Lo spirito di Eduardo De Filippo aleggia con tutta la sua tragica ironia in Dolore sotto chiave e Sik-Sik, l’artefice magico, i due atti unici diretti e interpretati da Carlo Cecchi (prodotti da Marche Teatro con il Teatro di Roma-Teatro Nazionale e Elledieffe) in scena al Teatro Argentina di Roma fino 23 dicembre.
Ogni battuta, ogni espressione, ogni gesto portato sul palco rievoca l’Eduardo che tutti amiamo, dimostrando ancora una volta il suo essere senza età. Non c’è nulla di già visto sebbene ci si senta a casa propria. La regia di Carlo Cecchi, che è anche interprete, cuce fili sottili a creare una tela che avvolge le due storie, così diverse ma così ugualmente cariche di amaro realismo. Gli attori tutti abitano, comodi, entrambi i testi che sono meccanismi senza imperfezioni.
In Dolore sotto chiave si ride e ci si ferma a pensare che la vita a volte è uno scherzo crudele. Si ride della vita, certo, ma si ride soprattutto della morte. Nel piccolo soggiorno in cui Lucia e Rocco, fratello e sorella, si scambiano accuse e giustificazioni, si attraversa più volte il confine sottilissimo tra chi c’è e chi non c’è più. Lucia per molti mesi ha nascosto al fratello – nel timore che questi potesse compiere un atto inconsulto – l’avvenuta morte della moglie Elena e finge di occuparsi delle cure della donna, gravemente malata. Quando Rocco torna a casa, quindi, gli impedisce di vederla con la scusa che la sua sola presenza le avrebbe potuto causare emozioni letali. «Si può campare senza avere emozioni?» si chiede allora l’uomo e, in uno scatto di rabbia, entra con forza nella stanza della malata scoprendola vuota. I giochi, dunque, sono fatti. «Il dolore era mio e lo avrei sofferto per intero» urla il povero Rocco che deve anche sopportare i vicini che piombano in casa, quasi in processione, per sostenerlo nel lutto.
«Qual è la colpa più grave», si chiede allora il protagonista – e noi tutti in realtà – «uccidere qualcuno o sostituire la vita vera con una artificiale e falsa?». È questa, di sicuro, l’atrocità peggiore ed Eduardo non ha dubbi. Il resto poi è vita che piomba pesantemente sulla morte. Si ride della morte, certo, ma ci si ferma anche a pensare, si diceva, perché la morte è la fine ma è anche l’inizio. E la risata ne è la dimostrazione perché esorcizzandola ne dimostra tutta la forza vivificatrice. In una messinscena semplice e con pochi elementi, i personaggi si muovono danzando sulle parole di Eduardo che sono ancora materia viva e vibrante. E la maestria di Carlo Cecchi è tutta nel costruire un ensemble di voci in cui nessuna prevarica l’altra e tutta la compagnia sostiene il peso di queste parole con incantata leggerezza.
Parole con le quali poi si gioca in Sik-Sik, l’artefice magico, secondo atto di questo binomio. Scritto nel 1929, è considerato uno dei capolavori del Novecento e, con più di 450 repliche solo a Napoli, ebbe un successo enorme. Fu anche l’ultima interpretazione di Eduardo che nel 1980, dopo cinquant’anni di carriera, decise di ritirarsi dalle scene.
In questa versione firmata Carlo Cecchi la raffinata ironia di De Filippo la fa da protagonista e il divertente e fine gioco linguistico tra l’italiano e il napoletano conquista la platea che si diverte ad ascoltare la storia di Sik-Sik (in napoletano, “sicco” significa secco, magro e, come racconta lo stesso Eduardo, si riferisce al suo fisico) un povero illusionista maldestro, interpretato da Cecchi, che si esibisce in teatri di infimo ordine insieme con la moglie Giorgetta (la straordinaria Angelica Ippolito) e la fida spalla, Nicola (Vincenzo Ferrara) che però quella sera non si presenta. Il mago assolda dunque un passante, Rafele (Dario Iubatti), per sostituire il compare assente. L’arrivo di Nicola poco prima dello spettacolo scatena un litigio tra le due “spalle” che si ripercuoterà sulla riuscita dell’esibizione.
In questo omaggio che Cecchi fa al maestro napoletano c’è tutto il rispetto per il suo teatro che si concretizza nei piccoli silenzi così come nei lievi gesti o smorfie che tanto ricordano Eduardo. «Il pubblico», dice Sik-Sik, «se non gli dai la spinta non si muove». Spinta che, in questi due atti unici, i maestri Cecchi e De Filippo non mancano generosamente di dare.
Dolore sotto chiave / Sik-Sik l’artefice magico
due atti unici di Eduardo De Filippo
regia Carlo Cecchi
con Carlo Cecchi, Angelica Ippolito, Vincenzo Ferrera, Dario Iubatti, Remo Stella, Marco Trotta.
Produzione Marche Teatro con il Teatro di Roma-Teatro Nazionale e Elledieffe.
Teatro Argentina, Roma, fino al 23 dicembre 2021.
In tournée.