Incontro con La Grazia Obliqua, band romana intellettualmente impegnata nel raccontare l’incertezza dell’oggi Intervista a Valerio Michetti di Paolo Ruffini

Foto di Giuseppe Viterale

Sin dagli esordi, nel 2012, La Grazia Obliqua (Alessandro Bellotta voce e chitarra acustica; Alessandra “Trinity” Bersiani voce, synth, programming e flauto; Francesco Ciancio chitarra; Carlo Cruciani basso; Valerio Michetti batteria; Alessandra Meneghello visuals) si costituisce come un collettivo musicale decisamente spinto su di un versante non scontato delle sonorità e dell’interpretazione dal vivo (aspre ma rotonde, dark con toni indi, arcaiche ma così prossimali a questo tempo che fa collidere lo spazio urbano con i riverberi intimamente acustici), quasi a ridefinire il concetto stesso di ensemble dedito alla musica che ripensa invece il proprio stare e la propria azione in termini visivi, poetici, letterari. In quella archeologia esistenziale da molti riconosciuta in The Velvet Underground & Nico, mica poco. Artisti complessi e forse segnati dalla splendida tradizione del cantautorato colto italiano, quello dei Riccardo Sinigallia, Paolo Benvegnù e Andrea Chimenti che reimpostano new-wave e rock profondo e che si incista, ci sembra, nelle mai dimenticate evoluzioni del prog, mettendo a disposizione liriche piene di contagi, così puntuali nella decodifica dell’oggi che sorprendono per le connessioni filosofiche, politiche, estetiche. Percezione del tempo, dell’usura di un Occidente svaporato, della necessità di recupero di un esistenzialismo non all’acqua di rose.

È di recente pubblicazione in vinile il vostro ultimo disco (il CD era del 2022) Canzoni d’amore e morte e altri eventi accidentali per la Contempo Records, rispetto ai precedenti lavori è un segno di continuità o una frattura con quell’idea di Art-Wave di cui siete stati fautori?

Il disco in questione è assolutamente una continuazione a tutti gli effetti del precedente lavoro datato 2019 Canzoni per tramonti e albe al crepuscolo dell’Occidente e fa parte di quella che noi chiamiamo Trilogia delle Canzoni, ovvero, il manifesto ufficiale in musica, parole e visioni letterarie di quella ch’è l’Art-Wave al cento per cento. Sono dischi pieni di riferimenti, citazioni, nuove soluzioni artistiche, contaminazioni musicali e simboli, nel dettaglio di seguito i temi trattati e le immagini simboliche album per album, Canzoni per tramonti e albe al crepuscolo dell’Occidente: ovvero crollo di ogni sistema di valori di riferimento, crisi dell’onnipotenza dell’Io, crisi della maschera narcisistica occidentale. E poi ancora caos, disorientamento, confusione, rabbia, nostalgia del passato, negazione e paranoia. Nigredo. Corvo, Canzoni d’amore e morte e altri eventi accidentali: introversione, rifugio in Sé, confronto con l’Ombra. Incontro e dialogo con l’Anima. Nascita di nuove visioni di Sé. Albedo. Cigno, terzo capitolo ancora in lavorazione e con il titolo provvisorio di Canzoni pop per intonarumori e Fenici meccaniche: destrutturazione, nascita di un nuovo linguaggio per esprimere ciò che ancora non c’è. Rubedo. Fenice, simbolo della rinascita.

Appare come un portato di riferimenti che si sbilanciano verso un universo della percezione tutta da ricomporre, da ridefinire; appunto una rinascita, come dite, laddove il tempo e lo spazio di questo presente risulta insoddisfacente. Ma percepisco eco di un trapassato che riaffiora, seppure tangenzialmente, quasi una orchestrazione di elementi azzardo nel dire preraffaelliti, intangibili e allo stesso tempo concreti. Forse per questo il disco “suona” contemporaneo e arcaico in un involucro di parole sapienziali, intime e politiche. Da dove partite nella composizione di un brano?

Assolutamente, tutto questo nostro gioco di influenze, citazioni, rimandi, simboli…, va a costituire quella che io amo definire una sorta di Arcadia senza tempo e senza confini, un luogo immaginifico dove tutta la musica che amiamo, i libri che abbiamo letto, i film che abbiamo visto e le nostre esperienze di vita vanno a confluire, contaminandosi e convivendo, in quello che dapprima è il nucleo del nostro immaginario e che poi si trasforma in musica e parole e quindi in canzoni che poi diventano concretamente un prodotto discografico (con ambizioni artistiche e non di mercato per come intendiamo noi il concetto di “opera d’arte” applicata a un disco, che sia vinile o CD). Alessandro si occupa dei testi e spesso anche io (scriviamo assieme), tutti e tre (Alessandro, Alessandra “Trinity” ed io) componiamo le musiche partendo da spunti in comune magari nati in sala prove o da idee personali poi sviluppate assieme suonando anche con Francesco e Carlo che sono eccellenti musicisti di conservatorio molto preparati e creativi, di recente entrati ufficialmente nella band. Gli arrangiamenti poi dei singoli brani spesso subiscono mille variazioni prima di arrivare ad una forma definitiva e mi piace pensare che anche a canzoni ultimate in sala di incisione riusciamo ancora a lavorare sui suoni e sulle idee in maniera creativa, persino durante le fasi di registrazione di quello che poi sarà il disco finito e stampato. Ci divertiamo molto a giocare con suoni, silenzi e parole, abbiamo sempre tante idee e ci piace fare gli alchimisti della musica.

Nel brano Prima del diluvio c’è la partecipazione di Andrea Chimenti nell’interpretazione. Così incarnata, così assorbita dal cantautore emiliano da restituirci un mondo il suo e il vostro allo stesso tempo. Come nasce questa collaborazione?

La collaborazione con Andrea è nata dalla stima che da sempre abbiamo per lui, ascoltiamo la sua musica, lo andiamo a sentire quando suona live (abbiano anche fatto un concerto assieme) e quindi mentre stavamo ultimando Prima del diluvio è stato del tutto naturale proporgli una versione demo del brano e lasciargli interpretare una canzone che per noi era già nelle sue corde. Il contatto è avvenuto tecnicamente perché io avevo appena collaborato su disco con i Submarine Silence, suonando la batteria sul loro album Did Swans Ever See God? Disco uscito nel 2020 e del quale deus ex machina e compositore principale è Cristiano Roversi, musicista che abitualmente suona in concerto e su disco con Massimo Zamboni dei CCCP e appunto anche con il grande Andrea Chimenti di cui è produttore e arrangiatore. Una volta registrata la canzone, da lì a farne un videoclip con lo stesso Andrea attore protagonista assoluto il passo è stato davvero breve, abbiamo quindi trascorso tre giorni di riprese in un borgo abbandonato sperduto nelle Marche e ci siamo divertiti davvero molto, un’esperienza indimenticabile perché Andrea oltre ad essere un artista eccezionale è anche una persona davvero adorabile. Vi consiglio a proposito Il deserto la notte il mare, il disco più recente di Andrea Chimenti, molto molto bello.

Nel brano R/Esistere vi è un piano armonico apparentemente lineare ma che sottende una dimensione “sinfonica” che cresce costantemente; porta con sé una memoria sembrerebbe post-punk che allude però ad aperture prog, comunque non esclusivamente ruvide: quanto lavoro di recupero c’è nella vostra musica, quanta memoria non soltanto della cultura (nel senso ampio del termine) italiana? E quanto incide nel vostro segno la processualità visuale, anche nella costruzione di video a loro modo opere d’arte in sé?

Sicuramente, pur partendo dal post-punk inteso come attitudine e come necessità di abbattere barriere musicali obsolete, non abbiamo mai fatto mistero di amare anche certo prog sia di stampo più sinfonico che sperimentale… dai King a Le Orme (di entrambi abbiamo anche re-inciso dei brani, quali The Great Deceiver e Aspettando l’alba) abbiamo senza dubbio recuperato parecchio da questo tipo di band, che poi a loro volta devono tanto alla tradizione classica e (perché no) anche operistica che tutto il mondo ci invidia, nell’impostazione armonica e melodica delle nostre canzoni: Verdi, Rossini, Puccini, ecc. Tutto questo assieme ad altre visioni (come accennato anche nelle risposte precedenti) va a confluire appunto nel melting pot ultra contaminato che ci caratterizza e siccome il nostro immaginario non è solo una suggestione ma è materia che si concretizza siamo sempre molto attenti ai dettagli e alla cura nelle copertine dei dischi per esempio e nell’aspetto visual dei nostri live (entrambi questi elementi sono curati in perfetta sinergia e stessa totale motivazione da Alessandra Meneghello, nota in ambito artistico come Disagire e che è a tutti gli effetti membro della band), stesso discorso vale per i video che non sono mai buttati lì con unico scopo promozionale ma hanno sempre una precisa identità e qualità artistica da difendere.

Vi considerate in questo momento in una fase di transizione, di ricerca? E se sì, dove sta andando la vostra musica? Progetti futuri?

Foto di Daniele Scalella

Noi viviamo costantemente una condizione di ricerca, transizione e mutamento, è proprio un fattore fondamentale della nostra arte, il prossimo disco avrà ancora più marcate influenze prog e sinfoniche e nei prossimi mesi non vediamo l’ora di entrare in studio e registrare il nuovo album che in parte già abbiano suonato dal vivo (sia al Colosseo in occasione della manifestazione estiva Jazz & Image che al Porto Antico di Genova dove siamo ospiti del Prog Fest organizzato dalla storica etichetta discografica Black Widow Records), parallelamente ognuno noi porta avanti progetti personali, io in particolare fra mille altre cose che faccio, dalla musica elettronica al punk con altri musicisti/artisti in diverse band, nei prossimi mesi sarò molto impegnato soprattutto  con B.A.V.A. (Bisogna Aver Vissuto Almeno) un duo con Barbara Caridi di impianto decisamente sperimentale e teatrale e Bartók Ensemble un gruppo di musica contemporanea composto da tre chitarre, basso, pianoforte, flauto, viola e coro polifonico che mi vedrà impegnato sia dietro i tamburi della batteria che alle percussioni e per la primissima volta anche al glockenspiel. Una vita dedicata all’arte come vedi, ars gratia artis nel senso più profondo del significato, non è solo nel nostro nome ma è proprio una cosa radicata a fondo nel nostro DNA obliquo.