Teatro Vascello una fabbrica da amare e proteggere di Alessandra Bernocco

Foto di Tommaso Le Pera

Mi capita sempre più spesso di provare nostalgia per un’epoca non vissuta. Un paradosso? Non proprio. Succede quando di quella epoca avresti voluto fare parte. Quando senti che almeno un po’ riguarda anche te. Perché ti ha sfiorato e sedotto attraverso i racconti di persone speciali che hanno provato a trasmetterla, a testimoniarla con il loro lavoro indefesso, la tigna di chi non si dà mai per vinto, la forza visionaria che guarda lontano e arriva fino a te, rischiando di suo, senza rete e conti in banca.
Ricordo bene Giancarlo Nanni, ricordo i suoi spettacoli al Teatro Vascello, ma ricordo anche quella sincera chiacchierata a un tavolino del foyer in cui lamentava, con garbo, l’indifferenza delle istituzioni. E poi ne ricordo l’ira furibonda alla forse sua ultima conferenza stampa, la voce tremante e il sudore che gli colava dalla fronte nel riferire che un assessore alla cultura gli aveva suggerito di ricavarsi uno spazio nel sottotetto per continuare a lavorare, nel caso in cui il suo teatro, uno dei teatri più attivi di Roma, fosse diventato un supermercato. Un supermercato. Il Teatro Vascello.
Non finì così, per la fortuna di tutti, ma certo quelle insinuanti minacce non gli fecero bene.
Nanni morì nel 2010, a sessantotto anni, dopo una vita consacrata al teatro e una storia di sacrifici, conquiste, scampati pericoli.

Foto di Tommaso Le Pera

A raccontarcela, con la partecipazione di chi quella storia l’ha costruita con lui, è Manuela Kustermann, che ha raccolto il testimone e da quasi quindici anni è alla guida del Teatro.
Si intitola La Fabbrica dell’attore 50 anni di (R)esistenza lo spettacolo da lei ideato, scritto e diretto per celebrare mezzo secolo di storia della cooperativa, tuttora organo artistico e produttivo. Una storia che inevitabilmente si intreccia con la loro biografia, privata e artistica, ma che, soprattutto, ci fa morire di invidia, benevola sì finché si vuole ma sempre quel sentimento che ti rosicchia un po’ il fegato.
E non soltanto perché molti di noi non c’erano ancora o non erano lì, ma perché ci fa toccare con mano quanto siamo precipitati nel baratro, asfittici, involuti e senza speranze, come tocca a chi vive le ultime ore di questi funesti rigurgiti da basso impero.

Foto di Tommaso Le Pera

In poco meno di due ore, Kustermann insieme a tre compagni di scena e di strada – Massimo Fedele, vecchia guardia della Fabbrica dell’attore, Gaia Benassi e Paolo Lorimer, anche loro con all’attivo numerose e importanti collaborazioni – hanno fatto rivivere l’atmosfera delle cantine, quando Roma era fucina di talenti e polo di sperimentazione sincera, quando l’avanguardia non era una moda né un modo di dire o di schernire, ma era davvero rischio e scommessa, “pericoloso coraggio”, “audacia” vissuta senza paracadute.
Dal capannone dismesso sulla Portuense che divenne il Teatro La Fede, con l’ingresso di gommapiuma che ricordava “una bocca o forse proprio una vagina”, alla prima rappresentazione in forma di happening, rivolto (non già destinato) a due soli spettatori venuti apposta da Torino a cui chiaramente non si poteva dar buca; dai camerini inesistenti rimediati in una specie di tana abitata dai topi alle locandine stampate in ciclostile insieme ai volantini di Lotta Continua; dall’ostracismo del teatro ufficiale alla nascita dell’Estate Romana grazie al genio di Renato Nicolini, che li ha visti “tutti ubriachi di sogni”; dalla disperazione per lo sfratto imminente per morosità (“ci dividevamo un supplì in tre”) al miracolo di un misterioso benefattore ribattezzato l’angelo con il cappotto nero.
Ma i sostenitori, generosi o diversamente tali, furono tanti, così come tanti furono gli intellettuali e gli artisti che animavano Roma in quegli anni. E scorrono nomi da effetto Stendhal: Alberto Arbasino, Pierpaolo Pasolini, Laura Betti, Giorgio Manganelli, Ennio Flaiano, col quale si faceva colazione senza darsi appuntamento perché, semplicemente, ci si trovava lì; Aldo Braibanti, lo scrittore mirmecologo nella cui casa del ghetto fecero un happening, vicino alla bacheca per il suo formicaio, e poi il Gruppo ’63, Elio Pagliarani, Alberto Moravia, Dacia Maraini, Italo Calvino. Insomma, gente comune che variamente ruotava attorno ai loro progetti, o, semplicemente li accarezzava.
Con la Fabbrica dell’attore si sviluppava la Scuola Romana con Memé Perlini, Giuliano Vasilicò, Valentino Orfeo, Pippo Di Marca, Giancarlo Sepe il quale, come il Vascello, resiste tuttora nella sua Comunità, lunga vita a voi.

Foto di Tommaso Le Pera

A tutti sono legati ricordi, racconti, aneddoti commuoventi, divertenti, esilaranti che si alternano a testimonianze vive e corredate da proiezioni di estratti degli spettacoli che della Fabbrica hanno segnato il percorso, presentati in tutto il mondo: A come Alice, ripreso  nel ’98 e ora ricordato con il cavallino a dondolo che Kustermann, porta in scena a un certo punto; Prova d’artista; Risveglio di Primavera, dove coraggiosamente si parlava di aborto e malessere giovanile,  che ha visto tra il pubblico Vittorio Gassman, Luca Ronconi, Valentina Cortese e ha suscitato lo stupore persino del pubblico americano; Hamlet, ovvero “un’esperienza fondativa”, il primo Amleto donna dopo quello di Sarah Bernhardt; Casa di bambola di cui si ricorda una lunghissima tournée; La locandiera, spettacolo rock con Roberto Herlitzka in compagnia.
Fino all’89 quando, dopo prevedibili vicissitudini, nasce il Teatro Vascello, individuato da Nanni attraverso un annuncio di fallimento del vecchio cinema: “l’avanguardia era in grado di costruire il proprio tempio”. E di tenerselo stretto con tanta fatica e nonostante spauracchi ormai di routine.
L’inaugurazione, a teatro non proprio ultimato, fu di Tadeusz Kantor, 4 maggio ’89, e vide il pubblico seduto su tubi innocenti ricoperti da assi.
Lì la ricerca avrebbe avuto una casa stabile e i miracoli si potevano propiziare senza chiedere permesso a nessuno. Nasce così As you like it, uno spettacolo rivoluzionario, proprio nel senso che rivoluzionava il rapporto palcoscenico spettatori che dovevano voltarsi a seconda della scena.
E poi è venuto il momento di Čechov: Il gabbiano, nato come laboratorio e arrivato fino al Cafè La MaMa di New York. Tra il pubblico Harvey Keitel ed Estelle Parsons, allora direttrice artistica dell’Actor Studio che invitò Paolo Lorimer e Sara Borsarelli a recitare, in italiano e in inglese, la scena tra Trigorin e Masha.
Il giardino dei ciliegi, 2006, è stata l’ultima creazione di Nanni, per la quale realizzò le quinte di carta, dipinte ogni sera, a evocare i ciliegi. Non ci sono più quelle quinte, dice Kustermann a fine serata, ma è un po’ come il teatro, sparisce in un attimo ma lascia il ricordo.

Foto di Tommaso Le Pera

La Fabbrica dell’attore 50 anni di (R)esistenza

progetto, drammaturgia e regia Manuela Kustermann
con la collaborazione di Gaia Benassi
con Manuela Kustermann, Massimo Fedele, Gaia Benassi, Paolo Lorimer
e con la voce di Alkis Zanis
cura delle immagini e luci Paride Donatelli
cura del suono Filippo Lilli
produzione La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello.

Teatro Vascello, Roma, fino al 6 ottobre 2024.