Tracce, snodi e memorie. Romina De Novellis si racconta a cura di Natascia Di Baldi

La testimonianza che proponiamo è la prima tappa di un monitoraggio delle esperienze professionali degli italiani attivi a Parigi, in quel crocevia dinamico tra arte, teatro, cinema e musica. Comprendere le condizioni del loro ambiente e i loro assetti potrebbe forse stimolare curiosità e offrire strumenti concreti ai professionisti che operano in Italia, aprendo nuove prospettive di accesso e dialogo.

Un dato è certo: la migrazione italiana degli ultimi decenni sembra superare, per portata e impatto, quella di massa avvenuta nei primi decenni del XX secolo, con un numero sempre crescente di giovani provenienti dal Sud Italia (1). Il Bel Paese sta affrontando una drastica riduzione della popolazione giovanile, con conseguenze significative sul tessuto sociale ed economico del paese. Eppure, dall’estero, l’Italia continua ad apparire come un paese capace di formare giovani di talento, dotati di solide competenze, creatività e un forte legame con il sapere.

A Parigi, la cultura italiana è sostenuta e apprezzata in tutte le sue declinazioni. Al di là della retorica, sorge spontanea una domanda: perché le istituzioni italiane non offrono opportunità e sbocchi adeguati a questo immenso patrimonio immateriale?

Iniziamo a disegnare una cartografia degli “espatriati” illustrando l’esperienza di Romina De Novellis, performer, artista visuale e antropologa, nata a Napoli, cresciuta a Roma e attiva a Parigi dal 2008. Dopo una formazione in danza classica e teatro, approfondisce lo studio del corpo da un punto di vista antropologico, esplorando le culture del Mediterraneo e la condizione delle persone con disabilità. La nozione di “cura” è un elemento centrale nel suo percorso di ricerca e creazione (2).

Dal teatro alla performance

Racconta De Novellis: «Nel 2004, un incidente in motorino causato dalle buche del manto stradale di via Laurentina a Roma, mentre mi recavo al Teatro dell’Opera, dove lavoravo come assistente al regista Luigi Squarzina, mi ha costretta a subire una serie d’interventi chirurgici. Questo episodio ha segnato una svolta definitiva nel mio percorso, che fino a quel momento era stato orientato verso la danza e il teatro: dopo l’incidente, ho capito di voler lavorare in un modo diverso con il corpo e mi sono riscoperta performer, in maniera del tutto naturale.

Il primo lavoro che ho prodotto è stata La Festa di Santa Barbara, ispirato alla leggenda che narra come, per convertirsi al cristianesimo, Barbara dovette subire le torture del padre pagano. Rinchiusa in una torre, il padre la fece torturare ripetutamente e infine decapitare. Ma il destino volle che, durante il suo martirio, un fulmine colpisse e uccidesse il padre. È proprio da questo episodio che nasce il legame tra Santa Barbara, rendendola protettrice delle professioni legate al fuoco, dai pompieri ai marinai esposti ai fulmini.

Presentata a Roma nella stagione 2006/2007, al Rialto Santambrogio, questa prima performance si articolava in diversi quadri in movimento che rappresentavano la vita di Barbara fino alla sua decapitazione. Tuttavia, non fu compreso: sentivo che questo progetto, realizzato da solista – poiché allora non mi consideravo ancora una performer – non fosse stato presentato né nel posto giusto né al momento giusto.

Dopo diversi periodi di difficoltà, sia sul piano familiare che in una città povera di ambizioni, nel 2008, con l’elezione di Gianni Alemanno a sindaco, decisi di partire e trasferirmi oltralpe. A Parigi ho acquisito le convinzioni che ancora oggi mi guidano. Il cambio di linguaggio mi ha permesso di liberarmi sia dall’auto-censura come artista – a Roma mi sentivo prigioniera di un contesto sociale conformista – sia da dinamiche culturali riduttive. Sin da subito a Parigi ho iniziato a lavorare con giovani gallerie d’arte, partecipando a fiere di arte contemporanea. Poi, a partire dal 2010, ho cominciato a collaborare con le istituzioni».

«I primi lavori del mio percorso professionale sono opere legate alla cultura cattolica del sud, al Meridione», spiega De Novellis. «Il tema delle abluzioni è stato per me fondamentale: abluzioni intese come tentativo di uscire dalla stigmatizzazione del ruolo femminile e dalla pratica stessa diffusa nella cultura del Mediterraneo, che spesso è legate alla purificazione, al battesimo, così come si osserva nelle tradizioni giudaico-cristiana e musulmana. Questa esperienza mi ha avvicinata all’antropologia in modo concreto, tanto da spingermi a intraprendere un dottorato, animata dal bisogno di oppormi ai rituali. Il metodo consiste nel partire da una tradizione esistente, come l’abluzione, per riscriverne il significato e la metafora.

Così in tutte le mie performance ripenso il rituale, che considero una delle forme più insidiose e pervasive del patriarcato, poiché radicato nell’educazione quotidiana. Attraverso il rituale, infatti, si trasmettono norme di comportamento e rispetto dei ruoli, spesso all’interno di strutture rigidamente binarie che regolano l’organizzazione familiare e sociale. Per questo parlo di contro-rituale: un atto di opposizione a una visione binaria e patriarcale del tempo, del ritmo e della teatralizzazione del quotidiano, nonché del gioco dei ruoli. Il mio lavoro, in definitiva, è una forma di resistenza a queste dinamiche. Tutto il mio operato è un “contro-rituale”».

Continua ancora De Novellis: «Sono profondamente legata al Sud Italia, al Sud globale e al Mediterraneo. Ho sempre visto l’Italia come un ponte tra le culture del Nord Africa, del Medio Oriente e dell’Occidente: un paese sospeso tra questi mondi, che ne incarna sia le ricchezze sia le contraddizioni. È proprio questa precarietà dell’Italia, immersa in tensioni e dinamiche contrastanti tra l’Occidente e il Sud, che mi interessa esplorare. Mi definisco una femminista del Sud, un’ecofemminista e un’antropologa crip (3) — termine inglese che significa “claudicante” o “zoppa” — perché non mi riconosco pienamente nel mondo della performance d’arte contemporanea, avendo un percorso differente da quello delle belle arti.

Come antropologa il mio linguaggio attinge alle tecniche dell’etnologia, si nutre del luogo in cui la performance prende vita e dialoga con le comunità locali. Il mio lavoro è spesso partecipativo e collettivo: la performance è il risultato finale di un percorso analitico. Sebbene il mio lavoro abbia una forte componente poetica e tragica, nel senso proprio della tragedia teatrale, si evolve nel tempo e nello spazio, trasformandosi con il contesto in cui si inserisce».

A gennaio 2025, la retrospettiva Via Laurentina Km 0 dedicata ai vent’anni di carriera dell’artista è stata proposta a La Galleria Alberta Pane di Parigi; nello stesso tempo, De Novellis ha presentato una performance dal titolo STAR – 100% d’origine italienne, realizzata al Centre Pompidou. Al quinto piano del museo parigino, all’ingresso della collezione permanente, l’installazione era composta da casse di pomodori San Marzano, disposte attorno all’artista. Vestita da pin-up, sviluppava una serie di azioni e partiture fisiche, immersa nel rosso, mentre la sua presenza si faceva via via più comunicativa.

La performance mirava a denunciare le dinamiche della catena agroalimentare, con particolare attenzione alle condizioni di raccolta e alla distribuzione globale del pomodoro e dei suoi derivati. Attraverso quest’opera, la performer ha messo in luce la complessità nascosta dietro un frutto consumato e venduto come fosse una verdura, divenuto nel tempo un’icona pop della gastronomia italiana. Come in tutte le sue creazioni, anche in STAR il fattore temporale giocava un ruolo cruciale. La resistenza, infatti, non solo è una caratteristica fondamentale del lavoro, ma anche un viatico per la libertà e l’affermazione dell’identità.

Le opere di Romina De Novellis sono state presentate in prestigiosi spazi espositivi internazionali, tra cui il Jeu de Paume, il Musée du Louvre, il MAC/VAL, la Ca’ Pesaro International Gallery of Modern and Contemporary Art di Venezia, il Museo Madre di Napoli, la Biennale di Poznań (Polonia), l’Armory Show di New York, la Fondazione Villa Datris, l’Espace Louis Vuitton, il Palais de Tokyo e il Musée de la Chasse et de la Nature di Parigi.

Dal 2019, Romina De Novellis ha dato vita a Domus Artist Residency, un progetto di residenza per artisti situato a Galatina, in provincia di Lecce.

Note
1) Negli ultimi 25 anni sono partiti dal sud Italia 1,6 milioni di giovani, secondo il rapporto sulla migrazione mondiale. Per tutte le informazioni si rimanda al sito: https://unric.org.
2) Per approfondimenti si consulti il sito: https://www.romina-denovellis.com/.
3) I Crip Studies sfidano le nozioni tradizionali di normalità, esplorando come la disabilità si intrecci con altre categorie sociali, come il genere e la classe, e offrendo una riflessione critica sulle rappresentazioni tradizionali delle persone disabili, frequentemente viste in termini di mancanza o infermità.