Quando il sudcoreano Bong Joon-ho scrive e dirige Cane che abbaia non morde (titolo originale Peullandaseu-ui gae, lett.: Il cane delle Fiandre), era il 2000, lui un anonimo esordiente appena trentenne e il suo debutto – pare – passò piuttosto in sordina. Oggi, Bong Joon-ho è l’indiscusso talento mondialmente acclamato, con palmarès – e incassi – da record, forse il più noto rappresentante di un’industria audiovisiva fiorita in questo inizio di millennio su scala globale tanto al cinema quanto in tv. Di mezzo, ci sono stati una serie inarrestabile di successi e soprattutto c’è stato il trionfo di Parasite, mentre per il futuro già cresce l’attesa per il suo nuovo film di fantascienza Mickey 17, annunciato per la prossima primavera. Nessuna meraviglia quindi che l’unico titolo della sua filmografia rimasto inedito in Italia, tranne forse un paio di sporadiche apparizioni festivaliere, sia stato ripescato, rilanciato con tanto di marchio di fabbrica e distribuito (da P.F.A. Films ed Emme Cinematografica) finalmente in sala in versione sottotitolata. Era già successo con Memorie di un assassino, uscito prima del 2020 solo in formato home video. E tanto di guadagnato per lo spettatore.
Protagonista di Cane che abbaia non morde è Yun-ju, un giovane ricercatore universitario insoddisfatto: la sua carriera si è arenata, il suo matrimonio con Eun-sil langue. Infastidito dall’abbaiare di un cane, Yun-ju finisce per riversare tutte le sue frustrazioni sui poveri piccoli quadrupedi del vicinato e inizia a dar loro la caccia. Ma deve fare i conti con l’ingenua e sentimentale Hyeon-nam, impiegata nell’amministrazione del caseggiato, che per sfuggire alla noia quotidiana sogna di vivere un’avventura degna della ribalta televisiva. Il caso vuole che Hyeon-nam veda Yun-ju, che non conosce, in azione… e quale migliore occasione di celebrità che lanciarsi a capofitto alla scoperta del misterioso assassino di cani e farlo arrestare? Finché la moglie di Yun-ju non cede anche lei alla costosa mania di portarsi a casa un cagnolino e il paradosso è servito. Il tutto, mentre intorno ai nostri, dentro e fuori l’alienante geometrico caseggiato, serpeggiano creature bizzarre e inquietanti.
Commedia surreale, dove anche il plot origina da un evento apparentemente insignificante e di pura idiosincrasia, Cane che abbaia non morde fonde insieme thriller, cinema d’azione e incursioni horror: già al suo debutto Bong Joon-ho mescola generi e registri diversi, con un gusto della sperimentazione che arriva a includere gags e soluzioni quasi slapstick, ed esplora le possibilità del movimento alternando riprese a più velocità. La sceneggiatura (firmata dallo stesso regista con Sohn Tae-Woon e Song Ji-Ho) può concedersi il lusso di divagazioni senza perdere in fluidità e tensione narrativa. Sotto la superficie dell’impianto, la commedia si colora di tinte grottesche, cupe, e i personaggi si rivelano per quello che sono. Alienati, falliti, alternativamente vittime e carnefici, prodotti di una società fortemente sperequata e cinica (cinica poiché fortemente sperequata) come quella sudcoreana (solo?). Dove chi sta in basso, pur di salire anche di pochi gradini la scala sociale e agguantare un nuovo status, non può permettersi di nutrire afflati morali («Ma anche chi versa mazzette è colpevole?», si chiede Yun-ju, comunque disposto a mercanteggiare il posto da professore associato). Non c’è spazio per i buoni sentimenti. Topos, questo inaugurato qui da Bong Joon-ho, che il futuro (per noi passato) film Oscar si incaricherà di rappresentare mirabilmente con un perfetto meccanismo ad orologeria. Ma sarebbe ingiusto fare raffronti, un po’ come quando in famiglia si paragonano fratelli. Cane che abbaia non morde è un film riuscito e godibilissimo, capace di far passare attraverso il divertimento la tragica ironia di un universo scombinato e di un destino burlone, per cui nessuna catarsi è possibile o ammessa salvezza.