Il gesto riflettente: “RMX” al Teatro del Lido di Ostia di Paolo Ruffini

Foto di Michela Grandolfo

Spazio monocolore in quella piena luce che rende tutto tangibile, possibile di una prossimità, di lato entra e lo traversa un performer e dopo di lui una performer; ripeteranno quello spostarsi in una diagonale orizzontale per un sostanziale minutaggio dello spettacolo, passaggi veloci, con piccoli accenni a interruzioni motorie, posizionamenti che andranno a costruirsi come un montaggio di fermo-immagine in successione, scatti fotografici che immortalano una dimensione di pura allusione laddove i loro corpi resteranno non infatuati reciprocamente, piuttosto dal proprio ego, se non da porzioni minimali esposte.

Andato in scena lo scorso 1° marzo al Teatro del Lido a Ostia, lo spettacolo RMX calibra quei due corpi con una certa tensione dove intuiamo una reciproca relazione ma mai dichiarata. Gesti scultorei, come nei quadri degli spettacoli di teatro immagine di Stefano Napoli e la sua compagnia Colori Proibiti, corpi nella nudità pudica (con parti intime coperte) che vanno a esplorare le proprie tensioni e l’una nell’altro lì a scovare una complicità nel farsi in costruzione (di un immaginario).

Lasciarsi guidare dalle indicazioni dei programmi di sala degli spettacoli o dalle dichiarazioni di poetica da parte delle autrici o degli autori, è un esercizio utile per lo spettatore nel decodificare il panorama di senso offerto in scena. Accade anche che le stesse note possano traghettarci in un universo immaginifico non del tutto coincidente alla volontà del creatore o della creatrice, laddove la soggettiva dello spettatore filtra, media e ricostruisce il puzzle di immagini, di gesti e carature sonore attraverso il proprio spazio percettivo, una propria sfera concettuale di riferimento.

In questo senso, RMX presenta una apparente discrasia tra ciò che enuncia e la sua resa scenica, il suo portato iconografico, trasfigurante.

Foto di Michela Grandolfo

RMX è debitore del mito di Narciso, si dichiara nel programma di sala, e vuole esplorare quelle potenzialità visive e mnemoniche che vanno a addensarsi tra il dato umano, ciò che potremmo chiamare “datità” per dirla con Edmund Husserl, ovvero ciò che si rivela dell’umano, quella intenzionalità disvelata evidentemente voluta dalla regia nello spettacolo, e l’idea di un sé che si lascia sedurre dal proprio portato fantasmatico; RMX sembra avere questa postura in between tra fisicità e percezione immateriale, tra immagine e riflesso della stessa, tra sfera desiderante e reale, tra corpo e rappresentazione.

Argomento pieno di pertugi emozionali, dunque, oggi quanto mai presenti nelle intenzioni (appunto) delle corporeità e delle loro espansioni digitali, e qui lo sguardo riflettente s’impone. L’uso del telefonino per riprendere e rimandare le loro immagini in diretta trasforma drammaturgicamente quello spazio in un Eden metamorfico, un baluginio di rammemorazioni pittoriche, aggiornate a una meta-testualità digitale.

Per questo, lo spettacolo non ci porta soltanto alle soglie del mito di Narciso (e Eco), con annessi interludi speculativi nella metafora della produzione e del consumo culturale, di cui intuiamo il disegno nel montaggio live di immagini in presa diretta che vanno a configurare un quadro scontornato di nuove, altre declinazioni visive, RMX muove (non volute?) dissertazioni bibliche, sposta la barra dell’ego (dei personaggi) verso un racconto che sta all’archetipo del mito, potremmo anche dire che lo sovraespone politicamente.

Foto di Michela Grandolfo

Con la polverizzazione delle immagini, dove si sovrappongono, vengono anzi moltiplicate e scontornate parti di quei corpi, si rivela la processualità direttamente in palcoscenico rimandando a un adesso dell’accadere, funzionale finanche a una narrazione intersoggettiva creando multipli delle due figure in scena.

Il gesto è allora la rifrazione del corpo, si diceva, con immagini “riflettenti” e auto-fagocitanti di forte impatto. Sono srotolate più volte un secchio di mele, evidente rimando, persino didascalico. Così Narciso si dilata in un Adamo “liberato” nella sua condizione umana, allorquando l’etimologia dall’ebraico adāmā, sintetizza il concetto di “terra coltivabile”, di “suolo”, essere della terra che si avventura nella conoscenza. Visto da questa angolazione RMX assurge più a un atto di ribellione (estetica) alla The Creator con ormai saltati tutti i confini dell’umano, testando la nostra percezione nella speculazione filosofica messa in atto.

Spettacolo compatto e ben condotto in quell’indagine della «oscenità del dettaglio», per dirla con Avery Gordon, dove tutto appare, si mostra, in una società governata dalla tecnica, un discorso critico di questo tempo che eclissa l’ombra, e pertanto uno spazio di resistenza del dubbio.

RMX

concept Pietro Angelini e Karlo Mangiafesta
creazione e azione Pietro Angelini, Francesca Santamaria, Vittorio Pagani
regia Pietro Angelini
sound design Filippo Lilli
light design Marco D’Amelio
produzione 369gradi.

Teatro del Lido di Ostia, Ostia (RM), 1° marzo 2025.