Ancora uno spazio disintegrato, questa volta nell’ampiezza di una sala del Teatro India annichilita di un nero abissale, spazio definitivamente post in cui tutto è già accaduto o sta per compiersi quale ultimo atto di una liturgia di morte. Ogni definizione di potere evoca la morte e qui, in questa scena euripidea, lo strazio è nei corpi lasciati e in quelli che saranno deportati, esemplare dunque Le troiane di un’infausta preveggenza di oggettivazione del corpo nei nostri giorni come lo fu nella storia, dove il corpo abusato e reso schiavo è della donna. Lo spettacolo dei Motus nel debutto a Short Theatre e a seguire nel cartellone del teatro romano marca un altro segno del festival e lo fa questa volta con didascalica irriverenza, quasi a sottolineare la scelta di voler parlare senza fraintendimenti. Tutto brucia (il titolo) è il campo aperto del “che fare” conoscendo già la risposta. Non rimane che cenere, quella di Troia, mentre le donne diventano proprietà degli achei, qualche fuoco ancora arde, sono cupi bagliori di una memoria prossima inevitabilmente ritornante, come una nenia funebre, lì a ricordarci Srebrenica, Damasco, Kabul o qualsiasi altra località di maschio abuso, magari finanche nella porta accanto. In scena Francesca Morello (R.Y.F.) fa un gran lavoro di tessitura sonora con chitarra e voce live che riporta al sound dolente di certi film alla David Lynch, un motivo scarnificato di retorica musicale esperito nei tagli sintetici di una sur-partitura fatta di rumoralità espanse e gravità sonore delle stesse azioni, che si compiono a loro modo amplificatorie e timbriche. È un coro il portato sonoro, un gesto, corifèo che in quella voce tiene assieme tragedia e cronaca, mentre Ecuba, Cassandra, Andromaca e Polissena sono voci e gestualità, figure “in trasparenza” ricondotte alle due interpreti (Silvia Calderoni e Stefania Tansini) che tutto muovono.
La partitura è caustica, la loro ècfraṡi fisica si fa carico di una performatività vulnerabile ed estrema allo stesso tempo, una possibilità – per dirla con Judith Butler – come apertura verso un reciproco riconoscimento tra spettatore e attore: il materiale inerte della coltre di cenere che invade lo spazio è anch’essa strumento di percezione di sé, di quei corpi al limite; i microfoni con aste definiscono una frontalità concertistica e rovesciano il ruolo e il tratto indefinito di un fondale fatto di tendaggi che gravano come feritoie e che lasciano intuire aperture e vento al di là, seppure non vi sia possibilità di fuga oltre la cornice data. È la prigione stereotipata entro la quale quei corpi, quelle espressività sono al servizio di una “danza macabra” persino biblica. Il palcoscenico è generatore di materiali che da elementi inattivi si fanno carico di spostare di segno del loro significato letterale per divenire amplificatori evocativi, in un certo senso di significato letterario, come lo sono le steli luminose o la maschera indossata a un certo punto dalla Calderoni che ne modifica la voce: le prime sono lampi, iridescenze di un viaggio che fa intravedere l’approdo imminente o fuochi di quei resti di guerra; la seconda è una postura, uno stare tra belva e vittima, tra gabbia della parola e urlo. Ashes to ashes cantava David Bowie agli esordi degli anni Ottanta, come una storia di contrazioni temporali tra un futuro remoto e un passato prossimo, nonostante le storie – ci ricorda Colum McCann – sono «i mattoni fondamentali del nostro universo: sono antiche come il tempo. Sopravvivono alla morte». Il racconto da una diagonale non occidentale è allora il punto vista, l’imprevisto in una progressione lineare della storia ch’è fatta di spasimo e soprusi, e che ci permette di capirne la morale: il potere è sempre un aggettivo al maschile. Di tutte quelle storie archetipo Le troiane è forse quella dichiaratamente politica, latrice di un valore culturale a senso unico. In questo campo arso dal fuoco, quasi un doppio del cinema sventrato nel secondo atto del Giulio Cesare della Socìetas dove le due figurine di Cassio e Bruto sopravvissute al loro stesso deicidio deambulavano un tempo infinito, in Tutto brucia le due interpreti si fanno portatrici invece di epigrafi tensive, di una gestualità fonetica ipertrofica e rovinosa che mostra la nudità dei corpi e la loro resa al destino. Sebbene ricondotta, questa gestualità, a una danza del conflitto fin troppo educata in quella striatura evanescente alla Carolyn Carlson o a parole non “dette” ma recitate, seppure, ancora una volta, il piano brechtiano sembra essere molto presente in quella idea di filiazione del Living. L’alveo è quello di una tradizione della ricerca nel climax visionario del tempo presente. Uno spettacolo – chiaro e dichiarato che si serve anche di parole sovrascritte per definire ulteriormente il proprio posizionamento, sempre ben condotto dai due registi-autori – dove il graffio e l’estetica convivono felicemente.
Tutto brucia
ideazione e regia Daniela Nicolò e Enrico Casagrande
con Silvia Calderoni, Stefania Tansini e R.Y.F. (Francesca Morello) alle canzoni e musiche live
testi delle lyrics Ilenia Caleoe R.Y.F. (Francesca Morello)
ricerca drammaturgica Ilenia Caleo
cura dei testi e sottotitoli Daniela Nicolò
traduzioni Marta Lovato
direzione tecnica e luci Simona Gallo
ambienti sonori Demetrio Cecchitelli
design del suono live Enrico Casagrande
fonica Martina Ciavatta
assistenza tecnica Francesco Zanuccoli
props e sculture sceniche _vvxxii
video e grafica Vladimir Bertozzi
produzione Elisa Bartolucci con Francesca Raimondi
organizzazione e logistica Shaila Chenet
promozione e comunicazione Marta Lovato con Francesca Lombardi
ufficio stampa comunicattive.it
distribuzione internazionale Lisa Gilardino
una produzione Motus e Teatro di Roma – Teatro Nazionale con Kunstencentrum Vooruit vzw (BE)
progetto di residenza condiviso da L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale: Centro di Residenza Emilia-Romagna e Santarcangelo dei Teatri
in collaborazione con AMAT e Comune di Fabriano nell’ambito di “MarcheinVita” Lo spettacolo dal vivo per la rinascita dal sisma” progetto di Mibact e Regione Marche
coordinato da Consorzio Marche Spettacolo
con il sostegno di MiC, Regione Emilia-Romagna
si ringraziano HĒI black fashion, Gruppo IVAS
© Vladimir Bertozzi.
Short Theatre, Roma, dal 9 al 12 settembre 2021. In tournée.