Sono i fili della Memoria, quelli che pazientemente si tessono per formare una Biografia, il centro di Carmen che non vede l’ora, lo spettacolo di Tamara Bartolini e Michele Baronio presentato il 4 e il 5 ottobre 2018 al Teatro Biblioteca Quarticciolo di Roma.
Se fosse soltanto ricostruire la vita di qualcuno non sarebbe certo un lavoro da poco, ma forse non qualcosa di impossibile. Invece, è come Bartolini/Baronio rielaborano l’esistenza di Carmen – conosciuta nel corso di un’attività laboratoriale – a fare la differenza. È quella storia, frutto di un incontro prezioso e non ripetibile, a dare senso alla pièce. Gli incontri sono spesso unici. E, credo, che quello con Carmen sia stato per Tamara e Michele qualcosa di speciale. Si evince dal loro lavoro. Dal percorso drammaturgico, sonoro e registico che hanno saputo tracciare. E dalle loro voci e dai loro corpi, da cui emerge la necessità di portare sulla scena una vicenda privata, calata in un contesto storico e sociale che consente allo spettatore di attraversare mondi e epoche fino a disegnare un ritratto perfetto e rigoroso di un Presente in grado di comunicare armonicamente con il nostro Passato.
Un divano, su cui sono seduti i due attori, è l’unico oggetto di scena insieme a un proiettore, uno schermo e tante foto che gli attori ci mostrano per introdurre e narrare la vita di Carmen. Le foto, reali, spesso in bianco e nero e in alcuni casi ingiallite, sono il tramite necessario per metterci in contatto con il mistero del Teatro e per suggerire, attraverso la loro materiale e normale fisicità, un immaginario autentico che poi è quello che fa scattare il legame tra attori e spettatori. Questi ultimi familiarizzano con la protagonista proprio a partire da quegli scatti. È da lì che inizia il percorso di conoscenza di Carmen. Le foto sono il dispositivo “vero” finalizzato a preparare l’incontro con questa donna. E allora, quel <<facciamo che…>>, <<facciamo finta che…>>, ripetuto più volte dai due attori, serve a rammentarci che siamo sì a Teatro, ma che quella stessa finzione può aprire varchi inaspettati: disporci a un desiderio di andare oltre i racconti e di entrare dentro la nostra Storia.
Si parte dall’ex Jugoslavia. <<È la fine della Seconda Guerra Mondiale>> e, dal villaggio di Klenovica, <<si va in Africa, ad Asmara per prendere la nave della croce rossa che porta in Italia. Una volta sbarcati, il viaggio prosegue verso Napoli e magicamente gli anni ’40 diventano i favolosi anni ’60, e si viene trasportati dentro antiche leggi e tabù del profondo Sud, in un piccolo paesino sperduto della Basilicata>>.
Carmen combatte per la sua libertà. Suo Marito (l’uomo non ha un nome, forse perché di fatto non lo merita nemmeno!), “rispetta” le scelte familiari (soprattutto quelle “matriarcali” imposte – come da tradizione – dalla Nonna Carmela) e accetta un matrimonio combinato con una ancora ingenua ragazzina di diciassette anni. Lui ne ha più di quaranta di anni e l’unico modo per dimostrare la sua virilità è quello di appropriarsene, di sottometterla psicologicamente e fisicamente. Il Marito lavora in una fabbrica. Sta dalla parte dei padroni. Pensa, forse, così di ottenere una “credibilità sociale”. Quello stesso prestigio dettato dalle convenzioni che Carmen infrange, partecipando agli scioperi insieme agli operai. Combattiva, davanti ai cancelli della fabbrica, la giovane eroina se ne infischia dei giudizi e dei pregiudizi. Segue il suo istinto, sposa le proprie idee. È una temeraria Carmen. Non si ferma davanti a niente.
E anche l’attrice Tamara Bartolini non si risparmia mai. Veste i panni della protagonista con un’energia di una forza straordinaria. Le scarpe rosse con tacco che indossa, dopo aver dismesso un paio nere dal tacco decisamente più comodo, la mettono nella condizione fisica di “essere” Carmen. Di “entrare nel suo corpo”, sensibile e fragile, per esprimerne la “traballante” e “vacillante” fisionomia. Senza trascurare tuttavia il carattere forte, risoluto, della donna che la condurrà a fare scelte sempre più coraggiose.
Il paesino della Basilicata è troppo stretto, soffocante, per lei. Quindi decide di fuggire. Roma è la meta. Siamo negli anni ’70. La capitale italiana è <<… infuocata dalle contestazioni, tra nonni slavi e ladri, mariti violenti, amanti, riunioni politiche, rivolte, la nascita inattesa di un figlio, e il sogno di una stanza tutta per sé, di un lavoro da maestra dentro quella scuola pubblica pensata come spazio da proteggere, luogo deputato alla crescita e alla trasformazione della società>>.
Per l’intero spettacolo, Carmen è il simbolo del cambiamento, la speranza – rivolta a noi spettatori – di un rinnovamento che in fondo dipende dal coraggio di ciascuno/ciascuna di noi. Possiamo decidere di soccombere, di sottostare a quanto ci viene imposto, o prendere in mano le nostre vite per tentare di contrastare amori ossessivi ed egoistici, come la Carmen di Mérimée e di Bizet, e di opporci alle logiche di una società oppressiva, esageratamente burocratica, che obbliga, ad esempio nei primi anni della legge sul divorzio, il figlio della protagonista a “indossare” per quattro anni metà del cognome della madre e metà del cognome di un padre soltanto “legale”. La nostra eroina lotta, lotta, e riesce. Si arriva ai nostri giorni. La donna si trasferisce nella provincia di Roma, davanti al mare. Un mare che, metaforicamente, rappresenta il proiettarsi libero verso orizzonti aperti e privi di confini.
Carmen-Bartolini scuote i nostri animi, intrecciando i suoi racconti alle musiche e alle canzoni di Michele Baronio perché in fondo Carmen che non vede l’ora <<… è anche il viaggio di un uomo alla ricerca della sua coscienza; un uomo che risponde parlando, cantando e suonando, a quel gioco del teatro che il femminile mette in moto>>. L’attore è un eccellente Narratore. Ci aiuta con il suo entrare ed uscire dai differenti personaggi a ricomporre altri tasselli della vita di Carmen; dà respiro alle atmosfere delle epoche attraversate (come quando ci fa ascoltare dei vinili o ci mostra spezzoni di varietà televisivi); ci mette in contatto con l’ancestrale visceralità del corpo (di grande liricità il momento in cui sulla pancia dell’attrice, proietta delle foto); costruisce da abile artigiano sotto i nostri occhi con un giravite elettrico una piccola giostra su cui vengono fatti girare piccoli oggetti.
Sulla sala cala il buio. In fondo al palcoscenico le ombre di quegli stessi oggetti roteano come sospesi nel nulla. La bellezza è negli occhi di chi guarda, sembrano dirci i due artisti. E allora anche noi ci sentiamo un po’ più liberi. Prendiamo coraggio e <<… facciamo che>> Carmen sia di esempio per tutti noi.
Carmen che non vede l’ora
di e con Tamara Bartolini e Michele Baronio
drammaturgia Tamara Bartolini
musiche originali, canzoni, sonorizzazioni Michele Baronio
canzoni originali Lucilla Galeazzi
disegno luci Davood Kheradmand e Diego Pirillo
suono Michele Boreggi
regia Tamara Bartolini e Michele Baronio
Teatro Biblioteca Quarticciolo, Roma, 4-5 ottobre 2018.