La messa in scena della famiglia disfunzionale: “Agosto a Osage County” di Alessandra Bernocco

Foto di Luigi De Palma

Disfunzionale. Viene definita così la grande famiglia Weston, tre generazioni di conflitti irrisolti che implodono attorno al corpo di un morto, prima ancora di sapere che è morto, il padre e patriarca alcolizzato, scomparso abbandonando alle cure di una badante e all’incuria della progenie, la moglie malata di cancro, dipendente da psicofarmaci. Questa, almeno, è la situazione come si presenta all’inizio di Agosto a Osage County, la commedia di Tracy Letts messa in scena da Filippo Dini e prodotta dal Teatro Stabile di Torino. Benché subito dopo venga spontaneo domandarsi quali siano, se esistono, le famiglie funzionali. Cosa esattamente si intenda per funzionale, quali famiglie la passino liscia, quali caschino in piedi, quali attraversino indenni feste comandate e assemblaggi fuori programma, a cui è impossibile sottrarsi.
Perché in ogni membro della famiglia Weston ci siamo noi o i nostri congiunti, i congiunti dei nostri congiunti, gli amici dei congiunti dei nostri congiunti. Ben pochi esclusi, ma, soprattutto, nessuno immune.
Difficile che qualcuno, dopo avere assistito a questo spettacolo, si possa sentire parte di un organismo funzionale.
Scritta dal drammaturgo americano nel 2007 e rappresentata lo stesso anno dalla Steppenwolf Theatre Company, a Chicago, e subito dopo all’Imperial Theatre di Broadway, la commedia, Premio Pulitzer, mette in scena un coacervo di individui incapaci di relazionarsi tout court: non soltanto per l’incapacità di stabilire rapporti sani o quantomeno civili, dotati di una qualche bontà di azione e intenzione, ma proprio per una strutturale incapacità di riconoscere che nel forsennato biliardino dell’esistenza le biglie hanno colori diversi e se non si può segnare il punto, si può almeno provare a non andare in tilt.

Foto di Luigi De Palma

Invece in tilt ci andranno tutti, cattivi e buoni, stolti e sagaci, giovani e vecchi: vite ingolfate in un gioco interrotto che non diverte nessuno, dove si riproducono o tornano a galla tutti gli attriti, i sospesi, le differenze a cui il tempo e la distanza non hanno posto rimedio.
C’è un’indolenza che striscia sotto la rabbia, la frustrazione, la vergogna, il risentimento, un’inettitudine alla felicità che si manifesta nell’affezione al proprio castigo e al senso di colpa che ne deriva in chi prova a uscirne.
Ma c’è anche la punizione che arriva improvvisa, come in una tragedia greca, e che colpisce coloro che hanno invece provato a scavarsi una nicchia, a tracciare una via sotterranea, un percorso che prima o poi ti permetta di uscire dalla gabbia di un’esistenza non scelta.
Perché c’è un non detto, un segreto pesante come una lapide da sotterrare con un silenzio omertoso, soltanto per salvaguardare una convenienza pacifica che nulla ha di pacifico.
Ma su tutto domina il cinismo, quello di Violet, la vedova e la madre e la nonna e la suocera e la sorella e la cognata: il perno senza equilibrio che tutto controlla, a cui nulla sfugge, attorno al quale ruotano gli altri caratteri. Una donna spietata che si muove tra ricatti, rivendicazioni e corruzione morale come a liberarsi del suo cancro alla bocca vomitandolo addosso a chi le capita a tiro, soprattutto le figlie. Colpevoli di essersene andate di casa o di esserci restate, ma comunque colpevoli. Perché se te ne vai ecco che tuo padre, che tanto ti amava, muore suicida, se invece resti, che resti a fare, perché non ti trovi marito, perché non ti trucchi abbastanza, perché non ti rendi degna di un paio di braghe.
Violet: c’è da chiedersi se nella scelta del nome non si voglia sottolineare quella stessa violenza, violence, evocata dall’assonanza, una violenza che incombe, taglia l’aria e ruba i respiri, senza troppo gridare, molesta, con la levità di un piccolo fiore ingannatore.

Foto di Luigi De Palma

Tutti si sventolano quando entrano in casa, tutti cercano un po’ di sollievo all’asfissia dell’anima, un po’ di aria fresca in mezzo alla calura di una cucina o di una stanza da letto dove a turno si litiga, si alza la voce, si esorta al politically correct e intanto si nascondono ai figli verità scorrette che loro in realtà sanno benissimo e dalle quali non sono poi tanto turbati.
Le relazioni non sono o sono impazzite, e si incrociano tra rivelazioni, agnizioni, nascondimenti. La situazione è da dramma borghese in disfacimento, dove spesso si dice perché non si sa tacere, oppure si blatera per coprire di frasi fatte l’inconsistenza (“la cerimonia è stata bellissima”), dove non ci si indigna di fronte a uno zio che ci prova con la nipote e che si preoccupa che l’ora del funerale non interferisca con la visione del suo programma preferito. Dove si recitano preghiere che non si conoscono attorno a una tavola apparecchiata per le celebrazioni di rito.

Foto di Luigi De Palma

La tavola e il pranzo in famiglia. Con questa scena si chiude il Primo Atto e si apre il Secondo. Il luogo di condivisione per antonomasia, diventa una “tavola rotonda” in cui si prova a prendere decisioni e, naturalmente, si litiga fino a scannarsi. Eredità, mobili da dividersi o da rifilarsi a vicenda, testamento da aprire e da contestare e tutte quelle cose che confermano che la famiglia non è altro che “una casualità di cellule”.
Al punto che alla fine, quando tutto sarà sepolto, la sola a restare e a prendersi cura della matriarca in disarmo, sarà la badante, indiana d’America. La sacra famiglia borghese si è seppellita da sola e se la sua origine vorrà sopravvivere non potrà che aprirsi allo straniero e disporsi alla contaminazione.
Dini regista si muove benissimo e conosce alla perfezione la macchina e la materia viva che sono gli attori: colleghi con cui ha già condiviso la scena in tanti spettacoli, da Ivanov a Il crogiolo, e la corrispondenza di metodo e intenti traspare chiara in ogni passaggio.
I dodici interpreti, regista compreso – una rarità in questi tempi magri di cui siamo grati alla produzione – agiscono su una scena molto funzionale che prevede una pedana girevole dove si succedono i diversi ambienti e un piano superiore. Ferratissimi, non perdono un colpo, dando vita a un incastro di battute fatto anche di sguardi, silenzi, controscene divertentissime, momenti di suspence, climax che cresce e poi vira verso una situazione diversa, anche opposta.
Anna Bonaiuto è una Violet magnetica, spiazzante, acclimatata  sui toni lugubri fin dall’inizio, che incarna l’alterazione che si fa cronica e contagiosa, e che tuttavia non le annebbia il cervello,  pronta com’è a instillare il conflitto in un divide et impera che immancabilmente la vedrà sola; Manuela Mandracchia è forse il personaggio più mobile, quello al quale emotivamente succede di tutto e ci sono momenti in cui la sua Barbara, la figlia maggiore, sembra quasi volere perpetuare l’eredità malata di entrambi i genitori, ora ubriacandosi, ora ingoiando gli psicofarmaci sottratti alla madre; Orietta Notari, sorella di Violet, ne rappresenta il contraltare perfetto, sobria sì ma logorroica e rude, madre impietosa di un figlio incolpevole che pagherà cari gli errori altrui.
il risultato complessivo è una tragicommedia che monta a ogni scena su entrambi i versanti, visto che si riesce persino a ridere di quelle creature infelici che un po’ ci inquietano e un po’ ci somigliano. O, almeno, ci dicono come evitare di assomigliare loro.
Perché, con buona pace di Lev Tolstoj, forse non è così vero che «Tutte le famiglie felici sono uguali, ma ogni famiglia infelice è infelice a modo suo».

Foto di Luigi De Palma

Agosto a Osage County

di Tracy Letts
traduzione Monica Capuani
regia Filippo Dini
con Anna Bonaiuto, Manuela Mandracchia, Filippo Dini, Fabrizio Contri, Orietta Notari, Andrea Di Casa, Fulvio Pepe, Stefania Medri, Valeria Angelozzi, Edoardo Sorgente, Caterina Tieghi, Valentina Spaletta Tavella
dramaturg e aiuto regia Carlo Orlando
scene Gregorio Zurla
costumi Alessio Rosati
luci Pasquale Mari
musiche Aleph Viola
suono Claudio Tortorici
assistente regia Eleonora Bentivoglio
produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale.

Teatro Ambra Jovinelli, Roma, dal 18 al 29 ottobre 2023.

Tournée:
Teatro Due, Parma, 10 e 11 novembre 2023
Teatro Nuovo, San Marino, 14 novembre 2023
Teatro delle Muse, Ancona, dal 16 al 19 novembre 2023
Teatro Verdi, Padova, dal 22 al 26 novembre 2023
Teatro Comunale, Bolzano, dal 30 novembre al 3 dicembre 2023
Teatro Sociale, Trento, dal 7 al 10 dicembre 2023
Teatro Sociale, Brescia, dal 13 al 17 dicembre 2023
Teatro Verga, Catania, dal 2 al 7 gennaio 2024
Teatro Giuseppe Verdi, Pordenone, 10 e 11 gennaio 2024
Teatro Nuovo Giovanni da Udine, Udine, 13 e 14 gennaio 2024
Teatro Franco Parenti, Milano, dal 16 al 21 gennaio 2024
Teatro Bellini, Napoli, dal 25 gennaio al 4 febbraio 2024.