Quando l’arte entra nei luoghi del quotidiano, in un anfiteatro che nasce per essere deputato allo spettacolo dal vivo all’aperto, ma diviene luogo di appuntamento e pista sportiva, ha un grande cuore l’artista che si confronta con la comunità facendo entrare nella propria ricerca il pulsare della vita quotidiana. Il risultato è una sorta di metaxù, una situazione “di mezzo” tra mondi interni ed esterni dell’essere umano, tra l’infinitezza della creazione e il limite finito del contesto, tra l’inizio della vita e l’aldilà. O alla ricerca del luogo dove morire come titola la performance di Sara Capanna, Barbara Carulli e Michele Scappa, Looking for a place to die. A Villa Lais per Indizi sul corpo, con la direzione artistica di Roberta Nicolai e realizzato da Triangolo Scaleno Teatro con il sostegno del Ministero della Cultura e di SIAE, nell’ambito del programma “Per Chi Crea”, abbiamo visto un importante lavoro che sembra abbracciare perfettamente la scelta della direzione artistica che si rivolge a “questa” nuova generazione del con- tatto, che vuole essere toccata dal mondo e da esso si lascia toccare. La manifestazione ha invitato infatti i giovani coreografi a portare questo contatto fino in fondo e a trasferire nello spazio pubblico – con le sue regole silenziose e i suoi imprevisti potenziali – i lavori costruiti per il teatro in uno spazio aperto.
E se la musica ci porta in un altrove che sovrappone natura e artificio, nella performance, interpretata per l’occasione in duetto da Sara Capanna e Simona Carulli tra gocce e acqua scrosciante, rumori industriali e urbani, i corpi delle danzatrici, dai gesti puliti e armonici, mai freddi, ci rimandano alla centralità dei corpi in movimento, come nel Ciclo delle strutture molecolari instabili di Trisha Brown che giocava sull’alternanza di momenti di totale controllo ed altri di abbandono al libero flusso delle emozioni.
I corpi sperimentano ogni angolo del vasto spazio, si concentrano sulla singola espressività per poi trovare magicamente il con-tatto in due mani che si stringono salde o nel sostegno ricevuto affidandosi ciecamente alla presenza dell’altro corpo in movimento. La vita del parco entra nella scena con maestria, il dialogo con ciò che circonda le due danzatrici è evidente, ma viene dimenticato quando l’espressività diviene più intima. Qui i corpi che si sono cercati, sostenuti reciprocamente e riallontanati, che hanno abitato il pavimento ma si sono ugualmente espressi nella verticalità, sono spesso apparsi concentrati ad assorbire l’energia intorno. Come quando immaginiamo che le due interpreti ascoltino il rumore del mare dalla riva, fino a diventare entrambe onde roteanti e parallele.
Il finale di spalle ci conferma la volontà di prestare attenzione a ciò che le circonda, senza cercare alcun compiacimento del pubblico, ma aprendosi piuttosto all’opposta metà del semicerchio. Come in If you couldn’t see me (1994) dove Trisha Brown svolge la sua performance di spalle al pubblico.
Ed è così che gli applausi arrivano generosi dagli spalti come dalle panchine esterne e come da tutto il parco dove le persone si sono fermate ad osservare.
La danza ha un grande potere contro l’antropocentrismo. Ce lo indica con chiarezza anche l’Idillio di Lorenzo Morandini, che guarda con rispetto e poesia alla natura e sbeffeggia le ritualità condivise degli egoriferiti occidentali. L’ironia dissacra da subito la relazione con il pubblico in un iconico ridanciano movimento dell’indice verso sé stesso e verso diversi astanti o verso il cielo con movenze decise come in un TikTok. La musica sostiene l’ironia con cui si mostra l’enfasi di alcuni passi contrapposti alla fragilità e alla debolezza dello stare in scena o ancor meglio al mondo.
Come appare evidente dall’abitare lo spazio del danzatore, la molteplicità è uno dei tratti più caratteristici del mondo in cui vive e il corpo vibra per la molteplicità degli stimoli, fragile di fronte alla quantità eccessiva di sollecitazioni, messaggi, immagini, contatti e relazioni quotidiane. In questo contrasto dove il giovane cresciuto in montagna ben conosce la capacità di rimanere saldo su zone pendenti e facilitatrici di tracolli, proprio la relazione con sé stesso e con il pubblico crea imbarazzo e rischio di caduta e quando da contrappunto c’è la musica di Verdi l’ironia dà vita ad un divertimento condiviso.
Anche per Lorenzo Morandini lo stimolo di confrontarsi con un palcoscenico poroso di vita è bene accolto, tanto da includere nei suoi movimenti il ritorno dell’aereo o il passaggio ravvicinato di alcuni pedoni. Il corpo si espone nel dipanarsi della performance a nuove posture, gestualità che ci fanno immaginare che questo lavoro, potrà essere in ogni replica sempre diverso e unico, grazie soprattutto all’ironia che cuce le fila.