Così parlò Bellavista: sulla scena la Napoli di De Crescenzo di Giorgio Taffon

foto da http://www.gitiesseartistiriuniti.it/

Credo che il famosissimo personaggio del professor Bellavista, inventato nel 1977 da Luciano De Crescenzo col suo romanzo Così parlò Bellavista, sia ben radicato nella cultura popolare, e non solo, napoletana. Il personaggio fu protagonista poi dell’omonimo film del 1984, fortunatissima pellicola a cui contribuì lo scomparso Riccardo Pazzaglia; e oggi è presente sui palcoscenici italiani per merito dei produttori Alessandro Siani e Geppy Gleijeses, anche bravissimo adattatore drammaturgico, regista, e interprete principale. De Crescenzo, volutamente strizzando con ironia l’occhio e quasi in antitesi al titolo nietzschiano di Così parlò Zaratustra, (e qui ricordo poi la serie di titoli dell’ingegnere napoletano dedicati a pensieri e storicizzazioni filosofiche), mi pare abbia tenuto conto, tra memoria teatrale e drammaturgica, di un personaggio napoletano, quasi maschera, e cioè quel Don Nicola che, col suo continuo parlare e pontificare, divenne sulle scene verso fine Ottocento un critico osservatore satirico e al contempo un po’ bonario, dell’universo antropologico napoletano. Non poteva poi mancare, credo, nell’invenzione decrescenziana, la presenza di Eduardo, non solo del drammaturgo che delinea dopo la guerra una figura di pater familias e di uomo che assume le sue responsabilità compiuto il suo processo di crescita matura e autoconsapevole, e che mette sulla scena, in Le voci di dentro, un personaggio silente, Zi’ Nicola, che parla attraverso i suoi botti, perché tanto il mondo ormai non sta più a sentire la voce della saggezza.
Nel lasso di tempo che corre tra il 1945-46 e gli anni Settanta molti napoletani, per lo più uomini di cultura, dirigenti, artisti, e lo stesso De Crescenzo, vissero una piccola ma significativa diaspora che li vide stabilirsi a Roma, a Milano, a Torino. Fu una presa di distanza, e al contempo un osservare sofferto e assieme nostalgico la loro città d’origine, quel loro incantevole, immaginifico, incredibile mondo di vita. Mi piace pensare dunque che De Crescenzo, lasciata l’azienda dove aveva svolto un ruolo dirigenziale, abbia sentito imperioso il desiderio di… parlare! Da qui appunto il suo Doppio, il professor Bellavista, che dopo trent’anni pensa e crede che il mondo sia divenuto più saggio e possa ascoltarlo, a partire da quelle figure per lo più popolari del microcosmo umano, che nel film del 1984, è tutto raccolto nel cortile del palazzo dove abita il protagonista.

 

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Certamente le vicende di Napoli e dell’Italia, specie negli “anni di piombo”, i fatidici Settanta, segnarono un generale imbarbarimento, con il potere laterale della camorra che giunse a stravisare anche certi fondamenti etnoantropologici della Napoli storica, piccolo borghese e popolare (messi ben in luce da Stefano De Matteis nei rispettivi contesti della storia teatrale partenopea). Come far parlare il prof. Bellavista? Come evitare che le sue elaborazioni mentali non vengano oscurate dalle nuove terribili condizioni di vita che tra i Settanta e gli Ottanta (ricordiamo il terremoto) altri personaggi mostravano, quelli interpretati dai post-eduardiani (Moscato, Ruccello, Santanelli, Franceschi)? E qui credo che sia entrato in gioco fin dalla mondadoriana prima edizione del ’77 l’idea dell’autore di concentrare la tipica arte dell’arrangiarsi nel lavoro mentale e riflessivo del personaggio: Bellavista esercita le sue intuizioni con l’eloquio, offrendo lezioni di buonsenso ma anche di acrobazie dialettiche ai suoi improvvisati scolari, accompagnandole con ironia, con bonomia, con filosofico aplomb.
Da quel personaggio De Crescenzo ha via via avvalorato i suoi tantissimi scritti sapendo entrare nel magico circuito promozionale e produttivo televisione-stampa-cinema-case editrici, incontrando compagni di strada assai validi, come, ad esempio, Maurizio Costanzo e Renzo Arbore, e mettendo in circolo in modo di certo intelligente la linfa di una cultura nazionalpopolare, da ascrivere a una sorta di “nobile intrattenimento”, di consumo culturale un po’ snob e un po’ divagante.
Venendo allo spettacolo visto al teatro Quirino di Roma, credo che sia giusto il fin qui universale tributo di stima e approvazione reso dagli spettatori ai realizzatori del Così parlò Bellavista, nella prima versione teatrale fin’ora realizzata. Giusta è la scelta drammaturgica di lasciare i personaggi nel tempo storico in cui son stati creati dalla fantasia di De Crescenzo; opportune sono alcune soluzioni sceniche in cui si attua un estraniamento atto a far capire allo spettatore che le vicende vanno viste in modo distaccato e magari nostalgicamente ricordate nella loro specificità di costume “alla napoletana” (con gli imbroglioni, con gli edotti nel gioco del Lotto, con i “cassamortari” che vogliono smerciare il loro iettatorio prodotto). Ancor di più molto efficace è condensare il moto nostalgico nella nostalgia di una scuola teatrale che è ormai divenuta, come auspicò Eduardo, il di fatto vero Teatro Nazionale di Tradizione (da ciò l’adozione di un linguaggio poco marcato dialettalmente, ma del tutto costituito da un italiano standard regionalizzato). E tutto questo attraverso i “numeri”, come direbbe un Viviani, che compongono la linea peculiarmente comica della rappresentazione, ma non mancano anche gags e scenette in genere calate nel contesto familiare dei Bellavista. Anche i momenti di tensione drammatica, dovuti e alla presenza e al pericolo della camorra, e alle difficoltà in cui s’imbatte la figlia dei Bellavista incinta e sulla soglia del matrimonio, vengono in qualche modo metabolizzate dall’atteggiamento mentale e caratteriale del protagonista, per cui il mondo piccolo borghese della vicenda in qualche modo acquisisce una sorta di immunità (ma ci dovremmo chiedere: nella realtà ancora per quanto?).

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Tuttavia credo che non sia del tutto possibile sulla scena superare i limiti di un testo esile nella sua struttura diegetica, d’intreccio, e a volte, all’occhio e all’orecchio di uno spettatore d’oggi, già visto, o sentito, e dunque scontato. I personaggi “macchietta” funzionano perché, tutti gli originari attori di scuola autenticamente napoletana, “mostrano” e “dimostrano” come sul piano della comicità e dell’intensità dell’azione e della parola scenica, si può ancora pienamente, il più delle volte, attrarre lo spettatore, muoverne il riso e divertirlo.
Il nocciolo filosofico del protagonista è nel suo considerare gli uomini come identificabili o nel sentimento dell’amore, o in quello della libertà, in genere i primi appartenenti alla napoletanità, e i secondi al costume e all’educazione settentrionali. Naturalmente, come tanti già sanno, questa divisione alla fine risulterà fittizia, perché c’è sempre un “meridione” per tutti. Alla luce di questo simpatico aforisma credo di poter dire che certamente quello che si coglie nello spettacolo è l’ancora vigente amore per il mestiere teatrale, e al contempo la necessaria libertà dello spettatore di condividerne o meno i risultati finali.

Per raggiungere felicemente i quali hanno lavorato:

Geppy Gleijeses, con una regia complessivamente sagace, e ben misurata nei tempi di volta in volta necessari; nella parte del professor Bellavista dimostra una maturità artistica di primario livello, e da apprezzare, nello specifico, sono la sua capacità di non ingessare minimamente il personaggio in una sorta di pedanteria, anzi, in alcune movenze lo accosta con simpatia al modello del gagà, in altre mostra una sottile bonomia, perfino goldoniana.
Marisa Laurito, nella parte di Maria Bellavista, crea un personaggio vivace, padrona della scena, al punto che nel ricordarla giovane attrice di Eduardo, non sembra che siano passati non pochi anni, tutt’altro: la verve è sempre la stessa, e le permette di creare in alcuni passaggi un duetto serva-padrona, davvero godibile grazie anche a Nunzia Schiano, caratterista conosciuta anche dal grande pubblico, che incarna la domestica Rachelina, con belle impennate caratteriali che rinforzano il ritmo scenico generale.
Benedetto Casillo, il quale è stato fra i primi a spingere, assieme ad Alessandro Siani, quest’ultimo nella veste di produttore, per la realizzazione dello spettacolo; sulla scena è un vice sostituto portiere Salvatore, pienamente appartenente ad una figura tipica del teatro novecentesco napoletano: intelligente, furbo, pronto ad intervenire per il proprio vantaggio, ma anche amico devoto del professore, e degli altri inquilini, uomo anch’egli “d’amore”.
Tutti meritano una menzione, ma ho esaurito il mio spazio e ricordo ancora un altro caratterista di vaglia quale è Salvatore Misticone. Tutti sanno sdoppiarsi e triplicarsi perfettamente in più personaggi.
Gli altri, tutti bravi: Vittorio Ciorcalo, Patrizia Capuano, Gianluca Ferrato (pienamente nella parte del dirigente milanese dell’Alfasud), Elisabetta Mirra, Gregorio Maria De Paola, Agostino Pannone, Gino De Luca, Ester Gatta, Brunella De Feudis.
Assolutamente da ricordare la splendida, realistica e non solo descrittiva scenografia di Roberto Crea, che richiama uno dei palazzi storici del Sanfelice, con addirittura degli spazi praticabili; i costumi di Gabriella Campagna, le luci di Gigi Ascione e le musiche di Claudio Mattone cooperano pienamente alla generale ottima resa artistica dello spettacolo.

foto da http://www.gitiesseartistiriuniti.it/

Così parlò Bellavista

dal film e dal romanzo di Luciano De Crescenzo
regia e adattamento teatrale   Geppy Gleijeses
con Geppy Gleijeses, Marisa Laurito, Benedetto Casillo, Nunzia Schiano, Salvatore Misticone, Vittorio Ciorcalo, Patrizia Capuano, Gianluca Ferrato, Elisabetta Mirra, Gregorio Maria De Paola, Agostino Pannone, Gino De Luca, Ester Gatta, Brunella De Feudis
scene   Roberto Crea
costumi   Gabriella Campagna
luci   Luigi Ascione
musiche   Claudio Mattone
Produzione   Gitiesse Artisti Riuniti   e Best live

Teatro Quirino, Roma, fino al 3 febbraio 2019.