Cruciani al Brancaccio con “Via Crux”: il teatro assediato al grido di “Sissignore si!” di Jessica Scarcella

Foto di Jessica Scarcella

Sono le 8.30 di lunedì sera, è il 4 novembre, giorno tanto atteso dagli americani per le elezioni presidenziali: davanti lo storico teatro Brancaccio a Roma, si trovano un fiume di uomini – cinque o sei di loro muniti di cappellino rosso che riporta la celebre frase della campagna trumpiana make America great again – pronti per entrare in sala, dove andrà in scena lo show del presentatore de La Zanzara Giuseppe Cruciani.
Puntuale, alle 21.00, lo show-man, si fa trovare dietro il sipario che si apre sulle note di Califano, con gli occhiali scuri che coprono lo sguardo, a braccia aperte, davanti una croce fatta di luci accecanti. È l’ottava replica dello spettacolo Via Crux, già ospite in altre città italiane, tra le quali anche Torino, dove lo scorso maggio due attiviste di Ultima Generazione erano salite sul palco per esporre uno striscione che chiedeva fondi di finanziamento per i danni causati dalla crisi climatica.
Questa volta, lo show parte senza problemi e tira dritto fino all’ultimo, supportato da risate e applausi del pubblico. Cruciani apre con un messaggio che passa chiaro: qui si riabilita il non politicamente corretto e infatti, sceglie di iniziare con un video della sociolinguista e docente all’Università di Firenze Vera Gheno, che spiega l’utilizzo degli asterischi e delle schwa. Un argomento da accademici, lanciato nella platea dei leoni che non ci pensano due volte ad approvare le modalità con cui Cruciani invita a superare il linguaggio inclusivo di genere. Le università, nello show, sono, dai primissimi minuti, dissacrate in un perverso gioco retto sulla retorica ornamentale, fatta di freddure e decontestualizzazione delle notizie, svuotata da qualsiasi tipo di argomentazione sulla tesi. La violenza, sia nelle parole e sia nei gesti, è subito evidente, quando dal cielo cadono due grandi simboli (l’asterisco e lo schwa), presi letteralmente a bastonate dallo stesso Cruciani, metaforicamente per distruggere la linguistica della docente Vera Gheno – oppure per demolire l’autorità di una donna.
A questo punto è facile capire perché in sala ci sono pochissime donne: infatti, non troppo più tardi, cade nel discorso di Cruciani il tema della parità di genere, come fosse una dittatura che perseguita e ghettizza gli eterosessuali. Per catturare, senza alcuno sforzo, l’attenzione del pubblico (ricordiamolo: gremito di uomini), lo show-man accede a quei tipici luoghi comuni che confinano il partner in un angolo buio, schiacciato dalle storture della donna isterica. “D’altronde” – dice Cruciani – “gli occhi (degli uomini) sono fatti per guardare le curve dei corpi femminili”; è un diritto, e nulla importa se una donna è infastidita, o peggio impaurita, dagli sguardi affamati, svilenti, selvaggi che incontra nelle strade. Quella sbagliata è sempre la donna. Anzi, per rendere ancor più succulenta la politica di Giuseppe Cruciani, il discorso va a finire sui bordelli: “bisognerebbe legalizzarli, così le donne possono anche fare carriera!”. Belle e formose come sono, possono starsene nella categoria della prostituzione, a completo servizio dell’eterosessuale, che nel frattempo va a conquistare il mondo. Ecco perché tanto accanimento sulla docente Vera Gheno.
Ma il momento più basso dello show, in realtà, non viene raggiunto con la propaganda sulla ridicolarizzazione del corpo femminile. A oltre metà dello spettacolo, si tocca il fondo, mostrando il titolo di un giornale che si riferisce alla responsabilità collettiva sul femminicidio di Giulia Cecchettin, e in generale sul femminicidio. Ecco, qui la libertà di espressione, che supera i colori di destra e sinistra, viene soffocata dentro il liquido del “contro il politicamente corretto”, che si insinua in una società, come un veleno letale. Lo spirito critico è stato già ucciso dai precedenti sessanta minuti di Via Crux e approfittando, ora, dell’attenzione calante, si sferra uno slogan che, come un virus sconosciuto, inquina le menti: “la responsabilità collettiva non esiste, è solo colpa di Filippo Turetta”, afferma Cruciani. Così, il parterre del teatro, come in una qualsiasi sceneggiatura orwelliana, scoppia in un applauso, ormai completamente assuefatto e coeso in una massa diligente ben istruita sull’immagine dell’uomo forte e virile, autorizzato dall’alto a deresponsabilizzarsi. Inutile parlare degli elementi che vanno a legittimare l’immagine di un leader carismatico, qui siamo in piena democrazia e non abbiamo il tiranno che ci minaccia alla porta, ma esiste – e questo si è visto soprattutto fuori dal teatro alla fine dello spettacolo – una folla di persone che alzano la mano al grido di: “Sissignore si!”.
In chiusura, Cruciani non si lascia certo scappare l’occasione per consolidare la negazione della crisi climatica: completa così il kit dell’anti politicamente corretto, confezionando non tanto uno spettacolo horror, quanto una dotazione per chi vuole continuare a individuare nell’altro il nemico da combattere.

Via Crux. Tutto quello che pensavate e non avete il coraggio di dire

scritto da Giuseppe Cruciani, Sergio Bertolini, Francesco Borgonovo, Giliberto “Gibba” Penza
con Giuseppe Cruciani
coordinamento e regia tecnica Giliberto “Gibba” Penza
produzione Vera Srl e Paolo Ruffini
fotografie Eracrea Art – Massimo Zanetti
progetto grafico Susanna Ferraris.

Teatro Brancaccio, Roma, 4 novembre 2024.
In tournée.