Le alchimie di “Spores” a Romaeuropa Festival 2024 di Chiara Crupi

Foto di Appercezioni

Dispiegare in parole l’esperienza che prende il nome di Spores. Trasformazioni artistiche tra poesia, scienza e nuove tecnologie presentata nell’ambito di Romaeuropa Festival (negli spazi della Pelanda, Ex-Mattatoio) è impresa inattuabile, per le caratteristiche stesse dell’esperimento: un approccio intermediale complesso di cui una pagina ordinata di riflessioni non riuscirebbe a riportare testimonianza. Unica via è rinunciare ad ordinare il caos programmatico di cui l’evento si fa manifesto e sostanza e annotare impressioni in ordine sparso, raccogliere indizi, enucleare nodi. «Spores» – citiamo dalla presentazione ufficiale – «è una manifestazione elaborata da un collettivo di artisti, appartenenti a diversi ambiti dell’arte performativa, tesi alla rielaborazione del concetto di creatività». Il percorso performativo, diviso in quadri installati negli spazi dell’Ex-mattatoio che Flavia Mastrella ha trasformato in “habitat fantastici”, propone la coesistenza di “trasformazioni artistiche tra poesia, scienza e nuove tecnologie”. Coerentemente, il titolo del progetto evoca un’immagine in bilico tra scienza e poesia: spore, ovvero quei non-semi capaci di restare in quiescenza nelle piante, nei funghi e nei batteri per lungo tempo, sopravvivendo in condizioni estreme, come temperature elevate, scarsità d’acqua e assenza di nutrienti. Eppure, infine, si spargono e moltiplicano vita. Segni di resistenza, disseminazione e creatività, sono spore le sperimentazioni intermediali a cura degli artisti coinvolti nell’arco di due anni in questo progetto vincitore di Europa Creativa 2022 che si è articolato in 10 eventi e che ha attraversato fino ad oggi l’Italia, l’Albania, la Danimarca e la Francia (per approfondire l’intero percorso: https://spores-project.eu). Ciascun evento, ibridato con un potenziamento tecnologico, ha disseminato, a sua volta, innumerevoli spore.

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Foto di Appercezioni

Nell’appuntamento finale, curato dalla compagnia Appercezioni di cui è “coordinatrice anarchica” la stessa ideatrice del progetto Federica Altieri, ogni angolo è abitato da performance innestate con esperimenti tecnologici (curati da Carraro Lab). Lo spettatore stesso, spiegano gli autori, fa parte delle installazioni. La Altieri riesce con abilità a tenere unite realtà dal DNA completamente diverso, per discipline praticate, media utilizzati, età, vocazione e storia artistica. Spores ha coinvolto giovani artisti, nomi eccellenti della scena contemporanea, ma anche giovani allievi impegnati in laboratori di formazione all’interno del progetto. L’eterogeneità è la cifra espressiva: nessuna pretesa di narrazione unitaria, il collettivo mira ad altro. «Abbiamo la presunzione» – si legge nella comunicazione dell’evento – «di ripensare la modalità di relazione tra creazione e fruizione. Partendo dall’evoluzione degli studi sulla meccanica quantistica (soprattutto quelli sul tempo, sull’energia quantistica, la casualità, le onde di probabilità e l’indeterminazione di Heisenberg), stiamo mettendo a punto una nuova metodologia di rappresentazione, applicabile a tutte le espressioni artistiche e, in particolar modo, a quella intermediale, che sboccia in un’anarchica relazione tra artisti dove il pubblico diviene parte stessa dello spettacolo».

Foto di Annalisa Gonnella

Da spettatori itineranti, percorriamo ogni “stanza” per andare incontro al disordine di piccoli e grandi eventi, cellule creative che a tratti si fondono con chi assiste inglobandolo in uno spazio intimo e a tratti si fanno arena pubblica e lo fronteggiano. La prima certezza acquisita iniziando il percorso, è che non vedremo tutto. Non siamo spettatori privilegiati e protetti, siamo una folla in solitudine. Gli spazi sono gremiti di persone stipate in corridoi stretti come in un tram affollato. Le zone di passaggio come le sale teatrali sono ininterrottamente abitate da performance. Parte dell’esperienza è la condizione di disagio, di incertezza, il non sapere cosa accadrà e dove, cosa dice la voce lontana che stiamo ascoltando, cosa non riusciamo a distinguere tra la folla in movimento di cui siamo parte integrante ed estranea, non completamente padroni del nostro andare. Qui tutto convive contemporaneamente e sta a noi trovare la strada nel caos, come abitualmente siamo costretti a fare nel quotidiano, frugare fra le contraddizioni della nostra contemporaneità in cerca di un senso e di un tempo organici. Spores propone una strategia di sopravvivenza del processo artistico ma anche di natura esistenziale: immergersi nel caos senza tentare di eluderlo, restare nella contraddizione del presente, accettare il rumore del disordine e lo iato fra estetiche e generazioni differenti per far emergere, finalmente, la poesia.

Foto di Annalisa Gonnella

Impossibile citare tutte le suggestioni che si sono avvicendate nelle pieghe di queste due ore performative. Citiamo soltanto alcune immagini: il rifugio fluttuante fra nuvole virtuali di Erodiade-Gorga (Erodiade, dal poema incompiuto di Mallarmé, videoproiezioni di Claudio Ammendola), un’entità femminile in un tempo sospeso fra cielo e voce, un non-luogo al riparo dal mondo e alla ricerca della propria identità; un coltivatore che pianta forsennatamente girasoli e parole, cercando di salvare una terra malata di radioattività, in nome di un futuro che non sarà il suo (Girasoli, dell’artista di poetry slam Giuliano Logos); un uccello con il corpo di donna, a cui viene impedito di attraversare il confine che riscrive la storia vera di una donna in fuga dalla guerra (Bird are not allowed to cross the border, idea, materiale fotografico e video di Paola Favoino, performance e danza di Giovanna Zanchetta).
Nel cuore della serata, uno strepitoso Rezza-ammiraglio ci conduce in alto mare, con marinai al seguito evocati in una giostra esilarante di voci, registrate o dal vivo. La sua imbarcazione, in constante emergenza, prende acqua in un oceano di modernità che ci costringe a navigare fra cadaveri, disillusione, pregiudizi, cinismo e indifferenza, il tutto trainato dalla potente ironia dell’artista che rivela il non-sense della condizione umana.

Foto di Annalisa Gonnella

Il testo poetico ci accompagna per tutto il percorso. Ascoltiamo echi da versi di Valerio Magrelli, Edoardo Sanguineti, Mariangela Gualtieri, Patrizia Cavalli, Chandra Livia Candiani, Alda Merini ma anche testi scritti direttamente dagli artisti: Ashai Lombardo Arop, dalla stessa Altieri con l’attrice Letizia Gorga, e le produzioni dei poeti Giuliano Logos e Sacha Piersanti, da loro stessi interpretate.
Forse tanta ricchezza avrebbe meritato maggior respiro, qualche bolla di silenzio in più. Ma si evince che i temi sviscerati si tengono per mano, quadro dopo quadro e il viaggio si rivela come un continuum tematico, nella molteplicità: come affrontare, attraverso l’arte, le sfide del presente. La parola si moltiplica di scena in scena e da analisi antropologica, sussurro poetico, squarcio ironico, si fa denuncia. Declina, come in una tribuna, riflessioni arrabbiate sul nostro tempo, propone contestazioni, espone i tanti disastri che l’essere umano è capace di agire socialmente e individualmente: la guerra, la distruzione dell’ambiente, l’indifferenza, l’incoerenza, la costruzione di confini, separazioni e solitudini invalicabili, la malattia, tutto il male che sappiamo ci appartiene e che abbiamo creato. In questa forza cresce un’energia esplosiva, giovane, anche violenta, a tratti ingenua a tratti efficace: diventa urlo, accusa, come quello di una Madre Terra che affronta e mette in guardia i suoi figli (Ashai Lombardo Arop), travolge il pubblico in una danza tribale (Sunu Africa), impugna la creatività come una bandiera, affronta la piazza in protesta danzante (Carlotta Sarina, in arte LOTTA). In tutti l’esigenza condivisa di trovare strategie creative per generare cambiamento, per rompere schemi, catene e poteri, pregiudizi o frontiere. Quella stessa istanza che, al netto delle contaminazioni con le tecnologie contemporanee e del caos programmatico della fruizione, declinata diversamente e con sfide differenti, è stata patrimonio di altre generazioni di artisti, in un tempo neanche troppo lontano.

Foto di Annalisa Gonnella

Forse la riflessione su cosa vada rielaborato del concetto di creatività nel mondo contemporaneo può affiancarsi anche al considerare cosa vada preservato, per non perdere la bussola nel caos, nelle motivazioni come nelle pratiche. Certamente non a caso Spores si apre e si chiude con un focus sul dialogo fra innovazione e tradizione. La maratona di artisti inizia con la proiezione di un’intervista di Federica Altieri a Julia Varley, filmata e montata da Flavia Mastrella e si conclude con la proiezione del film di Stefano Di Buduo Zona Limite, sul percorso rivoluzionario dell’Odin Teatret.
È noto che la vocazione artigianale e di ricerca sul corpo e sulla voce dello storico gruppo (giunto quest’anno ai suoi sessant’anni di attività) non hanno impedito al suo regista Eugenio Barba di aprirsi alla sperimentazione e all’evoluzione delle tecnologie nella costruzione degli spettacoli. «Il mio dubbio sulle nuove tecnologie» – dice Varley nell’intervista – «è che molto spesso sono usate come scorciatoia ad un risultato, senza tutto quel lavoro che io so che è necessario per arrivare ad una certa qualità. (…) Devi riuscire a far diventare umano quello che è tecnologico, cioè dargli un ritmo in modo tale che respiri insieme a quello che succede in scena. E questo è molto difficile (…) il mondo moderno ti impone la corsa continua. (…) Fare teatro mi obbliga a trovare quel tempo che nella vita quotidiana non esiste più. Ma non tutti sono cresciuti così. Quando senti che un giovane si avvicina al teatro come gli puoi offrire questa altra realtà? Per me diventa fondamentale. (…) In questa collaborazione con le nuove tecnologie, io devo prima insegnare ad un giovane: prendi tempo ascolta il tuo corpo, trova la base, dove sono i piedi? Dove ti appoggi? Dov’è la tua forza? Da dove viene la voce? …e poi le tecnologie».
La questione di come gli strumenti del performer possano fondersi con gli strumenti tecnologici senza essere depotenziati è un buon monito da cui partire per lanciarsi in un esperimento così spericolato e ricco di attrazioni come quello di Spores. A Federica Altieri va il merito di aver creato una sorprendente alchimia di voci, liberandone l’energia collettiva e contagiosa, mantenendo aperte le contraddizioni e lasciandone traccia.

Spores Project

coordinatrice Anarchica Federica Altieri
habitat fantastici Flavia Mastrella
artisti Antonio Rezza, Maria Letizia Gorga,  ACRE + Michael Thieke, Eugenio Barba, Julia Varley, Valerio Magrelli, Paola Favoino, Ashai Lombardo Arop, Ermanno Baronn, Sunu Africa diretto da Sena Mbaye, Claudio Ammendola, Stefano Di Buduo, Giovanna Zanchetta,  Valerio Peroni e Alice Occhiali, Barbara Faonio, Alice Mollica, Giuliano Logos, Gabriele Ratano, Riccardo Galdenzi, Cora Gasparotti, Leonardo Giardi, Beatrice Bocci, Giacomo Spaconi, LOTTA, Sharxx, Gioia Perpetua, Sacha Piersanti, Daniele Torracca, Valentina Pacifici, Carlo Ronzoni, Andrea Milano, Alessandra Fiordaliso, Yurii Khadzhymiti
i ragazzi dei corsi di formazione “Spores” e gli allievi della Palestra delle Emozioni (Viola Maria Ronzoni, Samuele Trabelsi, Giulia Destre, Vito Pontillo, Francesca Liani, Andrea Aren, Marco Paparoni)
macchinista e non solo Daniele Torracca
figure necessarie dai confini indefinibili Valentina Pacifici e Carlo Ronzoni
service tecnico IL TRECCIA
partners European Commission, Appercezioni, Carraro Lab, Universitate Polis, Nordisk TeaterLaboratorium, IIC Copenhagen, IIC Tirana, Ambasciata della Repubblica Federale di Germania a Roma, Goethe Institut, Comune di Roma, Università Tor Vergata, Red Hog Studio, Palestra delle Emozioni (313).

Romaeuropa Festival, Mattatoio, Roma, 8 e 9 ottobre 2024.