Confidenza non è solo un film firmato da Daniele Luchetti, ma una lezione di psicologia su tematiche affettive e familiari dove il segreto, elemento centrale di molte dinamiche personali, appare in una veste noir.
I protagonisti, in stato di grazia, Elio Germano e Federica Rosellini, sono perfetti sia nella loro interpretazione che nella combinazione come coppia, visi, corpi, in grado di suggerire passioni, dolori, paure, sconcerto.
Il prof. Pietro Vella (Elio Germano) ha costruito tutta la sua esistenza attorno all’immagine di professore di italiano empatico, socievole, disponibile ma soprattutto accudente nei confronti dei propri studenti, spesso salvati dai suoi consigli di adulto. Gli ex allievi sono così legati al loro insegnante tanto da cercarlo anche dopo la fine del liceo e fondare dei club in suo onore, motivo che inorgoglisce Vella e che, probabilmente, costituisce il fulcro della sua esistenza borghese.
Tra gli ex studenti c’è una ragazza che lo colpisce (lo si intuisce sin dalle prime inquadrature) in quanto a intelligenza e mistero. Lei è Teresa Quadraro (Federica Rosellini), della quale viene a sapere che non frequenta più matematica ma fa la cameriera in uno squallido ristorante.
Vella la raggiunge, sicuramente consapevole dei rischi che corre, dopodiché inizia l’ascesa in paradiso o, forse, la discesa negli abissi delle loro anime. I due si sono sempre attratti ed è Teresa, la parte più intellettuale della coppia, a ricordarlo a Pietro, il quale tenta inutilmente di tergiversare in una dialettica debole e stantia ed è sempre Teresa a portarlo a una dimensione di coppia reale in cui chiede responsabilità e obiettivi comuni.
Pietro e Teresa abitano assieme da un po’ in un appartamento di periferia, in una delle loro serate un po’ noiose, decidono di legarsi per sempre con la rivelazione di segreti che noi non siamo tenuti a sapere: sono segreti orribili e difficili da sostenere.
Teresa scappa e lascia di soppiatto Pietro. Quest’ultimo, a parte il dolore, prova una paura soffocante di poter perdere la propria credibilità se Teresa decidesse di rivelare le confessioni confidatele.
In un vortice di soggettive stracolme di pensieri dei protagonisti, il film si compone di visioni ossessive e surreali, in cui entrambi immaginano una realtà alternativa, mentre sono i personaggi collaterali a compiere le vere azioni, come la moglie di Pietro (Vittoria Puccini), frustrata dai fallimenti personali, che presumibilmente lo tradirà con Itrò (Giordano De Plano), marito di Tilde ((Isabella Ferrari) e dirigente del ministero con cui Vella collabora per diffondere una filosofia dell’insegnamento basata sull’affetto.
Sembra un vero e proprio ossimoro o si tratta soltanto di ipocrisia? Di sicuro, però, l’amore delle idee di Vella stride con il matrimonio di facciata: della moglie ne esce una personalità sbiadita, sebbene sia una bella donna e adatta al contesto sociale.
Domenico Starnone, autore del romanzo omonimo su cui è basato il film, ha sempre avuto a cuore di svelare la falsità borghese e la famiglia come causa dei più atroci drammi esistenziali. Daniele Luchetti, negli anni, ha dimostrato di amare molto la scrittura dell’autore partenopeo (basti citare gli adattamenti di Lacci e La scuola) ed è riuscito a costruire con lui un lavoro di squadra vincente (un plauso va a tutti gli interpreti e ricordiamo, tra i nomi non citati, Elena Arvigo, Elena Bouryka, Pilar Fogliati).
Lo script è in simbiosi con la regia, la fotografia e il montaggio (il tutto di altissimo livello); la colonna sonora è firmata da un genio contemporaneo: il musicista Thom Yorke dei Radiohead.
La storia d’amore dalle tinte noir ci racconta molto di più di quanto si possa immaginare, le “confidenze” rimandano non a dei fatti reali, come potrebbe apparire, bensì a ciò che ciascuno di noi potrebbe celare nei meandri più oscuri dell’anima.
A volte miracolosamente è solo nella manifestazione o nell’epifania di un vero amore, quello più viscerale e incontrollabile, che l’essere umano riesce a rivelarsi nella sua vera identità: i sentimenti non sono però compatibili con una società in cui l’essere si scontra con le gabbie sociali. La gabbia, l’occlusione, l’oscurità sono espressi perfettamente nel film di Luchetti dalle atmosfere inquietanti e da immagini che ricordano i Kammerspiel della più degna tradizione del Novecento.