Una fiaba di formazione: contemporanea, dura, affilata. Una fiaba che tanti adolescenti e pre e post-adolescenti farebbero bene a vedere. Non soltanto loro, ma loro, soprattutto. Femmine, maschi, ibridi fieri o tormentati, fluttuanti intermezzi che non fanno male a nessuno. Per capire che non sono soli, per sorriderci su, alla fin fine, e darsi finalmente una sonora svegliata ché a quell’età tutto è ancora possibile.
In questa Cenerentola Remix, spettacolo ideato e diretto da Fabio Cherstich, liberamente ispirato alla favola originale di Charles Perrault e alle sue riscritture, precipitano con tutto il loro peso i grumi induriti dalle relazioni morbose che si consumano nelle famiglie naturali o allargate: relazioni fatte di proiezioni incrociate, aspettative deluse, frustrazioni e sensi di colpa, quelli peggiori, che non lasciano tregua perché hanno a che fare con la tua inadempienza, la tua incapacità di render felici, di mantenere promesse, di soddisfare i desideri di chi ti ha inondato di amore consegnandoti un’eredità che ti ritrovi a espiare.
«Promettimi che mi penserai tutti i giorni». Dice qualcosa di simile, la madre amorosa, sul letto di morte, e ha già le sembianze della futura matrigna. Non a caso il doppio ruolo è affidato alla medesima attrice e sta lì a indicare fin dall’inizio la relazione equivoca potenzialmente presente in un legame indistruttibile. Non già la doppia natura ma l’errore e il rischio che l’amore stesso porta con sé: sopravvivere nella vita dell’altro, continuare a esistere attraverso l’altro, trasferirsi nell’altro, informandolo di noi, delle nostre paure e dei nostri desideri, della nostra volontà e della nostra sacrosanta idea di giustizia. E allora chi, più di un figlio, è degno di reggere il carico di una vita sospesa, interrotta, demandata per ragioni diverse a chi viene dopo di te? Chi, più di un figlio, ha diritto di indossare la tua pelle sotto forma di abito buono per affacciarsi alla vita?
Ma chi, più di un figlio, può sentirsi inadeguato, sprovveduto, sbagliato di fronte alle performance di un padre che pubblicamente ti invita a emularlo, salvo che poi interviene egli stesso come un deus ex machina che ti si mangia vivo?
Il rapporto genitori figli, con tutte le storture che ne possono derivare, è al centro di questo spettacolo, ma i temi che si intrecciano riguardano le relazioni malate tout court, il meccanismo ricattatorio che si stabilisce quando l’autonomia emotiva va a farsi benedire; il bullismo che si nutre di solitudine e disistima; il ridicolo di tutti i tempi malamente nascosto nel servilismo; la gelosia devastante per il passato dell’altro, cioè per quel pezzo di vita in cui tu non esisti, che non conosci e che non puoi controllare. Il controllo dell’altro, infatti, l’illusione di essere tu a reggere le fila di vite che non sono la tua, si infrange contro il risveglio della coscienza, contro una ritrovata autostima. E salta in aria di fronte al passato che si presenta ad alzare i paletti o a liberarti, finalmente, dalle catene.
Ma detto così, sembra una truce lettura che non sa fare i conti con il pensiero magico, deus ex machina, questa volta sì, che ci salva dall’orco e dalla matrigna. Invece no. C’è leggerezza e c’è anche magia, ma riproposta in chiave estremamente grottesca, con una simbologia diretta, immediata, fatta di iperboli e oggetti giganti, come l’orologio che Cenerentola porta sempre con sé, appeso al collo come un amuleto, per non scordarsi di pensare alla mamma.
La stessa voce della buona coscienza arriva – tant’è – dal fondo di un w.c.: la fatina che con un sol colpo di bacchetta trasforma la zucca in carrozza, la stessa che la esorta a partecipare al gran ballo, indica la via del riscatto dal più fetido dei bassifondi. Perché a quell’età, risalire è un dovere, dovunque ti trovi. Sulla bilancia il desiderio di prendere il volo pesa di più del senso di colpa, anche se il conflitto non è ancora risolto. Finché la fatina non torna a farsi sentire e a suggerire il da farsi dal cestello della lavatrice. Ha il piglio ruspante di una balia saggia e piena di amore e non si palesa se non attraverso gli oggetti più umili, che parlano con la calata dell’Agro Pontino. E chiaramente fa sorridere assai. Come le due sorellastre buffissime e stolte interpretate da attori (uno con tanto di barba), come il padre assertivo che scodinzola come un cane al seguito della matrigna, come la stessa matrigna labbra rifatte e naso alla moda, come l’imbranatissimo principe in odore di seduzione che prima di congedarsi, dota Cenerentola del suo mocassino.
Anch’egli con a presso il suo bell’Edipo irrisolto, unico motivo per essere desto, verrà risvegliato alla vita da un’ormai rinsavita Principessa Azzurra.
Ci sono delle piccole trovate registiche e scenografiche divertenti e a basso costo che un po’ rivisitano un po’ si insinuano nella fiaba che conosciamo per andare oltre o diramare di lato. C’è un lavoro efficace sulla gestualità, non pleonastica e volutamente eccessiva, che investe direttamente la drammaturgia, la vera novità di questo spettacolo. Le musiche originali di Pasquale Catalano sono belle e appropriate, anch’esse inglobate nel tracciato complessivo. Ogni singolo interprete è chiamato a doppio ruolo a parte Annalisa Limardi, Cenerentola, che alterna recitazione e pezzi cantati.
Cenerentola Remix
drammaturgia Fabio Cherstich e Tommaso Capodanno
assistente alla regia Tommaso Capodanno
con Julien Lambert, Giuseppe Benvegna, Annalisa Limardi, Alessandro Pizzuto, Evelina Rosselli, Giulia Sucapane
musiche originali Pasquale Catalano.
Produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale.
Teatro India, Roma, fino al 4 dicembre 2022.