Quando si sente parlare di Hip Hop, nella maggioranza dei casi, il primo pensiero si rivolge a quel tipo di ballo, derivato fondamentalmente dalla Breakdance, che trae origine dalla cultura afroamericana degli Stati Uniti. Molti hanno preso contatto con questo tipo di danza con i film come Beat Street o Breakin’ entrambi del 1984 o, più recentemente, con storie “romantiche-adolescenziali” tipo Honey del 2003 che vede tra gli interpreti una giovane Jessica Alba.
In realtà Hip Hop è qualcosa di molto più complesso. Si tratta di un movimento (anche) socio-politico nato negli anni ’70 come forma di ribellione alla supremazia economica e culturale dei “bianchi” nel campo della musica e delle arti. Trovato il suo terreno fertile nelle periferie-ghetto delle metropoli Nord Americane, l’Hip Hop è uno stile di vita che, artisticamente, coinvolge la pittura col graffitismo, la musica con il Rap (e forme derivate), l’abbigliamento con lo stile Street, la danza con la Breakdance e lo stesso Hip Hop.
Legato all’ideologia della Zulu Nation, tanto cara al dj e cantante Afrika Bambaataa, suo ideologo e promotore, risulta essere un “credo” che coinvolge gli adepti al rispetto reciproco e al rifiuto della violenza. Tra i gruppi e tra i membri dello stesso gruppo, sono le abilità nel rappare o le acrobazie della danza Hip Hop o Break, a decretare le varie gerarchie; si evitano, così, conflitti fisici violenti tramutandoli in battaglie artistiche. I componenti di una “banda” (che è definita crew) prendono il nome di B-boys e le ragazze di B-girls. È obbligo per i membri delle varie crews assumere un “nome d’arte” per mantenere l’anonimato in ambienti differenti da quelli dell’ Hip Hop.
In Europa attualmente, ad eccezione di alcune realtà locali in Francia, Germania e Regno Unito, la danza Hip Hop si delinea quasi esclusivamente come uno stile di ballo “acrobatico”, di alto pregio spettacolare, ma che ben poco ha a che fare con la riscoperta delle identità etniche di origine americana o africana.
È in questo quadro che si inserisce Battle of the Year: una competizione tra crews e tra B-boys . La gara, ideata in Germania nel 1990, ha raggiunto rilevanza internazionale coinvolgendo, oggi, per la fase finale, rappresentanti di ben 30 nazioni. L’edizione 2018 si svolgerà il 17 Novembre a Montpellier, in Francia.
La selezione italiana, trampolino di lancio per conquistare l’ammissione al torneo mondiale, invece, si è tenuta il 22 settembre a Roma presso il teatro Golden, uno dei pochi spazi della capitale adatto alla visione di questo tipo di manifestazione perché dotato di un dancefloor (l’area destinata agli artisti) e tre tribune, una frontale e due laterali, riservate al pubblico; una disposizione che ricostruisce quella sensazione di “ring” tipico dello scontro, in strada, dei danzatori di Hip Hop.
Le sfide si svolgono tutte con la stessa modalità. Dopo un iniziale studio “strategico” tra i contendenti (o tra i membri di una delle crews in gara) un B-boy si lancia sul dancefloor e propone la sua coreografia. Al termine dell’esibizione (senza un tempo predefinito) il primo B-boy cede il ring all’avversario che tenta di rispondere alla coreografia appena presentata con passi ancora più acrobatici e complessi. Il ciclo si ripete fino al termine del tempo previsto per lo scontro. Se nessuno dei ragazzi dà “inizio alle danze” è la sorte, tramite il roteare di una bomboletta di vernice spray (oggetto legato al mondo dei writers e dei graffiti Hip Hop) col classico gioco della “bottiglia”, a designare a chi toccherà mostrare le proprie abilità per primo.
Per una rapida cronaca della serata finale, musicalmente guidata dal dj ucraino di fama internazionale DJ UraGun, occorre dire che si è assistito agli scontri tra otto B-boy e otto crews. Nei gruppi era inserita anche la categoria kids, riservata ai bambini.
Negli scontri one vs one, dove si sfidavano solo B-boys, è stato consacrato vincitore, dalla giuria composta da B-boys di fama internazionale (Intact, Lagaet e Ratin), il giovane e simpatico ventiduenne Mowgly (Cristian Bilardi), campione uscente 2017, a discapito di un pur bravo Snaps (Alessio Signore).
Per le crews kids, invece, la sfida conclusiva è stata tra i Chapterz di Milano che hanno superato i Fundanzers di Firenze; sebbene i piccoli erano tutti bravi, qualcuno doveva pur vincere!
Nello scontro definitivo tra crew, per aggiudicarsi il titolo 2018 e conquistare il pass per la finale mondiale di Montpellier, sono stati i Bandits crew di Milano ad avere la meglio sui “campioni” locali del team romano dei Lotta boyz. I Bandits, gruppo professionista dell’Hip Hop nostrano, hanno, grazie alla loro bravura, ottenuto anche il premio speciale, The best show, per la migliore coreografia.
Per noi, cronisti dell’evento, la serata è stata una vera sorpresa. Prima di assistere alla competizione, provenendo entrambi da studi sulla danza più “classici”, ci domandavamo cosa ci saremmo dovuti aspettare e se l’evento si sarebbe dimostrato comprensibile anche a noi “neofiti”.
A dispetto delle nostre paure iniziali la Battle si è rivelata essere molto più di uno spettacolo; quello che sulla carta è descritto come uno show di Hip Hop, dal vivo, si trasforma in un vero e proprio fenomeno di aggregazione sociale dove la bravura tecnica passa quasi in secondo piano e prevale maggiormente l’empatia che si viene a creare con l’artista che si esibisce. Durante il contest, che si è prolungato per oltre quattro ore, trascorse senza momenti di noia o cali di tensione, l’effetto “competizione” è divenuto sempre più coinvolgente trascinando anche noi, che avremmo dovuto essere muti e imparziali osservatori, in un goliardico tifo a favore di un B-boy o per una delle crews in pista. Il calore e la partecipazione del pubblico, molto più sentita che in altre competizioni di danza “tradizionali” (poiché non vincolata alla frazione dedicata all’applauso), sono risultate fonte di energia per i competitors tanto da influenzarne le performances. È stato bello quindi scoprire, in noi, il gusto di criticare, nei contendenti, atteggiamenti ritenuti troppo aggressivi come le invasioni di campo (o meglio di ring) da parte del danzatore in attesa del proprio turno (al solo scopo di infastidire l’avversario) o l’allungare il tempo di esecuzione della propria esibizione, senza cedere il ring, al fine di non permettere al gruppo opposto di mostrare le proprie capacità.
Nel lasciare la sala, nel commentare ciò che avevamo visto, ci siamo resi conto che il climax vissuto era quello di una credibile “rappresentazione teatrale” di ciò in cui ci saremmo potuti imbattere percorrendo una periferia “nera” di New York. Confrontandoci abbiamo concordato che non erano state sicuramente le strategie o il tecnicismo a rendere la competizione interessante ma quell’insieme di situazioni “divertenti” e socializzanti che si creano anche tra fazioni avverse; lo ha dimostrato il liberatorio abbraccio collettivo che ha segnato la fine della Battle entusiasticamente vissuto dal gruppo vincitore ma partecipato con gioia anche da coloro che si erano, invece, dovuti accontentare della piazza d’onore.
Concludendo una serata ricca di emozioni e piena di suggestioni nonché di sincero agonismo artistico dove se la danza Hip Hop è stata la protagonista, un posto speciale è stato riservato al quel “fattore umano” che ha consentito di abbattere la barriera scenica, data dalla finzione, che divide i ballerini dagli spettatori.
Battle of the Year 2018
a cura di Marco Sabbatini
foto di scena Sergio Roca
Teatro Golden, Roma, 22 settembre 2018.