Non è la prima volta che Vincenzo Salemme, nello scrivere una commedia, usa “fisicamente” il cuore per costruire il motore “pulsante” (termine perfetto visto l’argomento di cui si parla) di un suo lavoro; è sufficiente rammentare che già nel 1998 col film L’amico del cuore, pellicola derivata dall’omonimo corto teatrale (contenuto nello spettacolo A chi figli, a chi figliastri del 1991) costruì la trama sull’assurda richieste del protagonista, in attesa di subire un rischioso intervento cardiochirurgico, di far l’amore con la bellissima moglie del suo migliore amico.
Nell’immaginario collettivo, è bene rammentarlo, il muscolo cardiaco non rappresenta solo il luogo dove risiedono i sentimenti ma anche quello in cui si custodiscono la forza e il coraggio. Nella fraseologia napoletana si usa dire: «m’ha sceppato ‘o core» (mi ha rubato il cuore) per intendere che qualcuno ci ha fatto innamorare perdutamente ma anche: «t’aggia sceppa’ ‘o core ‘a miez‘o piètto» (ti debbo strappare il cuore dal petto) per formulare una tremenda promessa di morte. In entrambi i casi la privazione del cuore significa perdere (o far perdere) una parte importante del proprio essere ma, per compensazione, anche far acquisire il “bene perduto” a qualcun altro. Per fare maggior chiarezza e senza addentrarsi troppo in studi di antropologia, per i lettori, sarà sufficiente rammentare i rituali propiziatori pagani, narrati nei testi classici sia greci che latini.
Cosa può accadere a un onesto e mite professore di liceo se, a seguito di un trapianto, riceve il cuore di un feroce delinquente? Può il cedente, a scopo di vendetta, perpetuare la sua rabbia tramite l’energia negativa “custodita” nell’insolito dono? Con tutto il cuore, di Vincenzo Salemme, cerca di dare una risposta, tutta da ridere, a queste premesse.
Il feroce capo camorrista Antonio Carannante, soprannominato il “barbiere” per il modo in cui “ricompone” i cadaveri dei suoi nemici dopo averli ammazzati, viene ferito a morte. Negli ultimi istanti di vita decide di donare i suoi organi al solo scopo di ottenere vendetta e, per essere sicuro di essere esaudito, assegna alla madre Carmela (Antonella Cioli) e al fratello gemello Giggino (Sergio D’Auria ) il compito di rendere onore alle sue ultime volontà.
Il cuore di Carannante, con la complicità di un chirurgo, viene impiantato nel corpo del mite professore Ottavio Camaldoli (Vincenzo Salemme) ritenuto idoneo, proprio per la sua “fessaggine”, ad espletare la delicata incombenza.
Il rientro a casa, dopo l’intervento, è per Ottavio particolarmente complicato; oltre a dover subire le angherie della moglie (Teresa del Vecchio), da cui è separato da tempo, e del nuovo compagno di lei Giacomo (Domenico Aria), è costretto ad accettare la difficile convivenza con la giovane figlia Federica (Mirea Flavia Stellato), poco interessata alle sorti del malato genitore, nonché della neoassunta badante indiana Jasmine (Vincenzo Borrino), di fatto un uomo, dell’area del napoletano, che usa tale stratagemma per trovare più facilmente lavoro. Ad accudirlo e confortarlo, nel periodo di reinserimento, dovrebbe essere il sedicente infermiere Giovanni (Antonio Guerriero) che, di fatto, è stato assoldato dai Carannante con lo scopo di controllarne i movimenti in attesa che compia il suo “dovere”.
Tra coups de théâtre, gags e battute il pover’uomo, per non essere schiacciato da coloro che lo circondano, finirà per far credere di aver acquisito il carattere e la ferocia del boss morto e di averlo vendicato uccidendo il suo avversario e assassino Mangiacarne. Per assurdo, se da uomo corretto e leale tutti lo usavano e maltrattavano, nella nuova veste di criminale ottiene quel rispetto e quell’ammirazione che nessuno, precedentemente, gli aveva mai riconosciuto.
La trama della commedia è molto esile ma l’obiettivo proposto dallo stesso Salemme nelle sue note di regia: «vorrei che il pubblico si divertisse molto» è stato perfettamente raggiunto. Tutto il cast ha dimostrato un affiatamento eccezionale, con dei ritmi comici pressoché impeccabili. Le gags (prevalentemente basate su giochi linguistici) sono a dir poco irresistibili in quanto inserite in una partitura testuale dove la finzione è talmente delirante, da risultare credibile.
Una frequente inversione dei ruoli tra il comico e la spalla (volendo parlare in termini di clownerie potremmo discutere del capovolgimento delle figure del clown bianco e l’Augusto), lasciando al primo quello del personaggio intelligente e assegnando al secondo quello del pasticcione, ha prodotto nel pubblico un risultato di efficace “straniamento” che ha incrementato gli effetti comici già, del resto, ben costruiti attraverso un ritmo incalzante delle battute e delle situazioni paradossali.
Fare i complimenti a Salemme per la verve e la spontaneità mostrata in scena è inevitabile e scontato ma non distribuirne altri a tutti i componenti del cast: Domenico Aria, Vincenzo Borrino, Antonella Cioli, Sergio D’Auria, Teresa Del Vecchio, Antonio Guerriero, Giovanni Ribò, Mirea Flavia Stellato, sarebbe ingiusto. Da segnalare, tuttavia, l’eccezionale resa della “macchietta” della finta indiana, dalla testa dondolante, nonché quella della moglie approfittatrice e pedante. Menzione a parte meritano le costruzioni dei personaggi dell’infermiere Giovanni che risulta essere lo “scombinato” di turno permettendo a Ottavio, sua apparente spalla, di ergersi al ruolo del comico e quella di Giggino, fratello gemello del “barbiere” Carannante.
La scenografia curate da Gilda Cerullo e Renato Lori, benché essenziali per obblighi di copione, sono risultate perfettamente funzionali così come i costumi di Francesca Romana Scudiero che, per quanto concerne quelli ideati per le “caratterizzazioni” dei personaggi, sono risultati stravaganti ma non invadenti nella loro eccentricità.
Spettacolo caldamente suggerito a tutti coloro che desiderino trascorrere qualche ora in spensieratezza. Si ride (e molto) alla vecchia maniera con battute dall’effetto garantito, come quelle che dovevano proporre gli artisti di varietà o di avanspettacolo; trovate linguistiche semplici ma efficaci come quelle usate dai fratelli De Rege, dai più noti Totò e Peppino, o ancora dai tanti altri maestri della comicità italiana.
Con tutto il cuore
scritto, diretto e interpretato da Vincenzo Salemme
con Domenico Aria, Vincenzo Borrino, Antonella Cioli, Sergio D’Auria, Teresa Del Vecchio, Antonio Guerriero, Giovanni Ribò, Mirea Flavia Stellato
regia Vincenzo Salemme
scene Gilda Cerullo e Renato Lori
costumi Francesca Romana Scudiero
luci Umile Vainieri
foto di scena Federico Riva
Teatro Sistina, Roma, fino al 24 febbraio 2019. Successivamente in tournée a Pompei, Bari, Napoli, Salerno, Avellino.