Si è svolto dal 26 al 28 aprile 2024 alla Lavanderia a Vapore di Collegno, in quel di Torino, il festival Spring Rolls, un insieme di accadimenti artistici, dispositivi relazionali, apparati conviviali, momenti di riflessione e ambienti abitabili che assottigliano il concetto stesso di confine, rendono fluida la membrana tra un dentro e un fuori, mettendo a fuoco stratificazioni espressive attraverso le quali “identità” e “generi” ramificano in altri significanti, impollinano nuovi significati, deostruiscono immaginari e ricostruiscono narrazioni. Spring Rolls è stato, in questo senso, anche evocazione di spazi liminali e attivazione di esperienza prossimale in una dinamica di ri-conoscimento reciproco tra chi è chiamato ad agire e chi a riabitare, tra la ridefinizione degli spazi sociali e l’invenzione di un ulteriore portato valoriale nei corridoi urbani della città. Questo progetto del Centro di Residenza per la Danza di Collegno ha innervato con gesti, a loro modo protratti nel nomadismo della percezione, una gioiosa partecipazione di corpi e immaginari, andando a posizionarsi su di un piano retinico ed emozionale come repêchage di un furore quotidiano potente, di un oggi problematico ma non per questo meno iridescente e politico, recuperando così dall’archivio poetico di un fare e di un sentirsi comunità tutta una serie di proponimenti ludici, partecipativi e solidali attraverso la creazione condivisa o comunque guidata da alcuni/alcune protagonisti/e della scena contemporanea. La scambiabilità a volte anche del “ruolo” tra chi si è espresso “in scena” e chi ne ha accolto il senso seguendone il ritmo disseminato tra gli incontri, i momenti di workshop con una loro restituzione pubblica e gli spettacoli in forma di studio o di ospitalità, marcano il segno di un omaggio al primaverile scantonamento temporale di un calendario quale sintesi di lunghe processualità per certi versi esse stesse oggetto di attenzione quali forme d’arte indipendenti dallo spettacolo, capaci cioè di scardinare le possibilità creative di formati che ne inanellano altri e che a loro volta ne eludono la definizione, ne scontornano il sistema produttivo, ne usurano l’accanimento capitalistico del risultato da prodotto di mercato dello spettacolo dal vivo. È, d’altronde, il pensiero di Chiara Organtini che governa il progetto di Lavanderia a Vapore di questi anni, microfestival che celebrano fasi e interferenze attraverso la chiave di volta della danza nelle sue smisurate e “incompiute” alterazioni esplicative, la danza come perpendicolare esegetica lasciando spazio e tempo di approfondimento (altrimenti dette residenze) per artisti e artiste sempre al limite di operazioni volte a liberare il corpo dai paradigmi del genere e del codice.
Concettualizzare la danza in quanto esperienza del corpo tout court al di là della metafora e nella ricorrenza della giornata Unesco della Danza, ha avuto anche il significato di un attraversamento multimodale e di una tensione abitabile da chiunque, ciascuno/a con le proprie possibilità e intenzioni. La Lavanderia a Vapore nasce, difatti, nella struttura di un ex ospedale psichiatrico e si è costruita nel tempo quella certa capacità di riverbero dell’esistente sia in termini sociali che culturali (nel senso più esteso del termine), e oggi è a tutti gli effetti una casa della danza (dove fare e pensare nella danza, a partire dalla danza) aperta e pronta a traghettare lo spettatore partecipe in percorsi non scontati dove è possibile ritrovarsi co-protagonista; lì nel cuneo iper-eterodosso di partiture apparentemente monocrome che introiettano “ossessive” elaborazioni avviluppando lo sguardo, oppure “diluendosi” in esercizi felicemente popolari, fino a completarsi in talk che ne compendiano i diversi significati (in questo senso, Talk Body To Me di Giorgia Ohanesian Nardin ha arricchito il cesellato disegno autoriale del festival con una meditazione condivisa tra partecipanti al workshop e avventori sopraggiunti in quella apertura sulla percettività delle parole, sulla loro arcana eco). Non a caso uno dei progetti che ne hanno tracciato una felice sintesi è Los Faunos, performance architettata per un insieme eterogeneo di performer, collettiva e co-creata dall’artista Quim Bigas Bassart insieme alla rete NEST, che unisce le compagnie di produzione torinesi, in questo frangente con il coinvolgimento di insegnanti delle scuole di danza del territorio e la presenza di una moltitudine di non professionisti adulti/e e bambini/e come protagonisti/e. Dedicata al fauno e alla sua irriverenza espressionista simbolo di avanguardie e libertà gestuali ed espressive (e quindi emozionali), non irreggimentate in un carattere specifico, la performance porta con sé tutta una carica partecipativa straordinaria, quasi commovente, dove l’ordine è disarcionato dal disequilibrio, dalla mutevolezza dei sentimenti, in quella espansione fuori dai registri convenzionali come fu Gala di Jérôme Bel, qui implementato però da corpi che introiettano e metabolizzano una uscita dal canone per restituire la bellezza della festa ch’è di tutti e tutte.
In questa definizione non-definente Spring Rolls ha offerto una visione sfaccettata e amplificata di progetti a loro modo anarchici dove un centro non esiste, anzi, proprio nella suadente dispersione dei confini indirizzano chi partecipa (o chi guarda) verso la perdita delle proprie certezze, ne alimentano con coraggio il disorientamento di senso creando cortocircuiti linguistici dove «non c’è spazio per la resa mimetica né per la rappresentazione» (N. Lorenzini, Il presente della poesia – 1960 – 1990, Universale Paperbacks Il Mulino, Bologna, 1991, p. 94.). Ecco allora Boga. Pezzi elementari per l’incendio del Tempio connessione rituale a un femminile archetipo di superlativa risonanza dove Cristina Kristal Rizzo muove fantasmi e intensifica fraseggi nel cordone ombelicale di una rumoralità ancestrale attuata live da Enrico Malatesta, quasi un esorcismo fatto di gestualità magiche che echeggiano al movimento di legni, pietre, oggetti supini al tocco magistrale ed esoterico del suono di cui è portatore Malatesta: lei magnifica Loïe Fuller contemporanea, lui orchestratore della materia inerte, della concretezza artigianale che splende; questo lavoro ripensato per lo spazio al chiuso del teatro (il tempo saltuariamente non è stato clemente) acquista una sua dimensione di bellissima partitura di movimenti e percettività sonore misteriche e immaginifiche.
Parimenti, l’invasione dell’opera comunitaria Village People nel Villaggio Dora di Collegno ha un ritorno di sentimento espanso e allo stesso tempo magico, splendente: guidati da un gruppo di elfi contemporanei ci lasciamo “estradare” entrando nelle case, incontrando cittadini e cittadine, partecipando al debutto del coro parrocchiale e assaggiando cibo che la comunità rom ha preparato. In questo quadro di ebbrezza dell’intangibilità, della smisurata com-passione dei luoghi e delle persone disponibili a intrecciarsi con inaspettate felicità, Transenne di Claudio Larena – una azione ispirata all’ambiente del lavoro operaio nei cantieri – assurge a significato concreto, estremo, artificio (tra arte ed edificio), ovvero una architettura di corpi che si lasciano traversare mentre definiscono un nuovo assetto del paesaggio (urbano) e alla sua ri-abitazione tanto da quei corpi quanto dal nostro sguardo, dal nostro tempo, da uno stare imprevisto, col divertito osservare dei passanti occasionali in quella pratica di lavoro: un défilé di materie ed esposizione, slittamenti, seduzioni e sudore.
Due spettacoli paradossalmente contigui (seppure diversissimi) per scrittura e orizzonti di riferimento innestano a questo festival decisamente lucido nell’osservare il presente e altre narrazioni, altri comportamenti intorno alle rifrazioni del rito, con tutto il loro peso politico in questo tempo così asservito alle tecnologie cognitive. Repertório N.2 del duo brasiliano Davi Pontes e Wallace Ferreira, che esplorano con i loro nudi corpi e nella marzialità di movimenti reiterati con caparbietà, (ancora una volta) un ancestrale segno qui grondante di neritudine, marcando un discorso critico del corpo in quella eversione dichiarata anche nelle pose glam, corpo in lotta certo, archivio delle infinite schiavitù ma anche decongestione estetica come frizione della danza, quadro sinottico amplificato, quasi una mnemosyne alla Aby Warburg che incastona l’urlo nelle su infinite possibilità memoriali. Si spinge oltre, infine, nell’effetto di una performance che rasenta le tre ore (lasciando la libertà allo spettatore di entrare ed uscire), il lavoro Unending Love, Or Loves Dies, On Repeat Like It’s Endless del coreografo polacco basato a Berlino Alex Baczyński-Jenkins, ripensato per lo spazio teatro della Lavanderia in cui due corpi eclissano la propria appartenenza di genere in un addizionale corridoio emozionale di altrettanta potenza. Ancora un duo che muove nello spazio una ipnotica coreografia che sembra rammemorare la sinuosità della danza balinese, sprigionando sequenze ritornanti e concupiscenti ininterrotte in quell’incedere melodioso del corpo; tutto è esplicito nulla è dichiarato, quei corpi – di fatto – sanno farsi trasfigurazione del desiderio e al contempo presenza vera, possente, sanno riportarci ad un piano di prossimità ideale tra quell’azione e il nostro stare, il nostro condividerne il tempo, anche quando sembra sterzare verso una china confidenziale non assecondata retoricamente mentre uno dei performer dice al microfono: «I need you to crack my skull and bathe my brain in liquid significance while I reenact my faith. The moment that you turned away», “recitando” uno dei tanti frammenti di testo lasciati come traccia su foglietti che lambiscono lo spazio scenico. L’ultimo pomeriggio a Torino presso la Casa del Teatro Ragazzi e Giovani è stata altresì l’occasione di ripensarsi nella forma della festa tutta, una serie di lavori coreografici e appunti di scritture della danza con il Gala per la Giornata Internazionale della Danza (organizzato dalla Fondazione Egri) che ha visto partecipi tutte le anime della città attive professionalmente. Spring Rolls festival, mondo dalle dinamiche aperte, dei corpi liberati che hanno parola e ne hanno create di nuove, questi tre giorni di grande bellezza e magia .