Attraverso i tre momenti Together Alone affronta uno dei grandi temi della nostra contemporaneità, la solitudine, che si manifesta anche e soprattutto quando siamo circondati da persone perché anche quando siamo insieme, alla fine, siamo ognuno per conto proprio.
Una nota a parte merita Opium clippers di Glej Theatre / Neja Tomšič, una cerimonia del tè per dieci spettatori al giorno che hanno potuto ascoltare la storia del commercio dell’oppio in Cina, tra la seconda metà del XVIII e il XIX secolo, partendo dai dipinti realizzati dalla Tomšič sulle teiere disposte in fila sul tavolo. Le storie delle navi che la Tomšič racconta non sono solo le storie dei conflitti internazionali, della colonizzazione e dello sviluppo del consumismo, ma fanno anche riflettere sulle profonde implicazioni del commercio del tè e dell’oppio oggi. Un piccolo gioiello di condivisione.
Tante, dunque, le parole di questa parte della XXI edizione di Kilowatt Festival che si conferma un appuntamento variegato e stimolante. Un salto che non si ha paura di fare e del quale si gode ogni attimo in sospensione, vertigine e tensione.