Ciò che resta del tempo sospeso di Melissa di Emanuela Bauco

Foto di Costantino Biamonte

Melissa dal greco μέλισσα, letteralmente “paese delle api e del miele”, sorge tra il mar Ionio e la Sila in provincia di Crotone in Calabria. La torre aragonese spicca lungo le coste sabbiose dove è stata costruita la parte più moderna, mentre il piccolo borgo medievale è incorniciato dai vigneti, dalle colline dove si snodano le sue vie, tutte in salita o le sue grotte interne al centro abitato raggiungibili solo a piedi. Nelle sue Metamorfosi Ovidio parla di questo piccolo borgo, alcuni lo associano alla maga vissuta nelle grotte o alla ninfa che compare sull’antico stemma comunale.

Da ormai cinque anni il gruppo di Teatro Ebasko (1) ha fatto di Melissa la casa di RaMe. Le Radici del Mediterraneo, Festival Internazionale di Teatro e Arti Performative del Mediterraneo, intrecciando una relazione sempre più fitta con la comunità locale. Organizzato in collaborazione con Theatron 2.0 e patrocinato dalla Fondazione Barba Varley, nell’ambito delle celebrazioni dei 60 anni dell’Odin Teatret. L’edizione di quest’anno si è svolta dal 25 al 28 luglio 2024 (2) con il tema L’inquinamento della purezza che, secondo quanto dichiarato dal direttore artistico Simone Bevilacqua, «è un fenomeno quotidiano che permea le nostre vite. (..) L’intento di riflettere sullo stato primordiale della Natura, inquinata dall’essere umano; ma anche sulle azioni di compromesso che mettiamo in campo nella nostra quotidianità, nel lavoro, nelle relazioni e soprattutto nelle tragedie sociali del nostro tempo: guerre, naufragi, sfruttamento, razzismo, sessismo, specismo, pandemie». Tre giorni di spettacoli, concerti, proiezioni e incontri durante i quali i partecipanti, gli artisti, gli studiosi provenienti da diverse parti del mondo, hanno vissuto e dormito nello stesso posto. Un progetto ardito in questo tempo sghembo.

Arrivo alla stazione di Crotone dopo una giornata trascorsa in treno, tra cambi, attese, disavventure e trovo Luca Vonella regista del Teatro a Canone che con molta generosità si è offerto di venirmi a prendere.  È una notte d’estate afosa e la stanchezza ha il sopravvento su tutto, perciò, non vedo lo spettacolo che è già cominciato al Castello del Gaudio. Gli organizzatori si sono preoccupati per la mia cena e me l’hanno fatta trovare nel piccolo e unico bar della piazzetta al centro del borgo accanto alla chiesa: è un pasto semplice cucinato da persone del posto.  Lì scambio qualche parola con un signore anziano e con due giovani tecnici, dei volontari, che stanno smontando il palco usato poche ore prima. Poco dopo mi accompagnano a casa in macchina perché si trova quasi ai piedi del centro storico del paese. Condivido lo spazio con la compagnia francese Cie La Desàrmante e il gruppo Teatro a Canone. La casa ha molte stanze e un grande portico proprio accanto alla cucina, il vento soffia leggero. Melissa ha un tempo diverso, sospeso.

Foto di Costantino Biamonte

È bene ricordare che si sta parlando di un gruppo di teatro e non di una compagnia. Un gruppo, come è noto, è formato da persone che si sono scelte, che lavorano sempre con lo stesso regista, ma soprattutto hanno logiche e tempi produttivi molto diversi da quelli del circuito ufficiale. Il gruppo Teatro Ebasko gravita intorno all’ambiente del Terzo Teatro. La locuzione “Terzo Teatro” venne pronunciata per la prima volta a Belgrado nel 1976 durante il Festival Bitef da Eugenio Barba, padre dell’antropologia teatrale e fondatore dell’Odin Teatret nel 1964, ma avrebbe potuto essere qualsiasi altra. Tuttavia, con quel “Terzo” Barba indicava alcuni degli uomini e delle donne di teatri, di comunità diverse, spesso sconosciute, che rispondevano a logiche del mestiere irrintracciabili in altre culture teatrali. Sappiamo che il teatro non è una cosa astratta, che non indica un assoluto. Ci sono i teatri e le persone che li fanno, con autodisciplina, rigore, fanatismo. Non mi inerpicherò pertanto in definizioni rischiose o ambigue, tantomeno farò una storia delle declinazioni del Terzo Teatro; sono state numerose le riflessioni, i libri scritti da Eugenio Barba o da eminenti studiosi a riguardo. Mi limiterò piuttosto a dire cosa non è il Terzo Teatro. Non è una poetica, uno stile, uno slogan, un genere, una ricetta, un metodo. Il Terzo Teatro è stato e continua ad essere però, tra le altre cose, un avamposto per Eugenio Barba e un ambiente per i gruppi che vi si riconoscono, gruppi ribadisco che rispondono a modi diversi di fare i teatri.

Foto di Costantino Biamonte

Ma torniamo al Festival. Il clima è ovunque amichevole, c’è voglia di confronto. Sabato 27 luglio in programma l’incontro dal titolo: Purezza meticcia o il paradosso del teatro, una tavola rotonda creata intorno all’eredità del Terzo Teatro e alla relazione che questo ha con il teatro di gruppo contemporaneo. Michele Pascarella, il “capitano della nave”, è un critico teatrale, persona di una gentilezza antica. L’Incontro si è aperto con una lunga intervista registrata a Eugenio Barba e a Julia Varley. Un eterogeneo gruppo di studiosi che cito – Chiara Crupi (Sapienza Università di Roma), Francesca D’Ippolito (Presidente C.Re.S.Co.) Carlo Fanelli (Dams, Cosenza), Simona Scattina (Università di Catania), Caterina Trifirò (Dams, Messina) e la sottoscritta (Liminateatri.it) – hanno offerto spunti, riflessioni sul tema dell’eredità. Agli interventi si sono alternate le dimostrazioni dei gruppi: Teatro dell’Albero, Teatro a Canone, Teatro Ebasko, Cie La Desàrmante e L4R.

Ciascuno degli interventi meriterebbe uno spazio per essere raccontato, ma non è in questa sede purtroppo che sarà possibile farlo, questo è piuttosto un racconto composto dai fotogrammi, dalle suggestioni e dalle urgenze emerse durante quel pomeriggio. Quel che resta di quelle poche ore passate insieme è il valore della differenza, la pluralità delle voci. Soprattutto non si è giunti a nessuna conclusione né prodotto alcuna teoria, siamo rimasti credo in tanti con molte domande nelle tasche.

Preziosa è stata la presenza dei giovanissimi partecipanti, fondamentali a non chiudere le questioni in una lingua astratta.

Foto di Costantino Biamonte

Di quei pochi giorni porto con me il vento, l’azzurro del mare, le colline arse, la gentilezza dei calabresi, l’amicizia di Chiara (Crupi), la generosità di Luca (Vonella), l’abbraccio con la danzatrice del Burkina Faso (Associazione Piccoli Idilli), il caldo afoso, le pale eoliche, le domande di Danila, la danza di Marzia (D’Angeli), Anna, Luca e Lucio (Teatro a Canone) che danzano in un quadrato, la gratitudine verso ognuno degli artisti incontrati,  Mario (Barzaghi, Teatro dell’Albero) che ci porta su per le vie del borgo a celebrare le pietre, che ci ricorda il senso del teatro nella comunità. Porto con me la dedizione di un gruppo sparuto di giovani che sta facendo un grande lavoro in un borgo semi deserto dove l’acqua a volte manca per interi giorni, dove è difficile arrivare.

Non credo personalmente che esista un’eredità del Terzo Teatro quanto, piuttosto, che quei teatri di gruppo offrano esempi di resistenza, ostinazione, ribellione e difesa della marginalità come valore.  “Uscire fuori dal centro” come indicava lo storico Fabrizio Cruciani, per un teatro nuovo, dell’uomo nuovo “alla ricerca di un attore non progettato”.

Note
1)Teatro Ebasko è un gruppo di ricerca teatrale fondato a Bologna nel 2015 da Simone Bevilacqua, Marzia D’Angeli, Antonio Di Castri, Domenico Pizzulo, Flavio Bossalini. Opera in tre diverse città d’Italia: Bologna nella Bottega di Ebe; Roma – Spazio Ebask_LAB con gli uffici e i corsi di formazione; Melissa (KR) borgo medievale che accoglie dal 2018 Casa Kyma, uno spazio di residenze creative, la casa del Festival RaMe. Il programma completo della quinta edizione.

2) Per tutte le informazioni sul Festival rimandiamo al sito:  https://teatroebasko.com/compagnia/progetti-1/rame-festival/prog.-rame24

Foto di Costantino Biamonte