“Il grande vuoto” di Fabiana Iacozzilli: la memoria è un tessuto lacerato di Carolina Germini

Foto di Laila Pozzo

La memoria è un buco. Un buco che si è formato a forza di scavare, di ricordare. Dentro c’è finito di tutto e questo tutto, nel tempo, si è stratificato al tal punto che non è più possibile distinguere il prima e il dopo.
È questa la lezione che ci ha lasciato il filosofo francese Henri Bergson e che ha rivoluzionato l’idea che esista solo un tempo matematico, misurabile. Il tempo della coscienza segue altre leggi e allora a noi non resta che provare a ricucirlo o meglio a “rattopparlo” come si fa con un tessuto lacerato, un tessuto che contiene al suo interno, appunto, un vuoto.
Nello spettacolo Il grande vuoto, ultimo capitolo della Trilogia del vento di Fabiana Iacozzilli, siamo invitati ad abbandonare ogni rassicurante punto fermo e a cadere, come Alice di Carroll, in un una buca profondissima, come profondissimo può essere solo l’oblio.

Foto di Laila Pozzo

La scena si apre con una macchina rossa su un palco deserto. In quella macchina stanno per salire due signori anziani. I loro scambi rivelano subito la loro confidenza e le loro abitudini radicate negli anni. Si muovono all’unisono, in una coreografia di movimenti quotidiani che ci restituisce tutta l’essenza, l’intensità e la bellezza del loro rapporto. Già da questa prima scena intuiamo che la rete della memoria di lei è traforata. Di questa sua perdita le arance a terra, scivolate via dalla busta della spesa, sono l’immagine perfetta. Un oggetto che è fuori posto esattamente come diventa fuori posto nel mondo chi è malato di Alzheimer, chi vive rispetto agli altri un’altra dimensione, un’altra storia.
Facciamo appena in tempo ad affezionarci a questa coppia magnifica che la scena all’improvviso cambia. Viene voglia di trattenerli, di restare ancora un po’ con loro, come nella vita vorremmo prolungare alcuni momenti che sentiamo sfuggire via. E così, quando la macchina scompare sulle note della lacerante canzone Vivo di Laszlo De Simone, sentiamo che abbiamo già nostalgia di quel momento, che vorremmo farci cullare da quel battibecco che, per quanto ripetitivo, è un ritornello che ci fa sentire a casa.

Foto di Laila Pozzo

Di colpo siamo trasportati in un ambiente domestico: una casa rappresentata da pochi oggetti, tra cui una lunga tavola, che ci rimanda a quelle nobiliari. Qui siede a capotavola, come fosse un re, la stessa donna anziana che abbiamo appena incontrato e i suoi due figli, interpretata magnificamente da Giusi Merli. Ci accorgiamo da subito con forza della presenza di un altro buco: quello dell’assenza di lui. È così che veniamo a sapere della sua scomparsa. A rendere ancora più dolorosa questa scoperta che fatichiamo ad accettare è il gesto di sua moglie, che si alza per apparecchiare anche per lui, mettendoci di fronte a una grande verità: per quanto ci sforziamo di riempirlo, il vuoto non può essere aggirato. Ed è proprio tale consapevolezza a tracciare il percorso di questo dramma familiare in cui i figli cercano disperatamente di provare ad orientarsi e muoversi nello spazio e nel tempo della propria madre, a loro ormai inaccessibile. Quando ormai sembra che tutte le possibilità di trovare con lei ancora una forma di comunicazione siano sfumate, è lì che si fa strada il gioco. Il gioco come dimensione capace di annullare ogni distanza temporale, di rompere i limiti imposti dai ruoli familiari, quei ruoli che spesso ci soffocano, impedendoci di esprimere tutta la pienezza del nostro essere. Ed è proprio così, assistendo a questo gioco che prende forma sul palco attraverso la messa in scena del Re Lear di Shakespeare che, anche se solo per un momento, abbiamo la sensazione di vedere come per magia quel vuoto dissolversi.

Foto di Laila Pozzo

Il grande vuoto

regia Fabiana Iacozzilli
drammaturgia Linda Dalisi, Fabiana Iacozzilli
performer Ermanno De Biagi, Francesca Farcomeni, Piero
Lanzellotti, Giusi Merli e con Mona Abokhatwa per la prima volta in scena
progettazione e realizzazione scene Paola Villani
musiche originali Tommy Grieco
suono Hubert Westkemper
costumi Anna Coluccia
luci Raffaella Vitiello
video Lorenzo Letizia
produzione Cranpi, La Fabbrica dell’Attore, La Corte Ospitale, Romaeuropa Festival con il contributo di MiC – Ministero della Cultura, Regione Emilia-Romagna con il sostegno di Accademia Perduta / Romagna Teatri, Carrozzerie n.o.t, Fivizzano 27, Residenza della Bassa Sabina, Teatro Biblioteca Quarticciolo.

Teatro Vascello, dal 28 gennaio al 2 febbraio 2025.

Prossime date:
Teatro Piccinni, Bari, fino al 9 febbraio 2025
Piccolo Teatro – Studio Melato, Milano, dall’8 al 13 aprile 2025
Teatro Municipale, Casale Monferrato (AL), dal 15 al 16 aprile 2025
LAC Lugano Arte e Cultura, Lugano (CH), 22 maggio 2025.