Anita Pallenberg non è solo la “ragazza” dei Rolling Stones, come spesso veniva definita negli anni Settanta. Ha rappresentato un’icona di stile, una donna raffinata e semplice al contempo, una allora ragazza che avuto il coraggio di rompere le convenzioni di una famiglia borghese per metà italiana da parte paterna e metà tedesca.
Anita Pallenberg nasce a Roma (classe 1942), figlia di Arnaldo Pallenberg, un agente di vendita italo-tedesco e musicista, e Paula Wiederhold, segretaria all’ambasciata tedesca. Anita aveva avuto modo di imparare sin da piccola una vita all’insegna della multiculturalità. A soli quindici anni, infatti, i suoi genitori l’avevano spedita in un collegio tedesco, per farle imparare le regole dell’alta società. Dopo pochi mesi, si fa espellere dall’istituto per aver avuto un comportamento indisciplinato: per aver fumato, bevuto e addirittura fatto l’autostop. Tornata a Roma, inizia la sua “ribellione” e comincia a fare parte della dolce vita romana: il padre la iscrive a una scuola di disegno, ma Anita preferisce trascorrere il tempo con il suo amore, il futuro grande Mario Schifano, pittore di Ripetta e regista. Va a vivere con lui, passa i pomeriggi al Caffè Rosati a Piazza del Popolo, posto frequentato da pittori, scrittori, artisti, gente come Fellini, Pasolini, Moravia, Penna.
Anita però non si ferma a Roma. Viene contattata da una nota agenzia di moda che la fa fuggire in America dove si ambienta anche nella Factory di New York dove conosce Andy Warhol.
Non è tutto. Viene notata dal regista Volker Schlöndorff, che la vuole a tutti i costi nel film A degree of murder. Recita, poi, in Barbarella, Dillinger è morto, Sympathy for the Devil e oggi in Catching Fire, film tratto dal suo diario/biografia, scoperto dal figlio Marlon Richards.
È grazie alle testimonianze di tutta la sua famiglia, se il documentario riesce a cogliere sempre l’attenzione dello spettatore e lo coinvolge in un turbinìo di immagini e flashback potenti, facendolo immergere in un mondo frenetico, mondano, surreale ma anche triste se si esaminano gli aspetti più negativi dell’uso smodato di droghe da parte di Anita e più persone a lei vicine.
Nonostante l’abuso di copiose sostanze stupefacenti, Anita Pallenberg passa da essere una modella corteggiata da più stilisti a una brava attrice, sebbene la sua vita sentimentale le complica un percorso che sembrava vincente. Dopo il suo amore con il “bello” degli Stones, Brian Jones, conosciuto a causa di una scommessa durante una tappa tedesca del gruppo, si innamora di Keith Richards. Tutto avviene durante un viaggio in Marocco con il chitarrista. Jones non può andare, inizialmente, per via delle sue pessime condizioni di salute dovute alla tossicodipendenza. Anita ama molto Jones. Purtroppo, lui è violento e la picchia: lei resiste e cede a Richards. Nel frattempo, li raggiunge Jones che con un atteggiamento folle conferma la sua crisi personale. Anita e Keith fuggono assieme dall’hotel marocchino, diventano inseparabili. Anita rimane incinta, ma deve abortire per girare Performance, il film di Donald Cammell e Nicolas Roeg del 1970. Il coprotagonista è Mick Jagger, il quale sembrerebbe che si fosse innamorato di lei. Keith e Mike cercano di superare l’imbarazzo e organizzano una vacanza esotica con le rispettive ragazze Anita e Marianne Faithfull, altra incredibile musa di quella Londra ritratta da Michelangelo Antonioni in Blow-Up.
Le immagini del viaggio in Marocco, come molte altre di repertorio, sono unite da un montaggio molto ben strutturato che elevano il film donandogli un aspetto quasi di finzione, come se vedessimo una vera e propria riproduzione delle loro emozioni e vite.
La parte in cui viene ritratto il dolore di Anita si concentra molto nella fase in cui rimane di nuovo incinta e nasce Marlon. In questo periodo, Keith si dimostra un padre affettuoso, ma la magia dura poco perché la musica inizia a prendere il sopravvento su tutte le priorità. Si alternano immagini spensierate a quelle di solitudine della donna con il bambino avuto.
Poi arriva la convivenza della band in un’unica casa in Francia per incidere il nuovo album: questa è la parte più caotica del documentario in cui i vari personaggi dell’epoca circondano gli Stones dal mattino alla sera, e in quel momento Anita ha troppe responsabilità rispetto all’organizzazione. Tutti avrebbero voluto assistere alle prove degli Stones. La band viene accusata di detenzione di stupefacenti dalla polizia francese, per Anita e Keith è un buon motivo per cambiare vita. Fuggono in Svizzera, vivono in una baita molto accogliente ma non esosa e sono felici, purtroppo Keith parte spesso con la band e Anita deve occuparsi dei figli da sola, perdendo il suo ultimo bambino per complicazioni impreviste. Anita da quel momento si annienta, la coppia si separa e la figlia viene mandata dalla nonna paterna. L’esistenza di Anita va in pezzi, si reca di nuovo negli States ma questa volta da sola con il figlio Marlon, vive fuori New York, in un posto ameno, in cui intrattiene una relazione con un ragazzo molto più giovane di lei. Un giorno il ragazzo si spara sotto effetto di stupefacenti. Marlon è presente e dopo un evento simile non vuole più vivere con la madre.
Anita impiegherà vent’anni per disintossicarsi dalle droghe e riconquistare la sua vitalità, ma non ha mai perso l’energia, la sua luce, la sua fiamma. Negli ultimi anni, ha continuato a brillare e a fare l’attrice. A cinquanta anni, già nonna, Anita si iscrive all’università e in quattro anni si laurea in moda. Va a lavorare da Vivienne Westwood. Sono di poche stagioni fa le collezioni di Pucci, Prada, Marni interamente ispirate a lei. Ed è Anita Pallenberg la donna Etro primavera-estate 2020.
Anita Pallenberg si conferma una diva antidiva, una ribelle, che ha dimostrato di non essere solo una parte degli Stones, ma tanto altro, ispirando donne di differenti generazioni.
Il film ci dona un quantitativo enorme di immagini, dalle quali avidi, introiettiamo le vite degli amati rocker inglesi e della loro musa ispiratrice, colei che ha dato la giusta motivazione a Mick Jagger per scrivere canzoni, come You can’t get always get what you want, e lo fa con un ritmo sempre dosato, accompagnato da musiche e commenti adeguati. La regia, infatti, tiene conto dell’impatto che una band così osannata possa avere nei confronti di una donna importante, ma non abbastanza rispetto al gruppo.
I due registi ci restituiscono una storia in cui la vicenda di Anita Pallenberg ci coinvolge senza farci condizionare dalle figure maschili dei suoi amati Stones e ci mette in contatto con l’anima femminile di una donna che ha lottato molto per diventare sé stessa.