Scusate se parliamo d’amore. Quel gin che riempie un vuoto d’amore di Maria Francesca Stancapiano

Quante volte abbiamo riempito la nostra bocca con la parola “amore” magari consapevoli di conoscerne il significato, la musicalità, il rispetto per essa? Quante volte un amore è stato sostituito con un altro per la paura, forte paura, di avvertire un’assenza, un vuoto, che fa da eco alla nostra risonanza più intima, alla nostra anima? Quante volte ci siamo sentiti soli pronunciando la parola “amore”? Succede. È successo. E forse ancora succederà. Quante volte, però, ci siamo chiesti di cosa parliamo quando parliamo d’amore nello stesso modo in cui Raymond Carver si è posto il problema nella sua raccolta di racconti del 1981, dallo stesso titolo, in cui i suoi protagonisti, i suoi mille dèmoni, preoccupati e distratti in un’America veloce e per niente attenta al cuore dell’uomo, si consuma in dialoghi poco comprensibili perché c’è poco ascolto ma bisogno, allo stesso tempo, di attenzione; in cui la solitudine regna sovrana, in cui le luci appaiono fioche, tristi come nei quadri di Hopper. In cui un gin di troppo non è mai troppo anzi è solo un rimedio per le parole che scivolano come flussi dalla lingua di donne e di uomini; quelli che la parola crisi non hanno il coraggio di pronunciarla né tantomeno di affrontarla. Chiunque di noi si sia trovato di fronte almeno a un racconto di Raymond Carver ha avuto la sensazione di non capire subito cosa volesse dirci lo scrittore per il suo glissare da argomenti ad altri senza un nesso logico: si torna indietro di qualche pagina perché magari a un certo punto la situazione è diventata surreale; colpisce con una delicatezza speciale, tutta sua, e riempie di domande i personaggi che riporta sulla carta. Così, tutte quelle domande, in qualche modo diventano anche nostre e ci accorgiamo che ci voleva proprio un suo racconto per formularle nella nostra testa. All’Off/Off Theatre di Roma, fino al 20 gennaio sarà in scena Scusate se parliamo d’amore . Il teatro nelle storie di Raymond Carver con Massimo Poggio, Barbara Rizzo, Andrea Mitri e Letizia Sacco, per la regia di Alberto Di Matteo.
Lo spettatore entra nel teatro e, mentre cerca il proprio posto, ha già i quattro attori che ridono e deridono chi li guarderà sul palco. Sorseggiano gin, si fanno domande a bassa voce, continuano a guardarci, ci contano anche e insieme attendiamo il buio in sala. Insieme attendiamo di partecipare a una discussione che riguarda anche noi. Non parliamo, ma possiamo avere vissuti simili che accarezzano o infastidiscono la nostra fretta quotidiana.
Silenzio. Lo spettacolo, a questo punto, continua solo tra loro, due coppie di amici, al tavolo da cucina, con quattro bicchieri, una bottiglia di gin e una di soda. È giorno di festa, i quattro bevono e chiacchierano e non si sa come né perché cominciano a parlare, quasi a vomitare, domande sull’amore, cercando di restituirne il senso attraverso esperienze individuali, non collettive (attenzione!), individuali. La solitudine dell’individuo è un tema caro a Carver – come anche al drammaturgo statunitense Edward Albee, ricordiamo il suo testo Chi ha paura di Virginia Woolf? dove sono sempre due coppie a consumarsi tra interrogativi, alcool e solitudine.
I quattro attori “si passano la palla” a un ritmo incalzante, in ascesa, partendo da un tono riflessivo, poi distensivo e, quando la leggerezza viene avvertita, quasi indisposti, cercano un movente (ciascuno ha il proprio: un matrimonio andato in rovina, un amico troppo distratto che ha perso un figlio di fronte ai propri occhi…) per continuare a parlare di crisi, di abbandono, di disperazione, come se porsi domande e non volere risposte fosse la condizione migliore per rimanere nel limbo dell’attesa.
I quattro personaggi sono quattro sfaccettature dell’essere umano che a volte si intrecciano: in alcune situazioni hanno confidenza tra loro, sono complici, in altre sfuggono, si deridono a vicenda, si abbandonano per poi riprendersi e così via, in un vortice di ricerca costante, come la costante ricerca del senso dell’amore.
Sul palco dell’Off/Off theatre non ho visto soltanto degli attori che hanno osato tirare fuori dai miei “cassetti” i loro vissuti; ho visto anche un volto di Raymond Carver.

 

Scusate se parliamo d’amore. Il teatro nelle storie di Raymond Carver

drammaturgia e regia Alberto Di Matteo
con Massimo Poggio, Barbara Rizzo, Andrea Mitri, Letizia Sacco
Off/Off Theatre, Roma, fino al 20 gennaio 2019.